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Cooperative Learning e apprendimento linguistico in una prospettiva ecologica

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Caminante, son tus huellas
el camino, y nada mas;
caminante, no hay camino
se hace camino el andar
[Viandante, sono le tue orme
il sentiero, e niente altro;
viandante, non c’è sentiero
diventa sentiero l’andare]
Antonio Machado (1875 – 1939)

I sentieri della complessità

Ho voluto aprire questa riflessione con un verso di Machado che credo ben si attagli alla realtà contemporanea in cui stiamo vivendo e in cui pare non esistere più una direzione di senso, ma molteplici direzioni, sempre interconnesse, che, con l’innegabile difficoltà di orientamento, arricchiscono il nostro quotidiano e spesso incerto cammino.

Che cosa significa, allora, nella società della globalizzazione, camminare in una prospettiva ecologica? E, se già nel suo significato meno profondo, l’ecologia fa riferimento all’abitare in un mondo glocale, che è insieme di tutti perché appartiene a ciascun essere vivente che lo abita, qual è il senso di insegnare a costruire un dialogo che sia davvero plurale, e quindi capace di cogliere nel contempo le specificità accogliendo le differenze? E che cosa significa, davvero, intercultura? Per educare ad apprendere – in particolare in campo linguistico – in una realtà che cambia, è fondamentale educare ed educarci a leggere le connessioni all’interno del mondo complesso, a dare un senso all’inter che lega la cultura, che, come sottolinea Mantovani, “è oggi immediatamente plurale anche nell’esperienza quotidiana che ne facciamo”1. Ma l’interculturalità un processo che inizia nell’era altamente globalizzata della tarda modernità o piuttosto una potenzialità che si realizza allorquando, e allorquando nella storia umana, si incontrano esseri di differenti religioni, lingue, abitudini sociali? L’interculturalità è una descrizione di fenomeni sociali, storici e politici dell’interazione tra culture o piuttosto un “marker” normativo di livelli recentemente raggiunti o ancora desiderati di rispetto, riconoscimento e scambio tra individui o gruppi di diverse culture? E che aspetto ha la filosofia interculturale? Deve ricercare le comparazioni tra le tradizioni filosofiche di culture diverse, in maniera simile allo studio comparativo delle religioni, o deve ricercare un filo comune etico o ontologico a tutta l’esistenza umana e maggiormente visibile quando le culture si incontrano le une con le altre?2

Soprattutto per chi quotidianamente si trova ad operare in contesti sempre più multiculturali le questioni non sono oziose e cercare di darvi una risposta significa costruire l’orizzonte di senso all’interno del quale costruire il nostro agire educativo. Richiamare la pedagogia interculturale nella ricerca di questo orizzonte di senso è infatti ineludibile se essa davvero “rappresenta i primi passi per fare proprio un pensiero complesso che è alla base di qualunque percorso di comunicazione”3.

In questo intervento non si darà, ovviamente, una risposta, ma si cercheranno di dare delle piste operative per costruire dei percorsi di apprendimento in prospettiva ecologica, intesa come un punto di vista che, pertanto, vede l’inadeguatezza delle due risposte più comuni alla sfida posta dalla multiculturalità: l’etnocentrismo e il relativismo. Sia l’uno che l’altro, infatti, “provocano quel multiculturalismo a mosaico che sta rendendo problematico il termine stesso di multicultura nel cui nome vengono erette barriere tra comunità diverse, vengono violati i diritti delle persone, viene promossa una visione dell’appartenenza che mortifica l’iniziativa delle persone”4. È interessante che Mantovani si soffermi su quest’idea di multiculturalismo a mosaico che, già dal punto di vista etimologico appare estremamente lontano dall’idea di “intercultura” e di “ecologia”, che appaiono  invece molto più vicine tra loro. Come sottolinea infatti Van Lier, il significato profondo della parola ecologia dà una visione di senso più ampia a quanto avviene nel mondo – inteso nel senso più lato possibile – offrendo nel contempo una visione d’insieme, una logica interna, un’ideologia di trasformazione aperta e una prospettiva critica5. Una prospettiva, quindi, che, accogliendo le diversità, le sappia contestualizzare e valorizzare all’interno di un senso culturale ampio, complesso, interrelato dove la cultura viene vista come “spazio di scambio”6, dove è possibile vedere il “noi” in mezzo al “loro” e il “loro” in mezzo a “noi”7. Ma non c’è solo questo.

La prospettiva ecologica non sottintende una staticità delle parti. In una prospettiva dinamica dell’identità il “chi sono io?” è collegato al “chi sei tu?” e ogni cambiamento di risposta alla prima domanda non può non cambiare la risposta alla seconda e viceversa. Questo è il modello di  “sovrapposizione dinamica” citato da Bagheri Noaparast e Khosravi, i quali sostengono che “per almeno due culture esista una parte in comune e due non in comune, mentre i confini di ciò che è in comune, così comune, siano in potenziale cambiamento. Tale relazione porta ad una concezione identitaria dinamica per la quale l’identità culturale di una persona è dipendente dalla sua comprensione delle altre culture, così che un cambiamento in queste ultime porterà a un cambiamento nella prima”8.

È evidente che questa nota aggiunge un ulteriore elemento di complessità in un contesto già di per sé foriero di variabili e interrogativi, in cui lo scopo sono l’educazione e il processo di insegnamento-apprendimento, i quali avvengono sempre più in ambiti di eterogeneità culturale, ma non solo. Se lo scopo di tale processo è dare delle “chiavi” – il riferimento a Gardner è inevitabile – per vivere nella società complessa tutti questi interrogativi non possono essere elusi, tanto più in un contesto di apprendimento linguistico.

