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Tana, liberi tutti!

Premessa

Esiste una qualche relazione tra l’apprendimento, rapido e duraturo, della lingua italiana e il gusto degli spaghetti all’ amatriciana (ci vanno gli spaghetti come fanno ad Amatrice, non i bucatini), ed i rumori e le voci di un mercato rionale, ed i profumi di un’osteria, e la raccolta di informazioni in piazza tra i passanti, e la preparazione della pizza, e la richiesta di informazioni alla segreteria di un’università, e la risposta ad annunci per la ricerca di un lavoro o di una casa, e la visita ad una azienda vitivinicola o ad un frantoio, …?

Era l’anno 1651 quando Thomas Hobbes scriveva nel Leviatano che il bisogno, madre di tutte le invenzioni, fa nascere le lingue; ma Hobbes in realtà riprende Tito Lucrezio Caro (95 – 55 a.C.) che nel De rerum natura asserisce che è la natura che ha spinto l’uomo ad emettere suoni grazie agli organi di fonazione, ma è il bisogno che ha fatto nascere i nomi delle cose. Sono considerazioni piene di semplice buon senso, buon senso che spesso dobbiamo recuperare attraverso le letture e lo studio di venerabili pensatori.

Ripeto ora la domanda: esiste una qualche relazione tra l’apprendimento rapido e duraturo dell’Italiano e il gusto degli spaghetti all’amatriciana (ci vanno comunque gli spaghetti, come fanno ad Amatrice), i rumori e le voci di un mercato rionale, i profumi di un’osteria, la raccolta di informazioni in piazza tra i passanti, la preparazione della pizza, la richiesta di informazioni alla segreteria dell’università, la risposta ad annunci per la ricerca di un lavoro o di una casa, la visita ad una azienda vitivinicola o ad un frantoio, …?  Confortato dalla parola dei saggi, ritengo che queste siano alcune, e solo alcune, delle situazioni che possono fornire la creazione del bisogno della lingua e che per questo, se opportunamente proposte, possano costituire una buona base o meglio un banco di prova su cui poggiare la pratica delle abilità linguistiche. Ma il vero risultato, il risultato profondo che consegue da queste pratiche è la modificazione dell’atteggiamento dello studente, che gradualmente promuove se stesso a libero ricercatore  attraverso la scoperta e la liberazione delle sue risorse.

Questo è quanto vado a dimostrare.

Dinamiche intime

Si userà qui il termine intimo per indicare quanto si accende entro i confini della nostra pelle e che viene comunemente definito pensiero, ricordo, emozione o quanto altro. L’uso di un aggettivo a definire tutte queste manifestazioni può sembrare una generalizzazione; al contrario, l’intenzione è quella di sottolineare in quale grossolano modo usiamo definire fenomeni dei quali neppure le avanguardie della scienza sanno dirci qualcosa di fondamentale che si avvicini al reale. Il termine dinamiche indicherà qui i movimenti, le modificazioni di tutto quel materiale che è stato chiamato intimo.

Queste brevi precisazioni ci introducono all’osservazione delle dinamiche intime attraverso le quali uno “studente” (altro vocabolo improprio e che andrà sostituito, soprattutto considerando questa impostazione, ma che si utilizzerà in questo scritto per comodità) si ritrova in una scuola; in questo caso ci limiteremo a parlare di una scuola di lingue ma per le altre il discorso cambia di molto, molto poco. Una precisazione: si parla qui di dinamiche intime e non di motivazioni. Queste ultime sono ovviamente differenti per ogni persona poiché rappresentano una specie di titolo, di nome che viene dato alle dinamiche intime individuali, le quali, entro certi limiti, sono sondabili e comuni per ogni essere umano.

