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Figli di un dio minore

Inizio il mio scritto immaginando e sperando che le lettere, formando le parole, si arrampichino per il foglio e per la mia mente come formichine alla ricerca di ricordi e sensazioni dell’ultimo Seminario internazionale. Per concentrarmi meglio mi faccio portare un caffè e mentre la punta delle labbra cerca di succhiare con il suo aroma anche la giusta ispirazione, sento pian piano riaffiorare alla memoria le cose che avevo da dire e che avevo spesso rimuginato prima di andarmene in vacanza. Avrei dovuto scrivere prima, ma, tant’è, ogni anno ci casco e con il ritardo di due mesi comincio la mia ”doppia” fatica. La prima impressione che ho è quella di un seminario volato via in un amen. Non so se attribuire la cosa al fatto di essermi divertito molto oppure al ritmo come al solito martellante o a tutt’e due le cose. A proposito di ritmo, spero ardentemente, ma forse invano, che venga un po’ rallentato o ottimizzato; non per lavorare di meno, ma per avere il tempo di fare meglio alcune cose. Per esempio, un “feed back” sereno e argomentato alla fine di ogni laboratorio: spesso i partecipanti non hanno neanche il tempo sufficiente per socializzare bene l’attività svolta, limitandosi a confezionare qualche frase di circostanza per poi fiondarsi subito verso il prossimo laboratorio passando velocemente per il bagno e per il bar. A volte si ha l’impressione di non incontrare veramente le persone, anche se i contatti sono mille. Qualcosa che si potrebbe fare per guadagnare tempo sarebbe trovare il coraggio di rinunciare ogni tanto o una volta per tutte all’ospite esterno mentre trovo molto interessante che si valorizzi di volta in volta qualcuno della Dilit. Ho trovato, per esempio, molto stimolante l’intervento di Carlo Guastalla nel plenum domenicale. Comunque, a parte queste poche osservazioni, il Seminario ’99 è stato, come dicevo, molto innovativo e divertente, soprattutto perché per la prima volta si affrontava un tema nuovo, culturale, abbastanza raro, quasi inedito in una classica scuola di lingue: letteratura e cinema. Aggiungerei che il tema potrebbe diventare pian piano questo: come far entrare i vari aspetti culturali di un popolo in un corso di lingua. Non tanto per operare una superficiale azione di cosmesi commerciale, quanto per un fatto molto più importante: chi studia una lingua, soprattutto se fa un corso avanzato, è naturalmente portato ad avere una certa curiosità culturale, specie se il suo retroterra scolastico ha un discreto spessore.

Qualche scuola risponde a questa istanza con qualche seminario ad hoc, altre non danno risposta. Così gli studenti più curiosi si sentono esclusi da un discorso che li faccia volare oltre il chiuso recinto della solita chiacchiera che naviga beatamente tra il domestico e il turistico, figli di un dio minore privati di qualcosa. A volte si ha l’impressione che offrire cultura in un corso di lingue sia quasi un lusso. Insomma non si capisce perché lingua e cultura debbano vivere scisse e, soprattutto, perché quest’ultima debba essere prerogativa di licei e atenei vari, lasciando le scuole di lingue avvitate su se stesse, avviluppate esclusivamente al puro fatto linguistico. Cosa ottima, per carità, ma che non dovrebbe, a mio avviso, fare la parte del leone. Non bisogna però, d’altro canto cadere nell’errore opposto, cioè quello di trasformare, in un impeto di revanscismo, un corso di lingua in un’accademia della crusca. Si tratterebbe, prendendo spunto dal fatto che il mio laboratorio riguardava la letteratura, di introdurre una giusta dose di quest’ultima nell’arco di un corso, con una strategia che, lungi da ogni pretesa esaustiva, sia di stimolo ad incrementare il discorso letterario soprattutto fuori della scuola, sconfigga cioè in molti la pigrizia di aprire un buon libro. Mi manca la base sperimentale per azzardare un quantum da dedicare periodicamente ad attività che includano la letteratura, per esempio. Comunque direi non meno del dieci per cento di un corso intensivo mensile.

