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La formazione degli automatismi nell’apprendimento di una L2: una nozione complessa

Per automatismo si intende in genere una reazione ad uno stimolo che si verifica rapidamente e senza pensare e riguarda il linguaggio esattamente come succede per le abilità motorie.
Nella formazione degli automatismi che si realizzano con il fissaggio di una determinata ‘risposta’, si giocano molteplici fattori ma soprattutto il contesto di situazione in cui l’interiorizzazione di una lingua si sviluppa.
Nell’acquisizione linguistica che avviene in contesto naturale e spontaneo, la formazione corretta di automatismi è il risultato dell’attivazione di un modello mediante la reiterazione del medesimo output per tentativi ripetuti senza pensare alla posizione o al movimento degli organi fonatori coinvolti ma semplicemente al risultato.
Diversa è la situazione di apprendimento di una lingua seconda. È evidente soprattutto in ambiente formale in cui la formazione degli automatismi non è in genere possibile senza passare attraverso un processo controllato che comporta la temporanea attivazione della memoria e dell’attenzione.
Nel processo di interiorizzazione linguistica sappiamo che agiscono due distinte forme di conoscenza:
una esplicita e l’altra implicita. Per conoscenza esplicita delle regole, chiamata anche ‘dichiarativa’, si intende la conoscenza linguistica che esiste nella nostra mente indipendentemente dall’effettiva produzione. Si tratta di una conoscenza la cui costruzione in genere è affiancata dal metalinguaggio che è il linguaggio tecnico con cui descriviamo la lingua: come ad esempio il termine fonema o palatale laterale (che è il suono presente nelle parole famiglia, sbaglio, digli/diglielo).
La sua caratteristica principale è di essere disponibile come rappresentazione consapevole per descrivere quel che sappiamo fare con la lingua.
La conoscenza implicita invece si realizza soltanto nella effettiva produzione e per questo viene detta procedurale. È una conoscenza tacita che non si accompagna alla capacità di descrivere le ragioni dei giudizi ma consente di esprimere un giudizio sulla loro grammaticalità sulla scorta del ‘senso’ della lingua. Qui la distinzione tra parlanti nativi e apprendenti diventa importante.
Prendiamo il caso dell’articolazione della palatale laterale di famiglia, figlio, sbaglio, digli/diglielo ecc. ma che, nell’acquisizione naturale, si realizza senza avere la consapevolezza di come questo suono venga prodotto; è problematica anche per chi proviene da alcune regioni del sud dell’Italia.
Non occorre conoscere la posizione e il movimento dell’organo fonatorio impegnato, la lingua per produrre – in qualche caso non correttamente – questo suono idisiocrincratico dell’italiano che è interiorizzato lentamente nel processo di acquisizione naturale.
Nel caso di una seconda lingua, la conoscenza implicita coinvolge il sistema dell’interlingua, per cui la produzione della palatale laterale e che costituisce una novità per la gran parte degli apprendenti, il processo sarà ancora più lento e non raggiungerà l’automatismo senza una attenzione e uno sforzo consapevole.
Oltre alle regole che usiamo in modo intuitivo e senza consapevolezza, la conoscenza implicita è composta da routines prefabbricate che, come le ricerche sulla comprensione dimostrano, la mente elabora in modo più efficiente. Mi riferisco qui a tutte quelle routines prefabbricate, espressioni fisse o semi fisse quali “come no?” “ma va!” “Mamma mia!“ “Meno male” interiorizzate in blocco come unità lessicali uniche.
A rendere la questione più complessa si aggiunge la considerazione che tanto la conoscenza esplicita quanto quella implicita possono essere elaborate in modo controllato o automatico.
Con la pratica tanto la conoscenza esplicita che quella implicita, ossia quella conoscenza di cui i parlanti nativi non hanno consapevolezza, diventano automatiche. Un italiano che ha acquisito la sua lingua può riflettere esplicitamente sul meccanismo di articolazione già immagazzinato della palatali laterali e se occorre, lavorare esplicitamente su difetti e idiosincrasie derivanti da fattori individuali o regionali.