Il film o della capacità immaginativa

La persona che rappresenterà il nostro protagonista per questa riflessione si trova nella sua casa, in qualche angolo del mondo e sta vedendo un film italiano o leggendo un libro di autore italiano o che tratta dell’Italia o ha parenti o amici in Italia o si interessa di arte o altro argomento affine all’Italia; un qualsiasi evento esterno coerente può fornire l’innesco allo scatenamento, per un processo detto di risonanza, ad una serie di creazioni immaginative. Comincia ad immaginare sé, e questo suo sé immaginato si trova ad ammirare il Colosseo o a gustare un film in qualche sala italiana o a chiacchierare amabilmente nel salotto dei parenti italiani o a bearsi davanti ad una ‘mpepata di cozze da Ciccio ‘o pescatore o altro del genere. A questo punto bisogna valutare se l’auspicabilità proveniente dalle scene immaginative emerge in modo tanto forte da superare la soglia degli ostacoli concreti e mentali che sono in relazione alla famiglia, al lavoro, alle finanze, alla salute, al rapporto con se stessi. Nell’elenco appena riportato non compare il concetto di pigrizia o simili in quanto la pigrizia è una derivata, non una portante. Se non si oltrepassano le suddette soglie, rimane come residuo del materiale intimo che si è mobilitato, una vaga nostalgia, direttamente proporzionale all’effetto del”film” immaginato. Ma se ciò che il nostro protagonista prova varca il limite suddetto, troverà il modo di organizzarsi ad esempio iscrivendosi ad una scuola di lingue, forse in Italia.

Per avere una piccola ma efficace prova della potenza della facoltà che qui indicheremo come capacità immaginativa è sufficiente un breve ed innocuo esperimento.

Prima leggi i punti 1, 2 e 3 e poi prova a fare quanto viene richiesto:

  1. chiudi gli occhi e rimani così qualche secondo;
  2. pensa alla porta di entrata della tua casa, alla maniglia di questa porta; quando si è ben formata l’immagine apri la maniglia ed ora entra nella prima stanza. Immagina l’angolo in alto a sinistra di questa stanza della tua casa. Guardalo;
  3. riapri gli occhi.

Se provi a farlo con un minimo di concentrazione ogni particolare della tua casa sarà perfettamente ricostruito nel tuo immaginario. Questo fenomeno è definito immaginario concreto: non sei in quel punto dell’universo ma lo stai ricostruendo in ogni particolare dentro di te. Aprendo gli occhi hai innanzi a te l’immaginario reale: questo è il punto dell’universo dove ti trovi in questo momento.

Se si prova l’esperimento richiamando all’attenzione fatti, oggetti, persone o altro a cui siamo molto legati si può avvertire anche l’effetto dell’auspicabilità o dell’inauspicabilità. Basta immaginare il primo bacio o una separazione o una vacanza indimenticabile o un grande problema o … sai tu cosa.

L’effetto, che si può avvertire ovunque sul e nel corpo (il nodo in gola, la pelle d’oca, il sudore freddo, le gambe molli, la stretta allo stomaco, la tachicardia, …), è dovuto all’auspicabilità o meno dell’evento che si è riacceso in noi.

Bisogna ben notare che l’auspicabilità e l’inauspicabilità non sono relative ad un luogo e/o ad una persona in assoluto, bensì all’immagine di sé, cioè alla propria presenza, ricostruita immaginativamente in quel luogo e/o con quella persona. Ne è la semplice riprova che un luogo o una persona amati da noi possono essere tranquillamente e contemporaneamente detestati da qualcun’altro.

La confidenza

A questo punto possiamo ritrovare il nostro protagonista seduto davanti a noi, in qualche aula della scuola e dentro di lui ci sono i suoi film immaginativi, corroborati dal relativo effetto di auspicabilità ancora ben pulsante e caldo. Se così è, inizia qui un doppio percorso: uno riguarda il suo sviluppo linguistico attraverso le attività che proponiamo in classe, un altro riguarda il suo rapporto con l’Italia (sia nel caso che il corso si svolga in Italia, sia che si svolga nel suo paese e che l’Italia sia la meta di una prossima visita). I testi che solitamente si utilizzano per i primi livelli assolvono in parte ad ambedue queste funzioni: ordinare al bar, chiedere informazioni, fare la spesa… Hanno anche la funzione di entrare in confidenza con l’Italia, in particolare se si tratta di materiale autentico.

L’importanza della confidenza con l’Italia è largamente trascurata dalle scuole di lingua, occupate e preoccupate a svolgere il programma e a valutare lo sviluppo linguistico dello studente dalla correttezza degli esercizi proposti in classe. Agendo in questo modo, si rischia di creare delle illusioni che verranno amaramente dissipate nel momento in cui devono destreggiarsi in Italia con un ambiente dalle regole più o meno sconosciute, in una lingua che padroneggiano molto relativamente: il padrone di casa, i controllori della metropolitana, i borseggiatori, il commissariato, fare conoscenza, l’ospedale, la banca, l’ufficio postale, una diversa alimentazione, il mal di denti …; non hanno confidenza con l’ambiente, oltre che con la lingua e questo è un fattore che non rientrava nei loro pensieri quando hanno progettato immaginativamente questa esperienza: si sentono strani rispetto all’intorno.