Il Cooperative Learning: un tentativo di risposta

In questa prospettiva, all’interno del contesto socio-scolastico, ci sembra che i percorsi di Cooperative Learning possano essere visti realmente come capaci di realizzare tutte quelle modalità di attenzione rispettosa, di riflessione e di auto-riflessione, ma anche di sviluppo delle abilità multiple, elemento fondamentale all’interno del più ampio framework di insegnamento-apprendimento linguistico. Il Cooperative Learning, nelle sue diverse strategie d’intervento, non viene visto come una modalità per ovviare alle difficoltà di gestione di una classe – o di un qualsiasi gruppo di apprendimento – eterogenea, ma mette l’accento sul fatto che l’eterogeneità stessa diventa una risorsa, come vedremo tra poco in maniera più approfondita. Lavorare con il Cooperative Learning aiuta a costruire un clima positivo e fecondo in cui innestare gli apprendimenti, ma non solo. Essendo una metodologia didattica offre una vasta gamma di strategie d’insegnamento, che gli insegnanti possono efficacemente adottare per raggiungere i seguenti obiettivi cognitivi, esplicitati da Cohen9:

  • Apprendimento concettuale
  • Soluzione creativa di problemi
  • Sviluppo di abilità cognitive di ordine superiore, ovvero sviluppo del pensiero critico
  • Conoscenza, mantenimento e miglioramento delle abilità fondamentali
  • Padronanza linguistica orale
    A questi si aggiungono degli obiettivi di tipo interpersonale e che, sempre da Cohen, vengono così sintetizzati:
  • Relazioni positive di intergruppo
  • Socializzazione degli studenti e assunzione di ruoli adulti

È quindi fondamentale a questo punto chiedersi se e in che modo attraverso il Cooperative Learning  possano essere raggiunti obiettivi tanto diversificati. Al primo interrogativo si può rispondere che la ricerca sui modelli di Cooperative Learning ha verificato la validità di tutti i loro assunti di base sugli effetti positivi dell’apprendimento in interazione, sul comportamento scolastico degli allievi,  personale e sociale. Per la seconda questione posta le risposte potrebbero essere molteplici e chiamare in causa le diverse e varie modalità applicative di questo metodo, ma si può partire da una considerazione chiave: in attività che prevedano l’uso di modalità cooperative, “l’insegnante propone gradualmente strategie sempre più complesse, come il Jigsaw, la Complex Instruction, la Group Investigation e altre che propongono agli studenti questioni rilevanti e plurivalenti e invitano a una varietà di risorse e soluzioni”10. Sono strategie che prevedono che gli studenti svolgano l’attività in piccoli gruppi eterogenei, imparando a ricercare soluzioni connettendo la loro esperienza e background culturale con le nuove informazioni, imparando via via a sviluppare e a connettere nel contempo “abilità sociali” e “abilità cognitive”, in un’ottica di un’educazione più integrata e più, potremmo dire, “ecologica”.

“L’apprendimento è così negoziato in un ambiente rispettoso che permette loro di avere il tempo necessario per imparare come fare interconnessioni tra il loro mondo e il mondo della scuola”11.
Abbiamo chiarito che il Cooperative Learning non si configura come una modalità d’insegnamento  monolitica, ma – come una sorta di albero – presenta svariate ramificazioni, che fanno capo a diverse scuole sparse in centri di ricerca in tutto il mondo. All’interno di questo albero possono essere riconosciuti tuttavia dei “nuclei forti”, comuni a tutte le scuole di pensiero che possono essere considerati gli elementi chiave di questo metodo:

  1. l’interazione promozionale;
  2. l’interdipendenza positiva;
  3. l’insegnamento diretto delle abilità sociali;
  4. il lavoro in piccoli gruppi eterogenei;
  5. la valutazione durante e alla fine del lavoro.