L’automaticità e reiterazione

Desidero ora capire qual è il ruolo della reiterazione nella creazione degli automatismi nella comunicazione.
Se analizziamo le diverse pratiche discorsive osserviamo che la reiterazione, ossia le ripetizioni in tutte le loro diverse forme, sono una caratteristica ‘dilagante’ della conversazione autentica. Le reiterazioni possono prendere la forma di una copia alla lettera di quanto è stato già detto con un ritardo di mezzo secondo oppure con qualche variazione.
Studi recenti esaminano varie tipologie del discorso dal teatro, alla poesia, all’acquisizione della L1 e L2, alla comunicazione aeroportuale, alla psicoterapia, alla Lingua dei Segni e alle varie tipologie conversazionali.
Gli studi che si inquadrano nel paradigma dell’analisi della conversazione, hanno contribuito a capire meglio le funzioni della reiterazione. La sua caratteristica saliente è la ripetizione di quanto il parlante o altri già ha detto. Entrambi i tipi di reiterazioni svolgono una serie di funzioni comunicative.
Tra gli altri usi, la ripetizione è una conferma per chi ha pronunciato inizialmente l’enunciato che l’interlocutore (che ha ripetuto l’enunciato) è attento, e ha o sta focalizzando la sua attenzione su l’oggetto della conversazione. Ripetere enunciati o parti di essi può svolgere una varietà di funzioni, confermare, esprimere accordo, disaccordo, provocare, fare una domanda, a seconda della natura
dell’atto comunicativo (richiesta di informazione, un annuncio, una affermazione) e in base all’intonazione e alla modalità espressiva che accompagna la reiterazione.
Schegloff (1997) ha studiato come questa strategia serva a capire come funziona la lingua nel creare il significato e nella negoziazione delle relazioni sociali. Per dimostrare quali sono le diverse funzioni della reiterazione immediata delle parole dell’interlocutore, Schegloff usa un esempio molto comune: la ripetizione verbatim del numero civico di un indirizzo appena pronunciato che serve ad avere la conferma di aver sentito bene, ma anche per segnalare che il messaggio è stato accolto e per segnalare a chi ha parlato che ora tocca a lui prendere la parola.
Vi sono le “ripetizioni multiple” come espressioni quali no no no, con cui si segnala all’interlocutore che dovrebbe smettere di dire quel che aveva iniziato a dire o cambiare decisamente rotta. L’auto ripetizione è una strategia comunicativa, nel senso che consente a chi ha la parola di non perdere il suo turno, o guadagnare tempo per pianificare ciò che vuole ancora dire o per scoraggiare gli ascoltatori
a prendere la parola.
Una caratteristica particolarmente interessante emersa da uno degli studi sulla reiterazione ha messo in evidenza che le persone bilingue (inglese e tedesco) osservate – usano auto ripetizioni ma in parti diverse dell’enunciato.
Quando parlavano in inglese i soggetti studiati tendevano a ripetere le preposizioni, mentre in tedesco preferivano ripetere i pronomi dimostrativi. Questo fenomeno sembra legato alla caratteristiche distintive e specifiche della diversa struttura delle due lingue.
Tra le ricerche più interessanti sulle reiterazioni bisogna segnalare quella che riguarda le differenze fonetiche e prosodiche che contraddistinguono nella conversazione gli enunciati delle stesse parole. Il modo in cui si usa e si percepisce la lingua quando si conversa si collega molto intimamente con il livello sonoro del discorso.
Certamente l’idea che la reiterazione delle parole pronunciate in una conversazione è l’esatta ripetizione si regge solo se consideriamo le parole avulse dal loro contesto, ossia come lemmi di un dizionario, denudate della loro sonorità. Se prendiamo in considerazione il peso semantico della qualità della voce, osserviamo che una parola ripetuta con pronuncia o intonazione diversa è in effetti un’altra parola anche se le forma scritta è la stessa. Uno studio interessante esamina la differenziazione fonetica nella ripetizioni delle conversazioni. L’analisi fonetica del messaggio di riparazione, in cui il parlante ripete un enunciato perché l’interlocutore ha manifestato di non aver capito, mostra che nella ripetizione, l’enunciato, pur constando delle stesse parole è sempre diverso dalla prima versione e che il pattern di questa distinzione varia a seconda che il messaggio da ripetere sia legato dal discorso precedente o che invece non abbia alcun legame con quanto detto precedentemente.
