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Perché un film? Ovvero la scoperta dell’acqua calda

È difficile dire quanto il cinema italiano abbia giovato alla fama del nostro Paese, ma è certo che nomi come De Sica, Fellini, Loren, Mastroianni, Rossellini, Visconti, per citarne solo alcuni tra i più famosi, sono entrati ormai nell’immaginario collettivo, e le loro opere sono divenute film “cult”, forse più all’estero che in Italia. Se essi rappresentano il passato, vi sono ora altri attori e registi che continuano la tradizione e, dopo il “buio” degli Anni 80, il cinema italiano sembra avere riacquistato nuova energia e soprattutto nuove idee, mantenendosi però fedele al genere che l’ha reso famoso, la commedia. La maggioranza dei film italiani degli ultimi anni infatti ripropone la realtà quotidiana, ritagliando da questa situazioni minime, osservate con occhio discreto e rappresentate con delicatezza ed eleganza, con toni dall’ironico al drammatico.

Sarebbe un peccato, dal mio punto di vista, non approfittare di tanto materiale per i corsi d’italiano, tanto più che spesso sono gli studenti stessi a esprimere il desiderio di vedere un film durante le ore di lezione. Devo confessare però che le poche volte in cui ho acconsentito incondizionatamente alla loro richiesta, convinto dell’utilità di vedere un film, l’esperienza si è rivelata fallimentare, almeno ai miei occhi. Infatti il mio obbiettivo, fornire attraverso il film spunti di discussione per coniugare l’esercizio linguistico con l’analisi del contesto socioculturale, è sempre naufragato in un mare di silenzio. Al termine della pellicola notavo negli studenti, oltre all’incapacità di riflettere e parlare del film, anche un senso di stanchezza e, forse, di indifferenza. Molti avevano avuto difficoltà di comprensione dei dialoghi e delle situazioni ed io avevo l’impressione di essere stato l’unico a “divertirsi”, e quindi di aver perso 90 minuti e l’occasione di motivare gli studenti a ripetere l’esperienza da soli, ad avere cioè il coraggio di spendere i soldi del biglietto d’ingresso per vedere e gustare criticamente un film in italiano.

Può sembrare strano, ma in realtà non sono molti gli studenti che, venendo in Italia per un corso d’italiano, approfittano anche del cinema come mezzo di svago e apprendimento.

Permettetemi ora una breve parentesi. Spero di essere contraddetto, ma la mia impressione è che durante il loro soggiorno in Italia molti studenti vivano come sotto una campana di vetro, vedono cioè l’ambiente che li circonda, senza però essere in grado di comunicare con esso, nonostante frequentino un corso d’italiano. Mi sono chiesto spesso da cosa dipenda questa “impossibilità” e la risposta che mi sono dato finora è che la Scuola, termine astratto che acquista concretezza solo pensando alle persone che vi operano, in primo luogo agli insegnanti, è troppo chiusa in se stessa, troppo preoccupata di svolgere il proprio programma, di non perdere la propria funzione e il proprio prestigio, ma così facendo perde la capacità di agire da tramite fra gli studenti e la realtà esterna.[1]

Mi rendo conto che questo problema è spinoso e necessiterebbe di essere analizzato più a fondo, ma la paura di “andare fuori tema” mi suggerisce di chiudere la parentesi, rinviando un ulteriore approfondimento ad altra occasione.

Tornando al tema del film in classe, il fallimento delle mie esperienze era probabilmente legato a vari fattori. In primo luogo non è facile scegliere un film che stimoli l’interesse di tutti, ma questo, secondo me, è ancora il male minore, perché proprio le differenze di valutazione potrebbero essere utili, se non altro, per aprire un confronto, cercando di capire i pregi e i difetti del film.

Allora l’errore stava probabilmente nel mio modo di procedere. Anziché limitarmi alla visione “pura e semplice” di un film, avrei dovuto farlo precedere da un’introduzione, per dare modo agli studenti di conoscere il regista, la trama, il periodo storico in cui l’azione si svolge. Al termine, poi, avrei potuto presentare delle schede di lavoro o fare delle attività che permettessero agli studenti di elaborare le informazioni ricevute attraverso la pellicola. Questi sarebbero stati senz’altro correttivi utili, ma non sarebbero ancora riusciti ad eliminare il senso di stanchezza, e in alcuni casi di frustrazione, che avevo osservato negli studenti.

Un altro elemento importante, secondo me il più importante, era la lunghezza del film, e quindi anche la difficoltà di mantenere viva la concentrazione per almeno 90 minuti. In fondo la disposizione psicologica di uno spettatore di cinema è diversa da quella di uno studente in un corso d’italiano. Il primo è protagonista attivo del film e quindi sceglie, emozionalmente s’intende, i momenti topici della vicenda a cui sta assistendo, le scene in cui è necessario capire bene; il secondo è essenzialmente preoccupato di capire tutto e quando si accorge che questo non è possibile, il che accade presto, si sente frustrato e assume un atteggiamento passivo, che si porta avanti per 90 interminabili minuti.

Queste considerazioni mi hanno portato quindi a cambiare percorso.

Se il problema vero era il sovraccarico di informazioni e la conseguente impossibilità da parte dello studente di elaborarle tutte, non restava che invertire l’approccio e così ho iniziato a lavorare su singole scene del film. Così facendo ho notato che gli studenti erano molto più coinvolti, più interessati, e mi sono anche accorto di quanto possa essere stimolante per un insegnante lavorare su un film, in cui ogni scena contiene molti spunti su cui è possibile imbastire delle attività didattiche.

Infatti è possibile lavorare (a) solo sulle immagini, (b) solo sui dialoghi, oppure (c) su entrambi contemporaneamente.