Questo effetto, dato dalle difficoltà del percorso, può essere genericamente definito stress, che è largamente superabile se il periodo dello stesso è limitato, ma si può aggravare tanto più è duro l’impatto o più lunga è la permanenza o tanto è più labile la condizione interiore. Nel caso di forte stress e/o di lunga permanenza si può prevedere come conseguenza l’abbandono dell’avventura italiana o l’arroccamento in territorio conosciuto e sicuro: condividere la casa con connazionali, il ristorante o la chiesa della propria nazione, leggere nella propria lingua o più tristemente chiudersi in camera a coltivare la nostalgia di casa. Molti studenti che studiano in Italia passano qualche ora a scuola ed il resto della giornata nel luogo in cui hanno ricostruito il loro paese. A questo punto sono in una situazione paradossale. Questa Italia, non è la loro Italia, non è il posto che avevano immaginato e di cui, soprattutto, avevano sentito gli effetti auspicabili. Anzi, è fonte di situazioni inauspicabili e così sentono che il loro sogno è stato tradito. Non conoscendo questi automatismi, il capro espiatorio usuale è la scuola o l’insegnante o gli italiani in generale. In realtà, molto più semplicemente, si trovano in un luogo e con persone con cui non hanno confidenza. Tutto ciò si può ripercuotere molto pesantemente sul loro percorso linguistico, dato che l’Italia e l’Italiano non sono più da avvicinare in quanto fonti di piacere, ma da allontanare perché procurano disagio; ne possono risentire pesantemente le presenze, lo svolgimento delle attività ed in generale il clima della classe. Se ne avverte tanto più l’effetto quanto maggiore è la discrepanza tra immaginato e concreto. Se è nostro interesse ridurla bisogna armonizzare quanto possibile l’immaginato ed il concreto mediante l’avvicinamento e la conoscenza ai luoghi e alle persone. Lo sviluppo della conoscenza porta ad una sempre maggiore confidenza, etimologicamente fede e speranza negli altri, che sarà fondamentale per la loro autonomia personale, e quindi linguistica. La finalità è la coincidenza dell’auspicabilità dell’immaginato e di quella del concreto.

Anche di questa responsabilità deve farsi carico l’insegnante che ha la conoscenza e la coscienza di agire in un processo educativo e non si limita ad espletare le sue funzioni di impiegato.

Una soluzione

Negli anni passati, riflettendo su questi temi, sapevo che una soluzione era uscire dalla scuola per portare gli studenti all’interno delle varie realtà italiane. Le prime uscite con la classe si sono rivelate fallimentari. Andare in un mercato o in un museo o altrove per poi ricavarne in classe una striminzita relazione (Produzione libera scritta), è risultato una perdita di tempo vissuta dalla classe come un ameno diversivo e con lo stesso animo con cui si partecipa ad una gita scolastica; mentre per me insegnante si è trattato di un insuccesso, una occasione mancata.  Cosa non ha funzionato?

Per avere una buona risposta bisogna partire da buone domande: cosa andiamo a fare in quel posto? e perché? e per farne cosa?

Se non si ha chiarezza su ciò, il risultato è la suddetta gita scolastica. Gli obiettivi invece sono lo sviluppo del percorso linguistico, l’aumento della confidenza con gli ambienti “italiani” e il progresso del grado di autonomia dello studente in questi ambienti. Se si vede tutto questo da un punto di vista più generale, quelli appena descritti altro non sono che una porzione della continua riscoperta del mondo da parte di ognuno di noi. In che modo ogni individuo assolve al compito della personale ricostruzione dell’universo?  Le nostre risposte arriveranno attraverso ricerche ed esperienze continue e proporzionalmente ad esse. Una soluzione quindi è la ricerca, che nel nostro caso andrà calibrata all’obiettivo.

