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“Leggere si impara a scuola, quanto ad amar leggere…”

Ci sono due modi per passeggiare in un bosco. Nel primo ci si muove per tentare una o molte strade; nel secondo modo ci si muove per capire come sia fatto il bosco. Ugualmente ci sono due modi per percorrere un testo narrativo.
(U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi).

Leggendo queste parole mi è tornato in mente uno degli episodi del film Sogni di Akira Kurosawa L’episodio in questione inizia mostrandoci il protagonista in piedi di fronte alla parete bianca di un museo, mentre osserva, a debita distanza, alcuni capolavori di Vincent Van Gogh. Il suo sguardo indugia su uno in particolare: I corvi. Qualora non l’abbiate presente: una gialla distesa di grano tagliata al centro da una stradina bianca; sullo sfondo l’azzurro del cielo nel quale si libra uno stormo scomposto di corvi neri.

Questi sono gli elementi presenti nel quadro; in realtà, come potete immaginare, c’è molto di più.

Ma torniamo al protagonista. Lo abbiamo lasciato in contemplazione, in piedi davanti ad un quadro. Nella scena successiva lo troviamo dentro il quadro. Eccolo lì che percorre incuriosito quella strada passeggiando tra le dense pennellate di colore. E lentamente il bianco presente sulla tela si trasforma in polvere che scricchiola sotto le sue scarpe; il giallo a destra e a sinistra diventa un campo di spighe che si muovono sotto un sole che acceca e i corvi gracchiano e volano sulla sua testa. Lui, il protagonista, può sentire i rumori e gli odori, può decidere di correre per la strada o di tuffarsi nel grano, di fermarsi con le braccia spalancate a guardare il sole o, perché no, di passare in un altro quadro e continuare lì quella che Eco chiamerebbe la sua “passeggiata inferenziale”.

Quando con le mie colleghe (Antonella Mele e Rita Luzi Catizone) ci siamo messe a lavorare per l’11° Seminario avevamo tutte e tre ben chiara una cosa: dovevamo (e volevamo) inventarci delle attività che avrebbero permesso allo studente di fare come il protagonista del film: “entrare” nel testo letterario (in quanto ci stavamo occupando di letteratura e non di arti visive), indugiare se vuole, o fare solo delle brevi capatine qua e là, incontrare i personaggi, insomma provare a conoscerlo come quando si va alla scoperta di qualcosa di misterioso ma intimo allo stesso tempo. Provate a pensare al modo in cui viene tradizionalmente proposta la letteratura nella scuola rifacendovi alla vostra esperienza di insegnanti ma anche di studenti. Credo che non possiate non essere d’accordo sul fatto che non c’è proprio nulla di misterioso né, tantomeno, di intimo. Il piacere della lettura sembra non figurare nei programmi scolastici; si richiede di commentare, analizzare, interpretare, parafrasare il testo secondo modalità ben precise, sempre quelle, che vengono imposte allo studente in modo che alla fine possa dimostrare di “averlo capito”.

Il messaggio inequivocabile che gli arriva è che la letteratura si deve innanzitutto studiare e capire. Ma, si sa, la paura di non capire scoraggia la lettura e così la distanza tra lo studente e la letteratura aumenta sempre di più. Nel momento in cui decidiamo di proporre ai nostri studenti un testo di letteratura, io credo che il compito che abbiamo sia quello di provare ad abbattere questa distanza. È possibile portare lo studente ad avere una conoscenza approfondita del testo (quel tipo di conoscenza che i programmi ministeriali richiedono), ma per prima cosa è necessario “incuriosirlo”, “invogliarlo” a leggere quello che ha davanti, a stabilire con l’opera un rapporto empatico, inferenziale appunto; dobbiamo autorizzarlo ad “osare”, poi sarà lui stesso a fare deduzioni, parallelismi e analisi. Scrive Pennac nel suo libro Come un romanzo: “Noi insegnanti dobbiamo promuovere una riconciliazione con la lettura. Esiste una sola condizione a questa riconciliazione: non chiedere niente in cambio. Assolutamente niente. Non erigere alcun bastione di conoscenze preliminare intorno al libro […]. Non aggiungere […] nessun giudizio di valore […], nessuna analisi testuale, nessuna indicazione biografica […].
Lettura – regalo.
Leggere – aspettare.
Non si sforza la curiosità, la si risveglia. Leggere, leggere e avere fiducia negli occhi che si aprono, nelle facce che si rallegrano, nella domanda che sta per arrivare e che porterà altre domande”.