Il quarto punto è forse quello che ha creato più disaccordo tra studiosi, sin dalle prime applicazioni del Cooperative Learning, anche se la maggior parte ha propeso e propende per la necessità dell’eterogeneità dei gruppi. Kagan12 sostiene, ad esempio, che in un contesto di apprendimento linguistico i gruppi omogenei, dal punto di vista delle competenze e delle abilità, possano essere privilegiati, necessità che tende via via a diminuire quando tutti gli apprendenti utilizzano in maniera abbastanza sicura il medium linguistico da apprendere. Tuttavia, studi ulteriori, riportano che solo apparentemente, infatti, l’omogeneità dei gruppi appare una risorsa: gli alunni sembrano imparare più velocemente, senza incontrare ostacoli, e l’insegnante sembra procedere spedito nella trasmissione dei contenuti essenziali. Tuttavia, una conseguenza non prevista dei gruppi omogenei è che in essi gli studenti hanno un accesso differenziato ai curricoli, accesso che tende poi a concretizzarsi in opportunità educative diversificate (Cazden & Mehan, 1989, p. 51). Inoltre, un’altra caratteristica dei gruppi omogenei è la tendenza al verificarsi in essi della cosiddetta profezia autoavverante: essi condizionano fortemente le attese degli insegnanti nei confronti degli allievi (Persell, 1977; Slavin, 1987) e tendono troppo spesso a enfatizzare, piuttosto che a ridurre, nelle classi le differenze etniche (McPartland, 1968). Altre ricerche (sintetizzate bene da Brophy & Good, 1974 e da Cole & Griffin, 1987) suggeriscono che gli studenti posti nei gruppi di abilità inferiore soffrono di un vero e proprio modello di deprivazione. Rachel Ben-Ari 13 individua in un suo significativo articolo in Vygotzky, Piaget e Bandura gli ispiratori culturali della necessità di mettere gli alunni in situazione di lavorare in gruppi eterogenei. Ella infatti richiama, per quanto riguarda Vygotzky le teorie della “self-regulation” e della “zona di sviluppo prossimale”, che  rimanda alla necessità dell’interazione sociale per effettuare nuovi apprendimenti. Sono gli adulti e ancor più i compagni più “esperti” che incoraggiano la scoperta di qualcosa di nuovo, perché illustrano strategie e danno significato ad azioni ed esperienza. Pur nella profonda diversità esistente tra i percorsi di attività e ricerca, lo stesso richiamo alla necessità dell’interazione è presente in Piaget, che vede in essa l’elemento che permette di passare dallo stadio pre-operatorio a quello concreto, in cui i bambini diventano meno egocentrici e riconoscono le differenze e i disaccordi tra le loro teorie e quelle degli altri. Bandura, infine, sviluppa la teoria del “social learning”. Vediamo quindi che il vantaggio di lavorare in gruppi eterogenei rappresenta una possibilità per chi è più “debole”, ma anche per chi è più “forte”, che può sviluppare abilità cognitive di tipo superiore (saper spiegare, saper parafrasare, ad esempio) che sono strettamente connesse con abilità di tipo sociale.

Lo scopo di un gruppo cooperativo è quindi portare a termine – grazie alle risorse di tutti – un compito, che deve essere eseguito in gruppo. In questo senso, è necessario fare sì che l’eterogeneità dei gruppi diventi una risorsa e non un limite, soprattutto se, facendo leva sulle diverse potenzialità, capacità, conoscenze e competenze, è possibile attribuire dei “ruoli” all’interno del gruppo di lavoro. Quest’ultimo aspetto è fondamentale: se, infatti, si pensa al lavoro di gruppo in termini di “lavoro”, appunto, è importante che i gruppi siano “pensati” dall’insegnante, guardando alla globalità del compito da svolgere e offrendo una pluralità di stimoli, in modo che più abilità possano essere esercitate e riconosciute come tali. Questo inoltre aiuta gli studenti a riconoscere prima le proprie capacità e a orientarle e a sentirsi consapevoli e, in qualche misura “forti”, di queste ultime. La coscienza di possedere un’identità è elemento  imprescindibile per accogliere l’altrui identità e per arrivare ad una negoziazione di punti di vista diversi.

In conclusione, se è vero che ci sono dei presupposti teorici che sostengono la necessità e insieme la ricchezza di lavorare in gruppi eterogenei e se, nello stesso tempo, ci sono delle condizioni oggettive che ci inducono a lavorare sfruttando l’eterogeneità (si fa riferimento, ad esempio, alla crescente presenza di allievi di altra nazionalità nel sistema scolastico italiano, senza per questo  misconoscere che l’eterogeneità culturale non è per forza da ascrivere all’eterogeneità etnica), possiamo identificare due strategie del Cooperative Learning che particolarmente spingono in questa direzione: la Group Investigation e la Complex Instruction.

Vedremo nei paragrafi seguenti come una prospettiva di tipo ecologico possa ampliare ulteriormente queste riflessioni.

Fare ricerca insieme utilizzando la lingua

Interessanti, a questo proposito, le indicazioni offerte da Van Lier agli insegnanti di lingua. Egli indica un primo “set” di concetti-chiave per l’insegnamento delle lingue: azione/percezione, interrelazione, relazione, ambiente. Traducendo questi concetti in termini più prettamente operativi, Van Lier continua sostenendo che “la lingua dev’essere profondamente contestualizzata e semioticamente interconnessa con tutti i possibili sistemi che producono pensiero”. Poco oltre egli afferma che “il più naturale curriculum che scaturisce da una prospettiva ecologica è quello basato su un progetto, chiaro riguardo ad obiettivi e procedure, ma che nello stesso tempo permette agli studenti di sviluppare i propri interessi e la propria creatività”14. Non siamo lontani dal metodo conosciuto come Group Investigation, il quale, prendendo le mosse dagli studi di Thelen, si configura come una strategia di apprendimento cooperativo in cui l’interazione e la comunicazione in classe vengono integrate con il processo di studio dei contenuti scolastici. Più nel dettaglio,  secondo questa modalità di lavoro, gli studenti assumono un ruolo attivo stabilendo i propri obiettivi di apprendimento, suddividendo – con l’aiuto dell’insegnante – il lavoro all’interno del gruppo, prevedendo momenti di lavoro individuale a scambi in coppia e ad un’integrazione finale dei risultati a livello di gruppo classe. Attraverso questo processo gli studenti vengono guidati da un lato nello sviluppo di competenze linguistiche, cognitive e, naturalmente, sociali15.

