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Pensare con le immagini

Il testo letterario oggetto del laboratorio al quale ho preso parte è il romanzo “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, più esattamente, le quattro pagine iniziali (vedi in proposito gli articoli di Luisa Guerrini e Serena Filpa).Uno dei nostri obiettivi è quello di fare in modo che l’attività proposta induca lo studente a tornare più volte alla lettura del testo, per rielaborarne i contenuti e progressivamente arricchirlo di significati. Ci interessa, cioè, che emerga, per quanto possibile, la specificità di ciò che leggiamo e proprio questa specificità è stata lo spunto per ideare l’attività. Infatti, le pagine di Sciascia descrivono un omicidio mafioso, fornendo molti dettagli sulle azioni fisiche dei personaggi coinvolti. Abbiamo chiesto ai nostri studenti – e poi ai partecipanti al seminario – di riprodurre fisicamente ogni espressione, gesto e movimento individuato nelle pagine lette, rimanendo il più possibile fedeli al testo. Dicendo di rispettare al massimo il pensiero dell’autore non si vuole dimenticare che ogni interpretazione, per sua stessa definizione, è una creazione, quindi soggettiva. Però è certo che questa istruzione contribuisce a garantisce una concentrazione enorme del lettore/studente sulla lingua. In sostanza, si tratta di trasformare le parole in movimenti, il linguaggio in azione (da qui il titolo del laboratorio: “Letteratura in azione”).

Non riesco a pensare (dovrei usare il verbo immaginare) questo processo senza il contributo di un’immagine mentale (mi riferisco alle immagini di tipo visivo). Secondo una prospettiva psicologica, il termine immagine mentale indica il prodotto della facoltà o capacità dell’immaginazione, cioè il prodotto di una funzione della mente; ma essa è anche una rappresentazione, ossia il processo mediante il quale è possibile riprodurre un oggetto o una situazione a prescindere dalla loro percezione. In questo senso, è una funzione a sé stante, distinta dalle altre funzioni cognitive, della percezione e dell’intelligenza (vedi U. Galimberti, Dizionario di psicologia, pag. 799). Quando parliamo di apprendimento – in questo caso, di una lingua, ma ci si può riferire a qualunque genere di esperienza – sappiamo che non è in gioco una sola, generica capacità cognitiva, ma diverse funzioni o capacità con le quali, secondo modalità diverse, conosciamo le cose e le rappresentiamo a noi stessi. Esiste una bibliografia vasta sul tema del rapporto tra la rappresentazione per immagini e le altre funzioni della conoscenza, che testimonia un deciso spostamento dell’attenzione, in ambito psicologico, verso lo studio delle capacità simboliche dell’uomo. Credo che sia interessante vedere brevemente qual è la posizione di alcuni studiosi che dagli anni sessanta si sono interessati al problema.

Jerome S. Bruner è attualmente una delle voci più autorevoli nell’ambito della psicologia cognitiva. I suoi studi, soprattutto fino agli anni ottanta, seguono una prospettiva evolutiva, cioè indagano lo sviluppo delle funzioni della conoscenza e, perciò, riguardano l’apprendimento nel bambino. Questo non ci impedisce, comunque, di riconoscere quanto siano importanti le sue affermazioni. Secondo Bruner abbiamo tre modalità di rappresentazione dell’esperienza: esecutiva, iconica e simbolica. La rappresentazione iconica mantiene una dipendenza dagli aspetti superficiali della realtà, cioè organizza le informazioni in strutture spazio-temporali e può avere gradi diversi di selettività nel mantenimento e riproduzione dei dettagli figurativi. La terza forma di rappresentazione è costituita dal linguaggio e da ogni tipo di sistema simbolico, i quali ci consentono di descrivere i rapporti astratti tra le cose e i processi:

“Ciascuno dei tre tipi di rappresentazione (esecutiva, iconica e simbolica) ha un suo unico modo di rappresentare gli eventi. Ciascuno incide potentemente sulla vita mentale degli esseri umani in età differenti e tale interazione persiste come una delle più importanti strutture della vita intellettuale dell’adulto”. (Bruner J. S. et al, Studi sullo sviluppo cognitivo, pag. 17).

Secondo la teoria evolutiva di Bruner, l’uso delle immagini è probabilmente dettato dalla mancanza di determinate capacità cognitive di tipo astratto o logico-formale, per cui con la crescita questa forma di rappresentazione sembrerebbe destinata ad essere abbandonata per spostarsi su forme rappresentative basate sul linguaggio. In realtà, come accennato nella precedente citazione, Bruner riconosce l’importanza delle differenze di stile cognitivo individuale e della cultura di appartenenza nella scelta delle modalità con cui trattare l’informazione o risolvere un determinato compito, per cui ogni forma di rapprentazione può avere un peso preponderante in una certa situazione, anche una volta raggiunta l’età adulta.