Qui nasce il problema, cioè proporre una attività che noi stessi poco conosciamo. Non si sa fare ricerca didattica; in nessun ordine di scuole viene insegnato in modo efficace a fare ricerca, tanto che la tesi di laurea è spesso la prima occasione. La mancanza è stata ben avvertita da Umberto Eco tanto da farne un libro di enorme successo tra gli universitari non solo italiani. Non si può quindi pretendere che gli studenti possiedano questa abilità per scienza infusa, come si tende a fare nelle scuole medie e nei licei, per poi accusarli di superficialità quando disattendono le nostre aspettative, basate su premesse false. Lo spirito di ricerca è un’abilità, e come ogni abilità va coltivata affinché cresca e si sviluppi. Andare al mercato o in un museo o altrove, secondo questo fine, necessita di tutta una serie di azioni ideative, progettuali, procedurali, realizzative e creative. Didatticamente, le azioni che sono qui proposte seguono i principi che muovono le attività che già si svolgono in classe alla DILIT, ma articolate funzionalmente ad un progetto di ricerca sul campo.

I momenti della ricerca

La prima difficoltà è di individuare fasi di lavoro che diano la possibilità, da un lato di approfondire gli aspetti che interessano dell’argomento, dall’altro che siano cronologicamente compatibili ed infine che siano tra loro coerenti. Quella che segue è una possibile e collaudata suddivisione funzionale della ricerca.

Il primo momento: l’ideazione

Si svolge in classe ed è probabilmente la parte più complessa, soprattutto se si è alla prima esperienza. Quando si propone una ricerca è possibile avere due reazioni da parte dello studente. Una è il blocco panico, quello che si potrebbe definire lavagna bianca o agorafobia ideativa; sembra che nessuna idea o preferenza si presenti e dà allo studente una sensazione sgradevole di vuoto interiore e di inadeguatezza. È, in realtà, un circuito chiuso governato dal panico che si prova di fronte a spazi troppo vasti di possibilità. L’altra si potrebbe chiamare valanga di proposte che ha il pregio di comprende gli argomenti più svariati ed il difetto di proporli in modo eccessivamente vago e disordinato. In questo secondo caso si accendono un numero così alto di ideazioni che l’effetto è di confusione e di incapacità a governarle.

La prima difficoltà di una ricerca è di delimitare adeguatamente i confini della stessa. Soprattutto la prima volta è bene che sia l’insegnante a farlo proponendo un tema ben specifico, come fosse un territorio delimitato, entro cui si può spaziare a piacere ma dal quale non si deborda. È la pratica che ci indicherà il miglior modo di operare. La seconda difficoltà è il taglio o gli indirizzi da dare alla ricerca, e questo dipende dalle caratteristiche del tema che si intende trattare. Quando la classe avrà un minimo di esperienza saprà cercare da sola argomenti a confine adeguato. Questo momento può essere trattato come Produzione libera orale (P.L.O.) e/o Produzione libera scritta (P.L.S.)+ Editing, in cui ogni coppia progetta un tema di ricerca e poi lo espone alla classe, che deciderà su quale lavorare. Ha dato buoni risultati anche annunciare giorni prima la discussione, di modo che chi voleva, potesse portare materiale (fotografie, video, libri, depliant, articoli…) per esporre più completamente la propria proposta durante le attività di Ascolto autentico  (A.A.) e di Lettura autentica (L.A.). Il tempo da dedicare a questa fase dipende dalle attività che si praticheranno e dalla quantità di proposte. Attenzione a non liquidare sommariamente nessuna proposta; può risultarne la frustrazione dei proponenti, che ovviamente la ritenevano valida.

Il secondo momento: la progettazione

Qui si sviluppa, in base al tema, la modalità della ricerca. Importante stilare un elenco delle fonti a cui attingere per procurarsi materiale ed informazioni. In questa fase può essere necessaria la formulazione di un questionario, di schemi o altro del genere (P.L.O. e/o P.L.S.+ Editing). Bisognerebbe anche arrivare ad avere le idee sufficientemente chiare, attraverso letture, video, internet o altro, in modo che le coppie, in cui sarà divisa la classe, possano già in questa fase accordarsi e decidere cosa osserveranno in modo particolare, cioè che impronta daranno al loro lavoro. È anche bene che dalla classe venga stilato un elenco di materiali da portare al momento dell’uscita vera e propria (carta, penna, dizionario, fotocopie, acqua, macchina fotografica, registratore, telefono cellulare… o quanto altro si giudichi opportuno). Meglio affiggere un elenco nell’aula che riporta la composizione delle coppie o dei gruppi e la divisione del lavoro. Il tempo per questa seconda fase è largamente dipendente dal modello di progettazione.

Il terzo momento: l’attuazione

Trattiamo separatamente le due realtà in cui un insegnante di italiano si può trovare: in Italia o all’estero.