Ora, al di là delle molteplici suggestioni che provengono da questa modalità di lavoro (che vanno dall’aumento della motivazione intrinseca ad apprendere, nonché all’aumento dell’interesse da parte degli studenti ai contenuti più strettamente cognitivi dell’apprendimento) e su cui si potrebbero aprire ulteriori campi di esplorazione, vorremmo soffermarci su quanto fa più evidentemente riferimento all’apprendimento linguistico e cioè su quanto riguarda le caratteristiche e le potenzialità della conversazione interattiva, nonché sull’abilità di porre domande, che è il punto di partenza da cui scaturisce ogni ricerca. Ancora una volta notiamo come il lavoro in modalità cooperativa possa essere collocato all’interno di una prospettiva ecologica.

Come nota Van Lier, l’ecologia così intesa non è un metodo o una teoria, ma una visione del mondo e un modo di approcciarsi al lavoro. In una prospettiva ecologica dell’apprendimento linguistico non esiste più la netta divisione tra la lingua-per-l’uso e la lingua-per-lo-studio, perché in quest’ottica l’uso della lingua è situato e quindi significativo. Inoltre, in una prospettiva ecologica, lo studente viene visto come persona, che è portatore di significati, di punti di vista, di prospettive, di desideri e di aspirazioni (sinteticamente, potremmo dire di un “sistema culturale”) che, attraverso il medium linguistico, può condividere con altri per re-interpretare, mediare e così via. Si noti bene il plurale “altri”. In un’aula tradizionale, l’insegnante si sente obbligato a condurre gran parte del discorso o, comunque, a orientare i contenuti del discorso. In un contesto cooperativo, l’insegnante è certamente un modello educativo, che dimostra concretamente quale tipo di abilità di discussione sono necessarie all’interno del gruppo, che vanno dal saper ascoltare in modo attivo, al saper parafrasare, all’incoraggiare la discussione, al concentrasi sull’argomento, al reagire in modo non valutativo (abilità sociali inestricabilmente connesse ad abilità molto alte anche a livello cognitivo, nel caso dell’apprendimento di una lingua straniera). Nello stesso tempo, il docente è anche chi progetta attività che facilitano l’apprendimento interattivo e per problemi, in modo da aumentare le opportunità di comunicazione non mediata tra compagni. Sharan e Sharan nel loro testo16 propongono varie attività (“Il razzo a quattro fasi17”, “La storia senza titolo”, “Il gioco del mistero”) per promuovere le abilità di discussione. È interessante notare che, nonostante esse vengano esemplificate come esercizi per la costruzione di abilità sociali, possano essere pensate anche con obiettivi di tipo cognitivo se condotte in un contesto di apprendimento di una seconda lingua, naturalmente graduando la difficoltà, il numero di parole, i tempi ecc.: ancora una volta una prospettiva ecologica che non può disgiungere il cognitivo dal relazionale-emotivo.

Altro punto cruciale per ogni tipo di apprendimento – e fondamentale in particolare per quello linguistico – fa riferimento alla capacità di porre e rispondere a domande significative per la risoluzione del problema d’indagine. “Il questioning viene presentato, negli studi di ricerca educativa, come l’attività più efficace dal punto di vista cognitivo. (…) In particolare, la ricerca ha dimostrato nettamente la forza cognitiva e democratica delle domande aperte. Le open-ended questions, la possibilità di accettare risposte diverse, danno all’allievo la certezza che ogni sua risposta potrà avere dignità di ascolto e cittadinanza nella dinamica dell’apprendimento”18. Ma come fare in modo che le domande producano conoscenza reale? La risposta della Group Investigation è quella di tentare una ridefinizione del ruolo degli studenti e dell’insegnante, che si pongono delle domande e cercano delle strategie di risposta, secondo questo schema19:
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DOMANDE-DISCUSSIONE INFORMAZIONE INTERPRETAZIONE CONOSCENZA
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Ovviamente ciò che compete all’insegnante è non dare tutte le risposte, ma avviare ad una ricerca delle risposte e dei mezzi che possono aiutare a trovare delle risposte (dalle proprie conoscenze pregresse a quelle dei compagni, dai dizionari alle risorse informatiche). Queste ricerche faranno nascere altri interrogativi e proporranno altre piste operative su cui costruire altri sistemi di significato, tra loro interrelati, in un processo virtuosamente infinito.
In questo modo, il sistema di significati di cui ogni studente, con il proprio diverso background culturale è portatore, si amplia in modo virtuoso e co-costruttivo.
Per quanto riguarda l’esemplificazione di unità didattiche svolte con la Group Investigation si rimanda per una spiegazione più dettagliata a quanto contenuto nel già citato testo di Yael Sharan e Shlomo Sharan. Possiamo qui, per motivi di spazio, riassumerne una che ci pare particolarmente significativa per gli insegnanti di lingua, dal titolo: “Cosa rende poetica una poesia?”20.

Fase previa: distribuzione di una poesia, da leggere e commentare (ancora in modo “ingenuo”) in piccolo gruppo.