L’obbiettivo delle tre attività da noi proposte al seminario (per una descrizione dettagliata vi rimando all’articolo di Rita Luzi Catizone) era quello di far parlare gli studenti sulla letteratura cioè di fare Produzioni libere orali partendo dalla letteratura che stavano leggendo. Mi pare, però, che tutte e tre abbiano avuto anche un altro scopo fondamentale: quello di cancellare la distanza di cui parlavo prima. La scelta dei tre libri (Uccelli da gabbia e da voliera di A. De Carlo, Novecento di A. Baricco, Il bar sotto il mare di S Benni) non è casuale: sono libri di autori giovani, ben noti ai ragazzi e la vicinanza per così dire generazionale li rende già di per sé più accettabili: smonta quell’aura di sacralità che normalmente circonda un testo letterario e questo, chiaramente facilita il lavoro. Inoltre le tre attività didattiche da noi presentate, per la natura ludica che le caratterizza e per le modalità di svolgimento, consentono un approccio personale e divertente all’opera letteraria, invogliano lo studente a tornare ripetutamente al testo, ad approfondirne la lettura, lo invitano a familiarizzare con i personaggi fino al punto di identificarsi con essi.

Nel gioco, ad esempio, la componente competitiva e la necessità di ottenere l’unanime giudizio positivo delle altre squadre per aggiudicarsi il punto, portano gli studenti a difendere le proprie idee, a convincere e controbattere in maniera appassionata e quindi istintiva e naturale. Ogni volta che ho proposto quest’attività, in classe ma anche durante il Seminario, ho assistito a delle produzioni orali “ricche” sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: gli studenti passano molto tempo a parlare del testo e della propria interpretazione (alcuni quesiti non prevedono un’unica risposta oggettiva ma lasciano ampio spazio alla creatività), sviluppando una dialettica tutt’altro che superficiale.

La drammatizzazione, invece, è “solo” il prodotto finale di un lavoro molto complesso: prima si richiede agli studenti di diventare un particolare personaggio, di inventarne le caratteristiche fisiche e psicologiche, e poi di inscenare una discussione in cui tutti i personaggi siano coinvolti; di solito non assisto continuativamente a questo lavoro di preparazione ma, a giudicare dalla qualità delle recite che ho visto rappresentare, posso immaginare che deve essere caratterizzato da uno scambio di opinioni, proposte, suggerimenti e consigli molto consistente e tale da sottoporre a duro sforzo l’interlingua dello studente. Ancora una volta, però, l’atmosfera giocosa e la prospettiva stimolante della recita finale davanti ad un pubblico contribuiscono alla naturalità dell’espressione orale.

Nella costruzione di un racconto partendo da un testo letterario non c’è né gioco né drammatizzazione ma c’è comunque grande coinvolgimento (anche in questa attività lo studente è il personaggio); la natura fantastica e quasi surreale dei racconti stimola la fantasia e l’idea di dover continuare oralmente la storia dopo averne letto l’inizio costituisce una sfida stimolante. Un particolare non trascurabile è la presenza del compagno che deve contribuire all’invenzione del racconto cercando di dargli un’impronta personale mentre l’ultima parola sulle scelte rimane appannaggio del titolare del racconto; è evidente che questo fa sì che la discussione si svolga, per così dire, su due piani diversi ma ugualmente produttivi: quello relativo alla storia e quello relativo all’interazione tra i due studenti che, ancora una volta, si trovano ad usare la lingua per “proporre”, “accettare”, “rifiutare”, “difendere”, senza neppure accorgersene.

“Leggere si impara a scuola, quanto ad amar leggere …” (Daniel Pennac).