Se l’insegnante lavora in Italia l’attuazione può riguardare uscite presso mercati, librerie, musei, giornali, luoghi d’arte, o qualsiasi altro luogo sarà deciso dalla classe. In questo caso deve assicurarsi, con buon anticipo, di poter fronteggiare i contrattempi che è in grado di prevedere a tavolino, a cominciare dai problemi logistici che si presentano ad ogni uscita: verificare le presenze al momento della partenza, verificare che ogni coppia abbia con sé il necessario (vedi elenco del materiale), curare il viaggio fino a destinazione, produrre una eventuale mappa dei luoghi, fornire le ultime indicazioni raggiunto il luogo della ricerca e comunicare l’orario di ritrovo finale, assicurarsi che ogni coppia abbia un telefono cellulare se ci trova fuori dall’abitato, ed in ogni caso è bene che l’insegnante ne disponga e comunichi il numero a tutti gli studenti, per ridurre il rischio di spiacevoli imprevisti. Le coppie hanno un tempo dato per procedere nella ricerca e presentarsi nel luogo del ritrovo finale. L’insegnante sarà sempre in zona ma a debita distanza, in modo da intervenire solo in caso di chiamata telefonica o se appura la necessità della sua presenza. Fin qui ho parlato di coppie in quanto così ho sempre praticato con le classi. La scelta è dettata da necessità pratiche: se si è in due c’è più probabilità che ambedue debbano parlare sia tra loro per la preparazione sia in eventuali interviste, poi è più semplice prendere decisioni in due che in tre o più, ed infine per motivi di sicurezza nella fase attuativa. L’insegnante deve anche valutare e comunicare agli studenti ed al responsabile d’istituto, il tempo totale dall’uscita dalla scuola al rientro.

Se invece l’insegnante si trova in una scuola all’estero può ricorrere all’informatica di cui lo strumento principe è Internet. Può essere utilizzato a scuola, se ne è fornita, o lasciarlo come lavoro per casa. Riporto qui di seguito, titoli di ricerche che sono state svolte attraverso Internet: raccogliere tutte le informazioni per una vacanza di 15 giorni per due persone a Pantelleria le prime due settimane di luglio; biografia di Carlo Azeglio Ciampi; Mantova ieri e oggi (arte, cucina, storia, …); informarsi per l’acquisto di una Vespa 125cc. di seconda mano in Puglia o di un vogatore usato in provincia di Ancona; leggere una pagina al giorno di un libro in italiano attraverso i siti delle biblioteche informatiche; entrare in una chat in italiano; … sono alcune delle idee. Ci sono poi colleghi che organizzano vacanze in Italia alla fine dei corsi o prendono contatti con associazioni, istituti, sindacati italiani nelle città dove risiede la scuola per le attuazioni delle ricerche o organizzano serate italiane con cucina, letture, film, …

Il quarto momento: l’elaborazione

L’elaborazione del materiale raccolto sul campo, può richiedere una ulteriore ricerca (enciclopedie, Internet, video, …) (A.A.+L.A.+P.L.O.) durante la quale ogni coppia meglio si orienta sul proprio spazio di presentazione. Per questo è necessaria una accurata selezione del materiale raccolto e la trasformazione di questo materiale in scritti, disegni, grafici, collages, fotografie e, al di sopra di tutto, una curata impostazione grafica generale, se si tratta di un cartellone. In questa fase il lavoro dell’insegnante, oltre a quello di facilitare il reperimento del materiale, è di ottimizzare l’organizzazione dei tempi di ogni coppia, cioè opererà in modo che ognuno lavori al suo elaborato o aiuti altri nel caso in cui terminasse prima. Questa parte può richiedere diverse ore, se il lavoro è svolto accuratamente, facendo attenzione a non svilire la qualità ma neppure di appesantire la classe: bisogna saper giudicare la tenuta di attenzione. Un sistema che ha dato buoni frutti è usare la prima parte della lezione, per i giorni che sono necessari.

Il quinto momento: la presentazione

Il prodotto finale può essere un cartellone o un filmato ma anche del teatro, una canzone o altro ancora. Si è dimostrata fondamentale l’esposizione pubblica che gratifica gli studenti dello sforzo compiuto e può stimolare altre classi e soprattutto altri insegnanti.