Uno dei più accesi sostenitori della tesi secondo cui l’immagine mentale sia una modalità di codifica autonoma è S. M. Kosslyn, che, a differenza di autori come Bruner, svolge la propria indagine al di fuori di una prospettiva evolutiva. In Le immagini nella mente. Creare e utilizzare immagini nel cervello, spiega come il processo immaginativo può, da un lato, produrre una rappresentazione che mantiene i tratti figurativi della realtà, dall’altro, renderci coscienti che non si tratta di una effettiva percezione, ma solo di una “riproduzione” mentale. Se, ad esempio, guardiamo una persona che cammina e, in un secondo momento, ricordiamo ciò che abbiamo visto, siamo perfettamente consapevoli della diversa natura dei due eventi. Kosslyn sostiene che un’immagine mentale non è ovviamente una “figura nella testa”, per cui la somiglianza con un’esperienza percettiva potrebbe derivare da un’insieme di procedure nell’elaborazione delle informazioni che intervengono tanto nella percezione, quanto nella formazione e trasformazione delle rappresentazioni per immagini. La principale implicazione di una teoria come questa consiste nell’attribuire alle immagini mentali un ruolo significativo in una serie di processi del pensiero come l’apprendimento, la risoluzione di compiti, la memorizzazione, ecc. In realtà, lo stato attuale degli studi non ci permette ancora di rispondere alla domanda più importante: quali sono gli aspetti caratterizzanti l’uso delle immagini mentali e come influiscono positivamente nei processi del pensiero?

Una risposta è stata tentata dall’americano J. R. Anderson, il quale ha condotto una serie innumerevole di studi sui processi cognitivi, in particolare modo, sull’apprendimento. In Psicologia cognitiva e sue implicazioni (1980), facendo una panoramica dei più recenti approcci di tipo cognitivista, distingue tra rappresentazioni basate sulle percezioni e rappresentazioni basate sui significati; tutto quello che noi sappiamo di un oggetto, ad esempio, può essere costituito da informazioni tanto del primo genere, quanto del secondo, riunificate in una rappresentazione unitaria, definita “schema”:

“Gli schemi rappresentano la struttura di un oggetto nei termini di una struttura a caselle (slot structure), dove le caselle specificano i valori che l’oggetto assume in rapporto a svariati attributi […] alcune di queste caratteristiche sono essenzialmente proposizionali, mentre altre informazioni […] sono essenzialmente percettive. Gli schemi, dunque, non sono semplicemente un’estensione delle rappresentazioni per proposizioni; sono, piuttosto, dei modi per codificare le regolarità in categorie, si tratti di regolarità percettive oppure proposizionali.” (J. R. Anderson, 1993, Psicologia cognitiva e sue implicazioni, pag. 128)

Quanto detto fin ora è evidentemente solo un accenno superficiale ad un ambito d’indagine decisamente complesso ma, proprio per questo, è sufficiente a capire come in ogni processo di apprendimento molto poco deve essere dato per scontato. Nella mia esperienza personale, non posso tradurre questa convinzione direttamente in didattica pratica, ma credo che mi aiuti ad essere maggiormente attenta alle indicazioni che provengono dai miei studenti; ognuno di loro ha uno stile cognitivo differente, ricorre a modalità diverse di elaborazione delle informazioni, predilige una rappresentazione per immagini o di tipo proposizionale, ecc. e tenendo presente questo, ho maggiori possibilità di capirli per essere “in sintonia” con loro.

Riferimenti bibliografici

Anderson, J. R., 1985, Cognitive Psychology and its Implications, New York, W.H. Freeman & Co. 1993, trad. italiana: Psicologia cognitiva e sue implicazioni, Bologna. Zanichelli.
Bruner J. S., Oliver R. R., Greenfield P. M., 1966, Studies in Cognitive Growth, New York, J. Wiley & Sons. 1968, trad. italiana, Studi sullo sviluppo cognitivo, Roma, Armando.
Galimberti, U., 1992, Dizionario di psicologia, Torino, UTET.
Kosslyn, S. M., 1988, Ghosts in the Mind machine: Creating and Using Images in the Brain, New York, WW. Norton & Co.
1989, trad italiana, Le immagini nella mente. Creare e utilizzare immagini nel cervello, Firenze, Giunti Barbera.
Sciascia, Leonardo, Il giorno della civetta,