  • Fase 1: la classe stabilisce i sotto-argomenti e si organizza in gruppi di ricerca
    Prima lezione21: Produrre domande. Sulla base dei testi poetici già letti, l’insegnante pone questa domanda stimolo: “Che cosa rende poetica una poesia?”. Quindi invita gli alunni a cercare in gruppo delle domande che potrebbero guidarli nella loro esplorazione. L’elenco finale viene trascritto in modo che sia visibile da tutti, quindi vengono individuati dei sottoargomenti -raggruppando le domande.
    Seconda lezione: ciascuno studente decide quale di questi argomenti potrebbe interessarlo maggiormente. Quindi, gli studenti vengono divisi in gruppi di lavoro eterogenei, accomunati solo dall’interesse espresso. L’insegnante mostra ora i materiali che essi potranno utilizzare nella fase della ricerca di gruppo e illustra chiaramente le varie fasi del percorso di ricerca.
  • Fase II: i gruppi pianificano le loro ricerche
    I membri dei gruppi si assegnano ai ruoli, esplorano i materiali proposti dall’insegnante, pianificano il percorso di lavoro. Tale fase necessita di due lezioni.
  • Fase III: i gruppi conducono le ricerche
    Questa fase necessita di tre ore di lavoro in cui ogni gruppo cercherà una risposta alle domande di partenza, da elaborare anche sotto forma di relazione o di tema.
  • Fase IV: i gruppi pianificano le loro rappresentazioni
    I gruppi dedicano mezzora a stabilire come pianificare la presentazione del lavoro
  • Fase V: i gruppi effettuano le loro rappresentazioni
  • Fase VI: insegnante e studenti valutano il progetto
    Prima lezione: valutazione individuale. Si basa su lavori scritti da ciascuno studente, che possono rispondere, ad esempio, ad uno di questi quesiti: “Scegli una poesia e descrivi perché ti piace. Ci sono parole che suscitano sentimenti particolari? Quali immagini ti evocano le parole?”; “Spiega come la vita e l’ambiente del poeta si collegano alla sua poesia”.
    Seconda lezione: valutazione dell’intera classe attraverso una discussione prima a coppie e poi in gruppo con una domanda stimolo di questo tipo: “In che modo la ricerca di gruppo vi ha aiutato a capire qualcosa di più della poesia?”.

È evidente che in un’attività di questo tipo sono necessarie elevate abilità linguistiche. Tuttavia, limitando l’argomento di ricerca o prevedendo momenti in cui possa essere utilizzata la lingua madre, è possibile trarre da questa modalità di lavoro spunti utili per ripensare alla propria didattica.
Vediamo tuttavia come un lavoro di questo tipo si attagli perfettamente alle esigenze di una classe eterogenea in cui a tutti viene data la possibilità di rivestire un ruolo all’interno del gruppo e di imparare a negoziare il proprio punto di vista. Non solo, la molteplicità degli stimoli garantisce la valorizzazione delle molteplicità delle intelligenze. Un punto importantissimo, questo, anche per la Complex Instruction.

La Complex Instruction e le abilità multiple

Come poc’anzi affermato, gli aspetti considerati fanno riferimento ad un contesto in cui l’insegnante si trova ad insegnare la medesima lingua (lingua madre o lingua straniera) a tutto il gruppo classe. Come già notato da Cohen, lo scenario di chi si trova ad insegnare con conoscenze e competenze linguistiche diversificate è estremamente complesso. Diverso è infatti insegnare in un ambiente in cui gli alunni provengono da contesti culturali diversi, ma possono – con possibili differenze di conoscenza e competenza individuali – padroneggiare il medesimo medium linguistico, ovvero una lingua “neutra” che è poi l’oggetto cognitivo dell’apprendimento,  dall’insegnare “altro” in una classe multilingue, dove però la lingua medium è quella del Paese in cui si situa l’apprendimento. In questi casi, infatti, gli aspetti legati alla classe sociale e alla cultura sono ancora più mescolati al problema linguistico. È importante rilevare come aspetti che fanno riferimento al pregiudizio possono ostacolare gli apprendimenti, non solo perché possono “bloccare” chi è più in difficoltà – impedendogli di manifestarsi pienamente, ma anche perché impediscono il crearsi di relazioni positive all’interno del gruppo. A questo proposito può essere utile ricordare la ricerca operata in contesto cipriota da Zembylas22, il quale sottolinea come il ruolo dell’educazione dovrebbe essere quello di identificare pratiche, strategie e spazi in cui sia possibile l’affective solidarity, da costruire attraverso il dialogo e la mediazione.
Ma come costruire dialogo e mediazione? Ancora una volta la pratica cooperativa può venire in aiuto, costruendo attività da svolgere in gruppo che si configurino come compiti ad abilità multiple e abbiano le seguenti caratteristiche:

  • abbiano più di un modo o più di una risposta per risolvere il problema;
  • siano di per sé interessanti e gratificanti;
  • permettano ad alunni diversi di dare contributi diversi;
  • usino strumenti multimediali; coinvolgano più sensi
  • richiedano una varietà di abilità e comportamenti;
  • siano impegnativi

Per chiarire meglio il concetto, Cohen sottolinea quando un compito non funziona bene per il modello basato sull’equo scambio dei partecipanti, e ciò avviene quando:

  • ha solo una risposta esatta;
  • può essere eseguito con più velocità ed efficienza da una persona che da un gruppo;
  • è di livello troppo basso;
  • implica la semplice memorizzazione o apprendimento di routine23.

In altri termini, la proposta è quella di “scombinare” le aspettative (proprie in quanto insegnante, di ciascuno studente verso se stesso e di ogni studente verso gli altri) per poi “ricombinarle”. In altri termini, invece di creare alte aspettative uniformi per gli studenti di status alto e basse aspettative uniformi per gli studenti di status basso, l’insegnante può creare una combinazione di aspettative per ognuno. Poiché le persone combinano le aspettative per decidere quanto ogni persona abbia contribuito alla soluzione di un compito, le aspettative diversificate sulla competenza dovrebbero ridurre in maniera sostanziale le differenze nella partecipazione tra gli studenti di status basso ed alto.
Per portare a termine questo intervento, all’inizio di ogni attività cooperativa, è necessario convincere gli studenti di tre cose:

  1. I compiti cooperativi necessitano di diverse abilità intellettive
  2. Nessuno ha tutte queste abilità assieme
  3. Ognuno ha alcune di queste abilità

Certamente il compito per il gruppo dovrà essere sufficientemente ricco, per utilizzare tutte queste abilità. Per esempio il compito può combinare la lettura, la scrittura, il calcolo con il gioco di ruolo, la costruzione di modelli, la creazione di canzoni, o la creazione di cartelloni.