Fare qualcosa in classe affinché, pur ritrovandosi fuori di quest’ambito, negli studenti rimanga o nasca il piacere della lettura: era questa l’idea – stimolo del laboratorio da me condotto a maggio in parallelo con i colleghi Vittoria Gallo e Claudio Chiavegato.

Vista la massiccia concorrenza fatta alla pagina scritta da parte di altri mezzi di comunicazione, soprattutto quelli basati sulle immagini, non è molto stimolante trattare la letteratura alla vecchia maniera, cioè con un insegnante mattatore, frontale e superattivo e una classe che subisce tutto, tace e prende appunti. Bisogna inventare qualcosa, attraverso cui lo studente si senta protagonista di una bella avventura, di un affascinante viaggio che lo porti a navigare, attraversando autonomamente un testo e interagendo prima con i compagni di classe e poi, una volta fuori, con l’autore, in un gioco piacevole, vario, libero, che porta lo spirito a nutrirsi di ciò che passa per gli occhi. Questo qualcosa, secondo me, dovrebbe consistere nel dare all’attività di classe che affronta un “pezzo” letterario un aspetto atipico, possibilmente ludico. Bisognerebbe insomma dare alle cose una leggerezza intelligente che tolga dal lavoro di lettura quella crosta di noia, che genera solo voglia di non fare. È sperabile così che possa rimanere o accendersi per la prima volta nello studente la fiammella del desiderio di immergersi nel mondo meraviglioso di un libro, la felicità di giocarvi. Giocare, appunto, è ciò che è stato fatto nel nostro laboratorio. Ma, prima di descriverlo, vorrei parlare di qualcosa, anche se attiene in modo molto blando all’argomento del seminario in questione. Voglio dire che la lettura dei libri reca degli indubbi benefici, secondo me, anche da un punto di vista linguistico. Per fare un esempio personale su cui riflettevo proprio a ridosso dell’ultimo seminario, ricordo chiaramente che i periodi della mia vita in cui mi piaceva di più il mio modo di parlare e di scrivere erano anche quelli in cui leggevo di più. E, secondo me, non era una coincidenza. Leggere mi ha aiutato molto ad uscire da certe opacità stilistiche, da certi standard espressivi poco soddisfacenti. Non che, leggendo molto, tendessi a ripetere i vocaboli o le frasi del libro. La cosa bella e sorprendente era, invece, accorgermi che pian piano mi impadronivo di certe architetture sintattiche ampie, ricche ed armoniche, piacevoli da pensare, scrivere o parlare. Concludo dicendo che quanto preso in considerazione in queste ultime righe è un buon valore aggiunto, un motivo in più per valorizzare gli incontri con la letteratura in classe e soprattutto fuori.