La realizzazione fonetica quindi serve a caratterizzare la natura della relazione tra l’espressione ripetuta e la sua iniziale occorrenza. In uno studio viene evidenziato che una intonazione discendente esprime che si sta ascoltando mentre una intonazione ascendente indica uno stato emotivo quale sorpresa o interesse.
Anche le analisi di grandi data base come il British National Corpus hanno rafforzato la convinzione che le reiterazioni sono molto ricorrenti nelle varie pratiche discorsive.
Nel settore della neurolinguistica, Whitaker (1982) ha dimostrato che ripetere con un mezzo secondo di ritardo (shadowing) o modificare enunciati già pronunciati può essere il segno della capacità linguistica automatica.
La ripetizione di quanto il parlante ha già detto può attirare l’attenzione dell’ascoltatore su qualcosa che il parlante ha notato, oppure sottolinea l’importanza di qualcosa, o esprime in modo più accurato o corregge un malinteso.
Whitaker ha studiato l’automaticità di certi tipi di produzione linguistica nei pazienti afasici che hanno subito danni irreversibili nelle zone della produzione del linguaggio del cervello e per effetto di ciò hanno perso la capacità di produzione spontanea. Questi pazienti conservano intatta la memoria esplicita e quindi sono in grado non solo di ripetere verbatim parola per parola con shadowing ma anche di compiere trasformazioni semplici come ad esempio il cambiamento dei tempi verbali, persona (io, tu,) e il tipo di frase quali affermazioni, domande, negazioni perché questo tipo di produzione viene elaborata nella parte del cervello che è deputata alle funzioni automatiche. Gli esempi di Whitaker sulla produzione linguistica automatica da parte di pazienti afasici con danni cerebrali sono straordinariamente simili alle reiterazioni e alle variazioni riscontare nella conversazione ordinaria.
La differenza tra l’uso di strategie di reiterazioni da parte di afasici e non, è che i soggetti normali usano la ripetizione in aggiunta e assieme alla produzione linguistica consapevole.
Ciò nonostante la ricerca sugli afasici fornisce la prova dell’automaticità di queste strategie.
La ricerca quindi ha rafforzato l’ubiquità e l’importanza delle reiterazioni come strategia di costruzione del significato e ha allargato l’analisi delle diverse modalità in cui la reiterazione opera nell’interazione in una gamma di situazioni.
Non è un caso quindi che sulla reiterazione che si collega con la formazione di automatismi, giochino gli spot pubblicitari che sono stati presentanti durante il convegno.

La reiterazione in glottodidattica

Se ora pensiamo alla glottodidattica, la reiterazione è associata a una visione meccanicistica che privilegia procedure di tipo manipolativo-ripetitivo, ideali per la formazione e il consolidamento di abitudini senso-motorie. Scopo del pattern practice, gli esercizi su modello, chiamati appropriatamente drills, (parola che in inglese significa tanto trapano o trivella quanto esercitazione militare), era appunto quello di creare automatismi tesi a monopolizzare l’attenzione dell’ apprendente ingaggiandolo in una sorta di ginnastica verbale ripetitiva che, sulla scorta di un principio dell’analogia, assicurava il fissaggio dei modelli strutturali.
Le procedure opportunamente controllate a priori si concentravano sulle caratteristiche formali operando sostituzioni, mutazioni e trasformazioni. Esse prevedevano una lunga batteria di esercizi sulla flessione del verbo e del nome, sull’accordo tra soggetto e verbo o tra aggettivo e nome – o sul cambiamento nell’ordine delle parole, dalla forma attiva a quella passiva, dalla modalità dell’indicativo all’interrogativo, all’imperativo, al congiuntivo, da frasi semplici a complesse. Gli espedienti adottati per apprendere la grammatica nelle fasi iniziali tendevano a concentrare l’attenzione sulla forma, ossia sulle operazioni di ripetizione e sostituzione di un elemento lessicale all’interno di una modello strutturale che rimaneva costante.