Vediamo ora un esempio concreto24 presentato da Bower in una ricerca realizzata in due classi in un college americano nel 1989-90. Il punto, come vedremo, non è se utilizzare il Cooperative Learning ma come utilizzarlo. Non è infatti, secondo i teorici della Complex Instruction, che solo utilizzando il lavoro collaborativo vengano valorizzate le differenze di ciascuno. È necessario comprendere che le differenze fanno riferimento ad abilità diverse, mai statiche e sempre in continua evoluzione, che ciascuno di noi possiede, a volte in modo inconsapevole, e deve poter far emergere per il bene proprio e della comunità in cui è inserito. Ovviamente, il poter “mettere in campo” le proprie abilità non potrà che portare ad un aumento dell’autostima e alla fiducia che altre abilità potranno essere scoperte e acquisite. È pur vero che ci possiamo trovare di fronte a studenti che non sanno “dire” ciò che sanno fare, ma molto spesso basta un’intuizione per aprire nuovi squarci di senso, anche nel lavoro di gruppo.

L’argomento che ha coinvolto i gruppi di lavoro è stato I ruggenti anni Venti: il periodo dal 1919 al 1929. Le due classi coinvolte hanno trattato lo stesso argomento sempre utilizzando il Cooperative Learning. Nella prima classe le lezioni sono state organizzate in modo più “tradizionale”: l’insegnante forniva al gruppo stimoli che prevedessero la lettura e l’approfondimento di testi e come performance conclusiva una relazione che potesse riassumere quanto appreso. Nella seconda classe i gruppi hanno invece avuto stimoli che facessero riferimento a intelligenze “diverse”: l’argomento è stato presentato utilizzando opere pittoriche e musicali dell’epoca spesso in abbinata, la riflessione sulle caratteristiche salienti dei personaggi politici è stata fatta attraverso la lettura di vignette anche satiriche, che accentuassero le loro caratteristiche peculiari. La performance richiesta è stato un prodotto multimediale su uno specifico ambito rispetto al macro-argomento preso in esame, da realizzare utilizzando materiali vari proposti dall’insegnante, che spaziavano da espressioni letterarie a musicali a grafiche. In entrambi i casi alla fine si è proceduto con un test individuale. I risultati hanno mostrato come alunni con abilità già riconosciute avessero comunque incrementato il loro livello e, contemporaneamente, come avessero risultati più alti nella seconda classe quelli di livello culturale, inteso in senso molto ampio.

Una volta che è stato preparato il terreno con la strategia delle abilità multiple, l’assegnare “competenza” agli studenti di basso status è una seconda metodologia che può essere usata per modificare le aspettative. Se l’insegnante valuta pubblicamente uno studente di status basso come particolarmente capace in molteplici attività, quello studente tende a credere a quella valutazione come gli altri studenti che hanno assistito alla valutazione. Una volta che la valutazione è stata accettata, le aspettative su questa abilità per il determinato compito tendono ad influenzare le attività ed influenzare lo studente di status basso. Un successo in questo compito si traduce in un successo nei compiti del futuro lavoro di gruppo.

La facile obiezione potrebbe venire dal fatto che spesso gli studenti – specie se adolescenti – non amano essere messi in mostra, nemmeno per ciò che hanno effettivamente svolto. Ma qui entra un’altra accortezza: la capacità di valutare quel compito in relazione a quel momento. Non c’è una valutazione sulla persona, ma sulla prestazione, che poi ovviamente contribuisce ad aumentare l’autostima. Il fattore chiave è il riconoscimento pubblico della abilità, che è utile per il raggiungimento del compito da parte di tutto il gruppo.

Sintetizzando, possiamo dire quindi che il lavoro dell’insegnante deve vertere su due aspetti fondamentali: innanzitutto la preparazione delle attività, che richiede una cura e selezione dei materiali, che possono (meglio, dovrebbero) essere in alcuni casi bilingui per permettere di assumere ruoli di status diversi all’interno del gruppo, quindi predisporre dei ruoli all’interno dei gruppi, tali da garantire un’adeguata partecipazione al lavoro da parte di tutti i membri del gruppo.

Ciascuno all’interno del gruppo è consapevole dell’importanza del proprio ruolo e dell’imprescindibilità con quello degli altri (non è forse questo lavorare in una prospettiva ecologica in cui alcuni principi fondamentali sono le relazioni, l’importanza del contesto,  l’emergenza dell’apprendimento, la qualità, la diversità, l’attività?25). Lo scopo è il raggiungimento del compito richiesto e questo crea una forte interdipendenza tra i vari membri, che, se finalizzata, supera i limiti derivanti dalle differenze culturali, che spesso, come già notato da Cohen, si traducono in differenze di status. Come nota la stessa Cohen, “una visita ad una classe che lavora con strategie di apprendimento cooperativo permette di osservare molti alunni che studiano le schede e i fogli di lavoro, discutendo su ciò che dicono e che devono fare. Le classi con una più alta proporzione di alunni impegnati nella lettura e nella scrittura hanno ottenuto esiti migliori nel test di lettura/comprensione. Gli studenti leggono e scrivono con uno scopo, non per svolgere a tavolino qualche esercizio che per loro non significa nulla”26. In questo modo è possibile lavorare nell’eterogeneità puntando all’equità. Per produrre questo risultato, è necessario trattare e cambiare queste aspettative riguardo le competenze e le non competenze che stanno causando le disuguaglianze cercando di sviluppare due interventi: la metodologia delle abilità multiple, e l’assegnare ruoli specifici a studenti di basso status.