Prima di produrre lo schema del laboratorio vorrei parlarne più in generale. Per dire, intanto, che il brano scelto viene dal testo di Stefano Benni L’ultima lacrima (Milano, Feltrinelli, 1994). La preferenza per questo “pezzo” era dovuta al fatto che, essendo esso basato quasi totalmente sul dialogo, si prestava molto al lavoro di drammatizzazione che si voleva proporre. La simulazione voleva infatti che un regista incontrasse due attori che avevano preparato il brano in questione per un provino, in previsione di un film veramente importante. L’atteggiamento con cui registi ed attori dovevano entrare nei loro ruoli doveva essere ovviamente improntato alla massima professionalità, ognuno nel suo campo. Gli attori dovevano raggiungere un alto grado di penetrazione interpretativa nei ruoli che andavano a giocare, cercando di analizzarne tutti gli aspetti: dal carattere ai tic, dalla professione all’abbigliamento dei personaggi, dalla stagione all’ambiente in cui si sarebbe svolta la scena e così via. I registi dovevano prendere in considerazione più o meno le stesse cose, soprattutto per sapere cosa pretendere poi dagli attori durante la fase selettiva. Devo rilevare che tutto si è svolto senza intoppi e alla fine di ogni laboratorio c’è stata, almeno per una coppia di attori presentata dal proprio regista, la possibilità di mostrare davanti a tutta la classe la propria bravura. Quello che ho potuto notare è che, pur trattandosi palesemente di un gioco, ogni partecipante ha interpretato con estrema serietà la sua parte, seguendo tutte le mie istruzioni. L’altra cosa molto palpabile, devo dire, ma anche chiaramente espressa dai partecipanti ai tre laboratori, era la piacevole accoglienza data alla proposta, il divertimento manifestato e mai sceso di tono durante l’ora e passa di lavoro collettivo. Secondo me, quello che più ha impressionato di questa attività è stato proprio il suo aspetto ludico, il tentativo operato per rompere con la modalità classica di avvicinarsi alla letteratura. Non dico che tutto ciò diventerà sicuramente il toccasana per invertire la tendenza a leggere poco, anche oltre la scuola. Può essere un’idea e come tale va sperimentata. Io ci credo abbastanza.

Il laboratorio

  • L’insegnante fa leggere alla classe il brano. Meglio lavorare su qualcosa che già hanno utilizzato in classe tempo prima per un’altra attività;
  • Dà le istruzioni generali dicendo che la classe sarà più tardi divisa in registi ed attori. Essi si troveranno davanti alla classica occasione della vita: è prevista, infatti, la realizzazione di un film dove ognuno potrà, anzi dovrà mostrare finalmente ciò che vale;
  • Divide la classe in registi e attori in rapporto, nel mio caso, di uno a due. Quindi, avendo io 15 studenti, c’erano 5 registi e 10 attori;
  • Colloca i due gruppi, cioè registi e attori, in due luoghi diversi dove dovranno prepararsi per il provino ognuno secondo il suo ruolo. Gli attori avranno, come ho già detto, il compito di entrare nei personaggi cercando di renderli al meglio, analizzandoli in ogni particolare sia fisico che caratteriale, inventarsi dei difetti caratterizzanti, atmosfere, curare la dizione, l’intonazione e così via. I registi dal canto loro dovranno studiarsi il testo per individuare intanto una chiave interpretativa. Poi faranno anche delle prove, per confrontarsi con i colleghi su come sarebbe meglio rendere il testo a livello cinematografico: dovrebbero, secondo me, in questa fase fare un po’ come gli attori, recitare, provare eccetera, ma con lo spirito di chi si prepara a selezionare le persone. Mentre gli attori si prepareranno in coppie, i registi lavoreranno in gruppo;
  • L’insegnante visiterà una per una le coppie degli attori ripetendo da una parte le istruzioni, dall’altra assistendo alle “performance”, facendo ripetere il brano o parti di esso, consigliando e incoraggiando. Poi passerà ai registi e anche qui incoraggerà, consiglierà, rafforzerà;
  • Viene il momento del provino. Ogni regista esaminerà una coppia di attori. Dovrà essere rigoroso e selettivo, dovrà pretendere la perfezione anche perché un eventuale “flop” del film sarebbe la rovina della sua carriera tutta volta ora, dopo svariate produzioni di cassetta, verso un cinema di qualità. Gli attori eseguiranno al meglio gli indirizzi del regista, discutendo però ciò su cui non sono d’accordo;
  • Si può chiudere facendo esibire le varie coppie di attori davanti alla classe;
  • Un’altra chiusura potrebbe essere questa: i registi diventano giuria e con un sistema a punti eleggeranno la migliore coppia di attori.