Per fornire un esempio del tipo (a), in un corso di secondo livello ho proposto una scena di un film della durata di circa 5 minuti. All’inizio ho diviso il gruppo in due squadre, invitando gli studenti ad osservare attentamente la scena. Play e via! Al termine si sono scambiati, in coppie all’interno di ogni squadra, le rispettive impressioni su quanto avevano visto. Dopo abbiamo rivisto la scena e, cambiando le coppie, ogni studente ha potuto socializzare con un compagno diverso. Durante la terza visione ho permesso agli studenti di prendere appunti. Quando ho spento il videoregistratore, ho invitato ogni studente a scrivere 5 domande sulla scena del film. Una volta trascorso il tempo che avevo dato per scrivere, ogni squadra ha fatto la correzione di tutte le domande, scegliendone poi una di ogni componente. Alla fine ogni squadra aveva un numero di domande pari al numero dei suoi componenti e così è stato possibile fare una gara in cui vince la squadra che fa meno errori grammaticali e risponde esattamente alle domande della squadra  avversaria. Forse da come l’ho descritta questa attività può risultare macchinosa, ma in realtà non lo è affatto e la si può riassumere in 5 fasi:

1) formare 2 squadre,

2) fornire un input, in questo caso visivo, e permettere agli studenti di consultarsi all’interno della propria squadra,

3) invitare gli studenti a scrivere un certo numero di domande su quanto hanno visto,

4) far correggere le domande all’interno di ogni singola squadra,

5) disporre le due squadre faccia a faccia e iniziare la gara.

Un’altra possibilità di lavorare solo sulle immagini sarebbe di fare scrivere agli studenti i dialoghi della scena, che poi dovrebbero doppiare essi stessi, magari incidendo le proprie voci su un registratore da usare poi in sincrono con l’immagine. Questa attività naturalmente è molto più raffinata e richiede una buona padronanza della lingua, per cui mi pare più indicata per i corsi medio-avanzati.

Per quanto riguarda le attività di tipo (b), vale a dire quelle in cui il punto di partenza o di arrivo, questo dipende da come li si usa, sono i dialoghi del film, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Condizione preliminare è però quella di registrare i dialoghi della scena prescelta su un’audiocassetta, cosa che ormai ogni videoregistratore consente di fare in modo perfetto tramite un cavo di collegamento con un normale registratore audio. Dopo questa operazione semplicissima, è possibile fare dei Puzzle linguistici[2], oppure Ricostruzioni di conversazione[3], per le quali i dialoghi di un film forniscono dei modelli “recitati”, ma con una varietà linguistica molto ampia, soprattutto dal punto di vista del registro, compresa la ricchezza lessicale, e delle inflessioni legate alla provenienza regionale dei personaggi.

Sempre usando la sola registrazione audio dei dialoghi è possibile poi fare degli Ascolti autentici[4].

Ormai l’attività di Ascolto autentico è entrata, o sta entrando, nella prassi quotidiana di molti insegnanti di lingue straniere, e gli studenti si abituano fin dall’inizio ad ascoltare registrazioni audio. Per i livelli più bassi si tratta in genere di conversazioni, mentre a cominciare dai livelli intermedi il materiale audio è costituito principalmente da brani estrapolati da trasmissioni radiofoniche, che offrono, è vero, un’ampia gamma di argomenti, ma non altrettanti generi testuali. Infatti si tratta, per lo più, di monologhi o interviste, molto raramente di conversazioni.

Il motivo di questa “discriminazione” è probabilmente legato alla facilità di reperire testi del primo tipo che presentino un grado di difficoltà adatto ai livelli intermedi. D’altra parte, però, se gli studenti di questi livelli possiedono già una discreta capacità di capire la lingua parlata, non è detto che siano altrettanto padroni dei meccanismi che regolano una conversazione, soprattutto se questa avviene con o fra madrelingua italiani, maestri nell’interrompersi a vicenda o nel sovrapporre più voci contemporaneamente.

Inoltre, riallacciandomi a quanto detto prima a proposito delle Ricostruzioni di conversazione, l’italiano radiofonico o televisivo è molto spesso di varietà “standard”, cioè quello a cui pensano gli studenti quando chiedono dove si parla il “vero” italiano. La realtà quotidiana però è ben diversa, in quanto ognuno ha le proprie radici, dal punto di vista geografico, e abitudini linguistiche consolidate, che si manifestano in una ricchissima varietà linguistica, che gli studenti non conoscono, di fronte alla quale si trovano spiazzati. I dialoghi dei film, secondo me, potrebbero colmare questa lacuna, avvicinando gli studenti alla realtà esterna alla scuola e quindi permettendo loro di acquistare maggior fiducia nella propria capacità di relazionarsi con essa[5].

Sempre a proposito delle attività di tipo (b), disponendo della trascrizione dei dialoghi è possibile impostare varie attività, come, ad esempio, Letture analitiche, esercizi Cloze, esercizi di ricomposizione testuale…

Resta ora da prendere in esame le attività di tipo (c), per le quali, però, vi invito a leggere l’articolo “Cinema amore mio” di Dodger Scicluna.

[1]  In questo mi ricollego anche a quanto ho scritto nell’articolo “Teatro, che passione” comparso sugli Atti del Seminario internazionale 1997, dove facevo la distinzione fra l’italiano “lingua di studio” e “lingua di comunicazione”.

[2] Per la descrizione di questa attività si veda il Manuale dell’insegnante del volume Volare 1 o 2.

[3] come sopra.

[4] Per la descrizione di questa attività si veda il Manuale dell’insegnante del volume Volare 1 o 2.

[5] Anche questo potrebbe permetterci di incrinare, almeno, la campana di vetro di cui parlavo nella parentesi iniziale.