L’apprendimento di ispirazione comportamentista si sviluppava attraverso forme di pratica che si pensava molto gradualmente operassero cambiamenti più complessi quali la trasformazione strutturale.
Per evitare ogni forma di ragionamento consapevole l’apprendente doveva reagire rapidamente agli stimoli. In genere gli accorgimenti consistevano nel fornire sempre un modello iniziale da seguire per tutto l’esercizio e nel focalizzare l’attenzione sulla memorizzazione del lessico. Parcellizzando il processo di apprendimento in piccole tappe raggiunte quasi, se non del tutto, meccanicamente mediante prestazioni linguistiche già previste, in una sorta di catena di montaggio ben architettata, gli apprendenti non commettevano errori indesiderati, erano costretti a non pensare nella propria lingua e non avevano la possibilità di osservare attentamente o compiere altre attività metalinguistiche sul funzionamento della lingua seconda.
L’adesione ad una visione che per brevità definiamo ‘comunicativa’ avvenuta negli ultimi trent’anni ha determinato un cambio di paradigma nella glottodidattica, privilegiando procedure in cui gli apprendenti sono messi a confronto con input meno controllato e più realistico e con attività più significative.
Per prendere coscienza dell’uso del passato prossimo in italiano invece degli esercizi strutturali visti nel hand out, si preferisce adottare procedure e pedagogiche tese a superare l’assenza di significatività,
l’artificialità dello stimolo e il rischio della ipergeneralizzazione presenti nei drills.
Gli esercizi su modello sono contestualizzati e resi significativi. Le procedure adottate fanno leva su rapporto di significato esistenti tra parole e cose (applicazione), tra le diverse classi di parole in una lingua, in cui il prompt è dato in forma visiva o è legato alle conoscenze del mondo e all’enciclopedia dell’apprendente, o in forma di effetto sonoro (e suoi rapporti semantici quali Sinonimia, Iponimia, Antonimia, causa effetto). Oltre all’applicazione, le procedure adottate vertono sulle relazioni che governano il lessico (collocazione) e sulle parole nelle diverse frasi o enunciati (implicazione).
In genere le attività e i compiti dei materiali didattici mirano a simulare quanto effettivamente accade nella comunicazione reale, prevedendo una possibilità di scegliere e di negoziare l’informazione. Si usano quindi procedure quali quelle di information gap e quindi della produzione di enunciati che presentano una certa ‘originalità’, in una parole a procedure contestualizzate e soprattutto significative .
In questa prospettiva assume particolare importanza la scelta del materiale (che per il caso in questione deve necessariamente presentare forme di reiterazione) e l’uso che di questo fa chi apprende.
Una possibilità è esemplificata dalla lettura di un testo come il seguente, tratto da Pericle il Nero di Giuseppe Ferrandino, che potrebbe dare l’occasione per osservare l’uso del passato prossimo mediante molteplici procedure.
La voce narrante è quella di Pericle, napoletano che di mestiere fa il “soldato” di un boss di quartiere di Napoli.

Via Roma pure alle quattro del pomeriggio tiene traffico e le macchine certe volte ci passi in mezzo che non ci fa neanche caso, paiono pietre. Quelli dietro si stanno fermi, e non fosse per il clacson paiono pure loro cose. Io mi sono infilato in mezzo con la Vespa e per poco ho corso passando tra una macchina e l’altra. Poi mi sono messo sulla sinistra di un autobus senza pensare perché, ma forse perché era grande.
Quelli delle macchine che mi venivano contro non dicevano niente, e io non mi muovevo di là. Quando l’autobus si fermava io pure mi fermavo.
Quando l’autobus è arrivato all’altezza della Galleria, l’ho lasciato e sono sceso verso il porto. Poi ho girato verso i Quattro Palazzi e sono risalito per via Cardone. I marocchini occupavano la strada chiacchierando come niente fosse, e io ho suonato. Quando ho girato per via Mezzana e sono arrivato nello slargo mi sono accorto che stavo un’altra volta fuori ai vicoli dei Quartieri.
Ho pensato: mo’ vado a prendermi un caffè; ma poi ho deciso di no.