Alcuni parallelismi tra principi del Cooperative Learning e dell’apprendimento linguistico

Vorrei a questo punto ritornare allo specifico dell’apprendimento linguistico in una prospettiva ecologica, facendo riferimento agli studi di McGroarty27, la quale, dal canto suo, vede come ci sia una stretta connessione tra i modelli e i metodi con cui si costruisce il processo di insegnamento apprendimento linguistico e quelli fondanti il Cooperative Learning. Essi fanno riferimento a tre processi basilari e a quattro nodi problematici necessariamente presenti e strettamente interrelati. I primi tre riguardano la modalità con cui viene impostato il processo d’insegnamento-apprendimento:

  • Prima di tutto la necessità di una esposizione alla lingua il più possibile varia, ovvero attraverso stimoli che coinvolgano sensi diversi e quindi intelligenze diverse.
  • Secondo, l’interazione tra studenti che sperimentano, all’interno del gruppo, ruoli diversi per adempiere al compito da svolgere offre maggiori possibilità di porre domande, di chiarire significati, di leggere il percorso educativo da più punti di vista.
  • Terzo, all’interazione non può che seguire la negoziazione, che spinge a rivedere i propri punti di vista, pre-concetti, pre-comprensioni (nonché pregiudizi!), ma nello stesso tempo, nello specifico dell’apprendimento linguistico spinge ad affinare le proprie abilità linguistiche per creare quello che Swain28 lucidamente chiama “comprehensible output” per gli interlocutori. Ora, perché ciò possa essere realizzato, l’insegnante di lingua deve proporre un adeguato setting operativo che risponde alle esigenze di una classe o di un gruppo di per sé eterogenei: un lavoro in gruppo in cui siano predisposti ruoli diversificati che prevedano l’utilizzo di abilità e competenze linguistiche diversificate; la presenza quindi di gruppi eterogenei; garantire l’utilizzo di più canali per l’apprendimento in modo da valorizzare l’utilizzo di intelligenze multiple e diversificate; far entrare l’extra-scuola nella scuola, ovvero valorizzare altre forme e modalità apprenditive.

Tuttavia, concordando con McGroarty, non possiamo certamente sostenere che il Cooperative Learning possa essere considerato la soluzione per ogni tipo di difficoltà. Molte questioni rimangono aperte, ad esempio:

  • come creare attività cooperative che stimolino quelle “zone di sviluppo prossimale” di vigotskiana memoria;
  • come creare proficue interrelazioni tra le competenze orali e di scrittura;
  • come bilanciare l’intervento dell’insegnante e l’interazione tra pari;
  • come lavorare nella “fase del silenzio”.

Del resto, abbiamo iniziato il nostro breve percorso con un invito a sentirci un po’ tutti “viandanti” nel cammino della vita invitandoci l’un l’altro a tracciare delle orme, a volte incerte, talora più profonde. Le questioni aperte spingono a continuare la ricerca, forti di ciò che sappiamo e generosi nel condividerlo e nell’insegnare a condividerlo. Ci piace pertanto concludere con un’altra citazione tratta questa volta dagli scritti di Kagan, uno dei più grandi esperti di Cooperative Learning: “Se rimaniamo isolati, rischiamo di non vedere la forza della grande foresta che siamo”. Una frase che ci riporta ad una forte visione “ecologica” e che ci richiama alla possibilità di costruire fugaci orizzonti di senso nel non-senso che a volte sembra pervadere la nostra vita.