COINCIDENZE
C’erano nell’ordine una città, un ponte bianco e una sera pio­vosa. Da un lato del ponte avanzava un uomo con ombrello e cappotto. Dall’altro una donna con cappotto e ombrello. Esatta­mente al centro del ponte, là dove due leoni di pietra si guarda­vano in faccia da centocinquant’anni, l’uomo e la donna si ferma­rono, guardandosi a loro volta. Poi l’uomo parlò:
‑ Gentile signorina, pur non conoscendola, mi permetto di rivolgerle la parola per segnalarle una strana coincidenza, e cioè che questo mese, se non sbaglio, è la quindicesima volta che ci in­contriamo esattamente in questo punto.
‑ Non sbaglia, cortese signore. Oggi è la quindicesima volta.
‑ Mi consenta inoltre di farle presente che ogni volta abbia­mo sottobraccio un libro dello stesso autore.
‑ Sì, me ne sono resa conto: è il mio autore preferito, e anche il suo, presumo.
‑ Proprio così. Inoltre, se mi permette, ogni volta che lei mi incontra, arrossisce violentemente, e per qualche strana coinci­denza, la stessa cosa succede anche a me.
‑ Avevo notato anch’io questa bizzarria. Potrei aggiungere che lei accenna un lieve sorriso e sorprendentemente, anch’io faccio lo stesso.
‑ È davvero incredibile: in più, ogni volta ho l’impressione che il mio cuore batta più in fretta.
‑ È davvero singolare, signore, è così anche per me, e inoltre mi tremano le mani.
‑ È una serie di coincidenze davvero fuori del comune. Ag­giungerò che, dopo averla incontrata, io provo per alcune ore una sensazione strana e piacevole…
‑ Forse la sensazione di non aver peso, di camminare su una nuvola e di vedere le cose di un colore più vivido?
‑ Lei ha esattamente descritto il mio stato d’animo. E in que­sto stato d’animo, io mi metto a fantasticare…
‑ Un’altra coincidenza! Anch’io sogno che lei è a un passo da me, proprio in questo punto del ponte, e prende le mie mani tra le sue…
– Esattamente. In quel preciso momento dal fiume si sente suonare la sirena di quel battello che chiamano “il battello dell’amore”.
‑ La sua fantasia è incredibilmente uguale alla mia! Nella mia, dopo quel suono un po’ melanconico, non so perché, io po­so la testa sulla sua spalla.
‑ E io le accarezzo i capelli. Nel fare questo, mi cade l’om­brello. Mi chino a raccoglierlo, lei pure e…
‑ E trovandoci improvvisamente viso contro viso ci scambia­mo un lungo bacio appassionato, e intanto passa un uomo in bicicletta e dice…
‑ … Beati voi, beati voi…
Tacquero. Gli occhi del signore brillavano, lo stesso fecero quelli della signorina. In lontananza, si udiva la melanconica sire­na di un battello che si avvicinava. Poi lui disse:
‑ Io credo, signorina, che una serie così impressionante di coincidenze non sia casuale.
‑ Non lo credo neanch’io, signore.
‑ Voglio dire, qua non si tratta di un particolare, ma di una lunghissima sequenza di particolari. La ragione può essere una sola.
‑ Certo, non possono essercene altre.
‑ La ragione è ‑ disse l’uomo sospirando ‑ che ci sono nella vita sequenze bizzarre, misteriose consonanze, segni rivelatori di cui sfioriamo il significato, ma di cui purtroppo non possediamo la chiave.
‑ Proprio così ‑ sospirò la signorina ‑ bisognerebbe essere medium, o indovini, o forse cultori di qualche disciplina esoteri­ca per riuscire a spiegare gli strani avvertimenti del destino che quotidianamente echeggiano nella nostra vita.
‑ In tutti i casi ciò che ci è accaduto è davvero singolare.
‑ Una serie di impressionanti coincidenze, impossibile negarlo.
‑ Forse un giorno ci sarà una scienza in grado di decifrare: tutto questo. Intanto le chiedo scusa del disturbo.
‑ Nessun disturbo, anzi, è stato un piacere.
‑ La saluto, gentile signorina.
– La saluto, cortese signore.
– E se ne andarono di buon passo, ognuno per la sua strada.