Controindicazioni

Le attività di ricerca, svolta nei seguenti modi, implica:

  1. livello di sopportazione emotiva dello studente, limite importante da rispettare, deve essere almeno discreto. Non va assolutamente confuso con il livello linguistico;
  2. grande quantità di energia, impegno e generosità da parte sia dello studente che dell’insegnante;
  3. grande senso di responsabilità e spirito di iniziativa di tutti;
  4. conoscenza almeno parziale dei luoghi e dei temi della ricerca da parte dell’insegnante, in modo di saper fronteggiare gli eventuali imprevisti altamente indesiderabili;
  5. tenere in attività utile ogni studente in ogni momento del lavoro;
  6. pianificare e far rispettare i tempi e le scadenze affinché il tutto non risulti misero o eccessivo;
  7. possibili spese addizionali: internet, rullini fotografici, biglietti vari, …;
  8. il coinvolgimento e la collaborazione delle autorità scolastiche nonché dei genitori nel caso di studenti minorenni;
  9. il riconoscimento delle risorse dello studente;
  10. la conoscenza e soprattutto la considerazione dei sogni dello studente..

Gli ultimi due punti dell’elenco credo che abbiano bisogno di qualche parola, in particolare per chi non ha letto gli articoli scritti su questo argomento negli Atti dei Seminari Internazionali DILIT degli anni passati.

Le risorse

L’argomento merita da solo una intera enciclopedia, ma ai fini dell’esposizione ci è sufficiente sapere che per risorse si intendono tutte le capacità dell’essere umano conosciute e sconosciute. Non importa che siano manifeste o meno oppure che vengano considerate ortodosse o meno.  Un esempio è opportuno. Di fianco al mio tavolo da lavoro è appeso al muro un calendario. Non lo uso come calendario perché non voglio strapparne le pagine. Per ogni mese c’è la riproduzione di un quadro: un mazzo di fiori gialli, un paesaggio marino, … . Se le considero esclusivamente come opere d’arte non mi danno piacere, data l’ingenuità e anche la banalità di alcuni; d’altra parte sento ammirazione per gli autori perché io non so dipingere neanche lontanamente qualcosa del genere. Perché tengo questo calendario? Perché i quadri riprodotti sono stati dipinti da artisti che usano il pennello con la bocca o con i piedi. Non è pietismo, è ammirazione per chi non si è fermato davanti a quella che viene chiamata una disgrazia, ma è stato ed è così spregiudicato da andare alla ricerca di risorse umane sconosciute e non ortodosse. L’enorme successo sta nell’averne trovate, non nel parere dei critici d’arte.

Lo studente, in quanto essere umano, ha in sé tutte le risorse degli esseri umani, a volte manifeste e a volte meno, a volte ortodosse e a volte meno. Mi piace pensare che il lavoro dell’”insegnante”, usando la terminologia corrente, sia proprio quello di facilitare la manifestazione delle risorse, nel senso più autentico dell’educare, ex ducere, portare fuori. Per poterlo fare bisogna innanzi tutto riconoscere che lo studente davanti a me è dotato di risorse.

Dinamica della nascita dei sogni

Ritorniamo al protagonista di cui si è parlato nella parte intitolata Il film o della capacità immaginativa. Quello che segue è, molto sommariamente, lo schema delle sue dinamiche intime nel caso in cui abbiano come effetto l’auspicabilità.

t1 – reale concreto                                     t2 – reale immaginario                  t3 – effetto auspicabilità (del t2)

Il reale immaginario che come effetto ha una forte auspicabilità prende comunemente il nome di sogno.

Nel film Tutto su mia madre, Pedro Almodovar fa dire ad Algrado: “Una è tanto più autentica quanto più assomiglia a ciò che ha sognato di sé stessa.” Sono quelle parole che sicuramente abbiamo letto molte altre volte, esposte in modo rigoroso e scientifico in libri di psicologia e psicanalisi, eppure sparato così, in modo diretto, fanno pensare.

Il nostro protagonista di cui sopra, che è diventato nostro studente, ha un sogno su se stesso e a questo sogno vuole avvicinarsi il più possibile. Chi ha il compito, la responsabilità di questo percorso?