Note

  1. Mantovani, G., Intercultura. È possibile evitare le guerre culturali?, Il Mulino 2004.
  2. Per una riflessione su queste tematiche cfr. Adams S., Janover M., Introduction: Theorising the Intercultural, in Journal of Intercultural Studies – Vol. 30, Number 3, August 2009, p. 229
  3. Giusti M., Pedagogia interculturale. Teorie, metodologia, laboratori, Laterza Roma-Bari 2004, p. 101
  4. Mantovani, G., Intercultura. È possibile evitare le guerre culturali?, Il Mulino 2004,
  5. Van Lier, L., The ecology and semiotics of language learning: a sociocultural perspective, Kluwer Academic Publishers, 2004, p. 7
  6. Mantovani, G., Intercultura. È possibile evitare le guerre culturali?, Il Mulino 2004
  7. cfr. Geertz, The uses of diversity, in Borofsky R., L’antropologia culturale oggi, Meltemi Roma, 2000
  8. Bagheri Noaparast, K., Khosravi Z., Una concezione dinamica dell’umanità, in Gobbo F., Il Cooperative Learning nelle società multiculturali. Una prospettiva critica, Unicopli Milano 2010, p. 158
  9. Cohen E., Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività, Erickson 2002
  10. Sharan Y., Cooperative Learning: un approccio pedagogico diversificato, in Gobbo F., Il Cooperative Learning nelle società multiculturali. Una prospettiva critica, Unicopli Milano 2010, p. 36
  11. Idem, p. 36
  12. Kagan S., McGroarty M., Principles of Cooperative Learning for Language and Content Gains, in Cooperative Learning: A Response to Linguistic and Cultural Diversity. Language in Education: Theory and Practice 81,
    http://www.eric.ed.gov/ERICDocs/data/ericdocs2sql/content_storage_01/0000019b/80/13/9e/e9.pdf
  13. Rachel Ben-Ari, Complex Instruction and Cognitive Development, in Cohen E., Lotan R., Working for Equity in Heterogeneous Classrooms, Teachers College Press 1997, pp. 193-206
  14. Van Lier, L., The ecology and semiotics of language learning: a sociocultural perspective, Kluwer Academic Publishers, 2004, p. 221-224
  15. Sharan Y., Sharan S., Gli alunni fanno ricerca. L’apprendimento in gruppi cooperativi, Erickson 1998, p.28
  16. Sharan Y., Sharan S., Gli alunni fanno ricerca. L’apprendimento in gruppi cooperativi, Erickson 1998, p. 57-61
  17. Per semplicità inseriamo solo l’esemplificazione di questa attività. Il titolo originale è “The four-stage rocket” ed è stata presentata da Cohen nel suo Designing groupwork. Strategies for the heterogeneous classroom, New York, Teachers College Press 1986. L’attività è inserita in Chiari G., Presentazione all’edizione italiana, in Sharan Y., Sharan S., Gli alunni fanno ricerca. L’apprendimento in gruppi cooperativi, Erickson 1998, p. 57-58.
    Gli alunni imparano che per far volare come un razzo la discussione in gruppo sono necessarie quattro abilità: la concisione, l’ascolto, la riformulazione e il contributo di ciascuno. Ogni abilità viene presentata separatamente, poi gli studenti le esercitano conducendo una discussione, su un argomento scelto dall’insegnante e i gruppi procedono come segue:
    FASE 1: La concisione. I membri del gruppo conducono una discussione su un argomento per 5 minuti. Uno studente segna il tempo (timer) assicurandosi che ognuno parli per soli 15 secondi.
    FASE 2: L’ascolto. La discussione riprende per altri cinque minuti. Viene scelto un altro timer che controlla che ciascuno parli per non più di 15 secondi, aspettando 3 secondi a prendere la parola dopo che la persona precedente ha parlato.
    FASE 3: La riformulazione: Nuova regola: chi prende la parola deve riassumere in breve quanto detto da chi ha parlato poco prima.
    FASE 4: Il contributo di ognuno: Nuova regola: nessuno può intervenire in un secondo turno finché ogni membro del gruppo non sia intervenuto.
    Quest’esercizio aiuta gli studenti a riflettere sui meccanismi che facilitano o bloccano una discussione in gruppo.
  18. Chiari G., Presentazione all’edizione italiana, in Sharan Y., Sharan S., Gli alunni fanno ricerca. L’apprendimento in gruppi cooperativi, Erickson 1998, p. 12
  19. Idem, p. 13
  20. Si veda la trattazione completa dell’attività in Sharan Y., Sharan S., Gli alunni fanno ricerca. L’apprendimento in gruppi cooperativi, Erickson 1998, p. 139-147
  21. Convenzionalmente si assume che una lezione corrisponda ad un’ora di lavoro
  22. Zembylas M., The affective politics of hatred: implications for education, in Intercultural Education, Vol. 18, Number 3, August 2007, p. 187
  23. Cohen E., Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività, Erickson 2002, p. 84-85
  24. La trattazione dell’intero percorso, strutturato come presentazione di ricerca si trova in Bower B., Effects of the Multiple-Ability Curriculum in Secondary Social Studies Classrooms in: Cohen E., Lotan R., Working forEquity in Heterogeneous Classrooms, Teachers College Press 1997, pp. 117-131
  25. cfr. Van Lier, L., The ecology and semiotics of language learning: a sociocultural perspective, Kluwer Academic Publishers, 2004, pp. 4-8
  26. Cohen E., Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività, Erickson 2002, p. 166
  27. McGroarty M., Kagan S., Cooperative Learning and Second Language Acquisition , in Cooperative Learning: A Response to Linguistic and Cultural Diversity. Language in Education: Theory and Practice 81,
    http://www.eric.ed.gov/ERICDocs/data/ericdocs2sql/content_storage_01/0000019b/80/13/9e/e9.pdf
  28. Cfr. Swain, M., Communicative Competence: Some roles of comprehensible output in its development, in Gass S., Madden C., Input in Second Language Acquisition, Rowley, MA, Newbury House 1985, pp. 235-253

Bibliografia

  • Mantovani, G., Intercultura. È possibile evitare le guerre culturali?, Il Mulino 2004
  • Swain, M., Communicative Competence: Some roles of comprehensible output in its development, in Gass S., Madden C., Input in Second Language Acquisition, Rowley, MA,  Newbury House 1985
  • McGroarty M., Kagan S., Cooperative Learning and Second Language Acquisition , in Cooperative Learning: A Response to Linguistic and Cultural Diversity. Language in Education: Theory and Practice 81,
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  • Comoglio M., Cardoso M., Insegnare e apprendere in gruppo, LAS 1996 e Comoglio M., Educare insegnando, LAS 1999