Cerca

post

Porsi domande: il motore dell’apprendimento

Scrivendo questo articolo sul laboratorio da me proposto insieme ad altre tre colleghe, “A domanda rispondo”, voglio partire da una considerazione di base: il discente che (si) pone delle domande circa le forme ed il contenuto della lingua che sta studiando si è appropriato dell’unico modo possibile di progredire per raggiungere lo scopo che si è prefissato.

Tale condizione che sembra ovvia e naturale, addirittura banale, non viene comunque messa in pratica automaticamente e va quindi curata, stimolata, sviluppata e incoraggiata in ogni singola lezione, facendola diventare lo strumento più importante ed indispensabile dei nostri “ricercatori” di lingua. Di fatto non è scontato che il discente, affrontando una lingua straniera, e nel suo contesto una cultura diversa, (si) ponga delle domande e le esterni. La maggior parte dei nostri studenti si è adeguata, con gli anni passati a scuola, al fatto che la domanda solitamente sia una prerogativa dell’insegnante e che lo studente, per definizione, debba solo rispondere ad essa. Non mi vorrei soffermare troppo sulle ragioni per cui lo studente si è disabituato a porre  domande; è evidente comunque che ha consegnato questo ruolo all’insegnante, il quale tra l’altro non chiede per sapere, ma per esaminare (in una domanda autentica qualcuno non sapendo qualcosa si rivolge a qualcun altro che presume lo possa sapere. La domanda autentica serve quindi ad ottenere informazioni circa un argomento. La domanda esaminatrice o l’interrogazione è quindi un rovesciamento della domanda autentica in quanto la persona che pone la domanda già conosce la risposta e vuole controllare che anche lo studente la conosce).

Il discente deve quindi avere ben chiaro il concetto che la domanda non significa ammettere la propria ignoranza, bensì che si tratta di uno strumento prezioso per costruire conoscenza.

Come si può raggiungere tale scopo? Per far diventare gli studenti veri e propri ricercatori bisogna assegnare loro lavori ed attività che promuovano tale competenza, che prevedano cioè tempi e possibilità per trovare soluzioni all’interno delle varie attività: in gruppo, con un partner o da soli. (Vedi ad esempio la Ricostruzione di conversazione, il Puzzle linguistico, il Cloze ecc. ecc.). Lavorando ‘inter pares’ normalmente lo studente riscontra meno difficoltà nel porre domande ed alla fine, “coperto dal gruppo”, le domande non esaurite nel gruppo stesso possono essere poste all’insegnante esperto nella materia.

A questo punto bisogna soffermarsi sull’importanza del tipo e di varietà di reazioni che può avere l’insegnante di fronte ad una domanda. Ci sono a mio avviso due aspetti di feed-back che riceve lo studente da parte dell’insegnante, che avvengono in contemporanea e che determinano se il discente viene incoraggiato a continuare o meno su questa strada: l’aspetto affettivo e l’aspetto cognitivo. Per quanto riguarda il feed-back affettivo esso può essere trasmesso a livello verbale (parole di approvazione o nel caso di feed-back affettivo negativo frasi di disapprovazione), nonché a livello non verbale (sguardo, atteggiamento fisico, mimica, gestualità). Per quanto riguarda il feed-back cognitivo bisogna fare alcune considerazioni rispetto al modo in cui avviene. A mio avviso la prima domanda da porsi (e personalmente non ho ancora trovato la risposta ‘giusta’) è chi dovrebbe rispondere alla domanda. È necessariamente l’insegnante che deve fornire la risposta (visto che la domanda è stata posta ad un esperto in materia)? Oppure la domanda, ribaltata alla classe, può diventare oggetto di studio e percorso in comune?

È ovvio che qui non mi riferisco alle domande di tipo lessicale.

Il secondo quesito dovrebbe prendere in esame la formulazione della domanda da parte del discente. La domanda dovrebbe essere posta in maniera inequivocabile e circoscritta in modo che l’interlocutore/interlocutrice non abbia alcuna possibilità di interpretare. Esempio: una studentessa chiede con aria interrogativa” Ho andato?”. Con questo tipo di domanda non si può sapere se la richiesta si riferisce all’ausiliare del verbo andare o se si riferisce al genere utilizzato. Bisogna quindi che l’insegnante sia consapevole di questo rischio e che agisca di conseguenza ribadendo che la domanda così posta non fa comprendere quale sia il dubbio dello studente. In questo modo il discente acquisisce consapevolezza ed accresce la propria grammatica interiore imparando ad usare termini tecnici.

Posso quindi affermare che io rispondo alle domande quando queste vengono formulate in maniera univoca. E voi, come vi regolate?