A questo proposito mi viene alla mente Paolo Perticari che nel suo Attesi imprevisti dice che sia gli insegnanti che gli studenti sono chiamati a diventare responsabili della banalizzazione che immettono nei processi, rispettivamente, di insegnamento e di apprendimento. Innanzi tutto è importante che ci sia un richiamo alla responsabilità di entrambe gli interessati al processo, in modo da tendere al superamento della cosiddetta passività dello studente, che per altro di solito molto non può fare data l’ingombrante e continua presenza dell’insegnante. Ma è il secondo termine che attira l’attenzione: la banalizzazione. Sempre Perticari per chiarire questo punto la descrive come proveniente dalla teoria degli automi, secondo la quale una macchina banale è caratterizzata da una relazione fissa di stimolo e risposta. Al contrario, in una macchina non banale la risposta è determinata dall’interazione tra stimolo e stato interno della macchina, che a sua volta dipende dalla storia delle risposte date dalla macchina fino a quel momento.

Se si prova ad applicare al nostro quotidiano la teoria appena citata non ci si sbaglia se si afferma che lo studente, è trattato alla stregua di una macchina banale, da cui ci si aspetta una risposta e solo quella certa risposta alla domanda. Le interrogazioni, gli esercizi, i compiti in classe, gli esami, ne sono delle applicazioni.

È molto chiaro Von Foerster quando a proposito di rapporti all’interno della classe ci dice che le domande dell’insegnante sono classificabili secondo due principali categorie: le domande legittime e le domande illegittime. Nel primo caso rientrano delle vere domande: bisogna ingegnarsi a trovare una soluzione. Nel caso delle domande illegittime l’insegnante non solo conosce perfettamente la soluzione, ma la pretende come unica risposta corretta. Per fare un esempio, se ha dato un esercizio in cui lo studente deve inserire nelle frasi l’imperfetto, l’unico risultato accettato sarà l’imperfetto; poco importa se in quella situazione molti madrelingua avrebbero usato il passato prossimo. È stato chiesto l’imperfetto e tutto il resto è considerato errore.  Altro breve esempio: mio figlio Simone che ha da poco terminato le scuole medie, ha dovuto scrivere per tre anni i suoi componimenti utilizzando i pronomi soggetto egli, ella, essi ed esse, al di là del tema trattato, altrimenti era considerato errore dalla sua insegnante di italiano.

Gli studenti nella pratica quotidiana vengono spesso trattati da macchine banali. E se così è, la pratica quotidiana ostacola pesantemente l’avvicinamento al sogno, al sogno degli studenti che vengono a migliorare la loro vita imparando una lingua o al sogno, ancora più importante, dei ragazzi delle scuole dell’obbligo o dei licei che stanno cercando di immaginare sé stessi in qualche angolo della società del futuro.

Per amore o per disciplina

Sempre nel libro, prima citato, di Perticari appare ad un certo punto una parola che mi è sembrata alla prima lettura addirittura fuori luogo in un testo scientifico, alla seconda lettura una ingenuità, alla terza invece mi sono convinto che è il pilastro del lavoro che abbiamo scelto di fare; una parola di cui in realtà non si conosce il significato e ci si vergogna di pronunciare. La parola è amore.

Nel film Auguri professore, Silvio Orlando, alias professor Lipari mentre guarda una sua studentessa foruncolosa dallo sguardo buono e perso, ci dice: “ Scoprii in quel momento che mi piaceva insegnare; e ad un tratto mi resi conto che trasmettere abilità rende abili, trasmettere intelligenza rende intelligenti, trasmettere speranza aumenta la speranza. Cominciai ad insegnare per questo, per togliere l’opaco dagli sguardi dei miei alunni .”. E questo è amore applicato alla didattica. E porta alla liberazione delle risorse.

L’osservazione che puntualmente viene fatta a questo punto è che non è possibile amare tutti. Naturale, ma qui non stiamo parlando di rapporti al bar o con compagni di viaggio; se si fa questo lavoro bisogna assumersi la responsabilità di quanto comporta. Se in un certo periodo o con certe persone non si riesce ad applicare quanto ci ha ricordato il professor Lipari, se non per amore, sarà il senso di disciplina e di responsabilità che ci stimolerà a scovare le risorse delle persone che si affidano a noi.

Bibliografia

Auguri professore, film di Riccardo Milani, tratto da Solo se interrogato di Domenico Starnone.

Foerster, H. von,1987 Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma.

Foerster, H. von, Inventare per apprendere, apprendere per inventare, in Perticari, P. e Sclavi, M., 1994 Il senso dell’imparare, Anabasi, Milano.

Perticari, Paolo, 1997 Attesi imprevisti, Torino, Bollati Boringhieri.