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Leggere un testo letterario

“One tries to go deep –
to speak to the secret
self we all have”
(Katherine Mansfield)

The Secret Self è il titolo di un’antologia di racconti di autrici che scrivono in lingua inglese; in essa è contenuto un racconto di Jane Gardam The Weeping Child che offre spunti di riflessione sulla letteratura e sulla natura del rapporto libro-lettore. Al centro del racconto la narrazione di un’intensa esperienza emotiva e spirituale vissuta dalla protagonista, esperienza che offre un’ottima esemplificazione di quali siano le caratteristiche e le peculiarità che costituiscono un rapporto fruttuoso fra libro e lettore e di quali siano gli effetti che la lettura di un testo letterario può produrre sul lettore.

All’inizio del racconto, la protagonista, Mrs Ingham, viene presentata come una donna rispettabile, forte, pratica, dalle certezze granitiche, poca disposta all’improvvisazione: la sua vita è un modello di ordine e organizzazione. L’impressione generale che si ricava è quella di una persona piuttosto fredda che sembra aver sacrificato i sentimenti alla razionalità. Passo dopo passo, nel corso della storia Mrs Ingham inaspettatamente rivela aspetti della personalità che risultano sconosciuti persino a se stessa. La donna rigida, fredda, razionale dei primi passi del racconto lascia lentamente il posto ad una persona completamente diversa: cadono le difese, il suo animo si addolcisce svelando un mondo interiore ricco di sfumature e di grande sensibilità.

Lei stessa racconta la circostanza in cui si è prodotta questa trasformazione. Essendo membro in vista di una associazione umanitaria viene incaricata di fare un sopralluogo in una villa al fine di stabilire se quel posto possa essere adatto ad ospitare una manifestazione dell’associazione. Uno sguardo veloce al posto le basta per decidere che non si tratta del luogo adatto. Così, decide di andarsene. Uscendo dalla villa, vede il giardino che subito le appare bellissimo. Rimane incantata: il profumo, il colore dei fiori stemperano la sua asprezza. Passeggia per un po’ e entra nella serra. All’improvviso, sotto il lavandino, vede un bambino in lacrime, accovacciato. Parlando con lui scopre la ragione del suo pianto: il bimbo piange perché è stato ingiustamente accusato. Sorpresa, va dal giardiniere e gli dice che cosa ha visto. Quest’ultimo risponde che il bambino con cui ha parlato è lui stesso: è la sua anima che continua a soffrire per un torto subito.

L’esperienza ha su Mrs Ingham un impatto molto forte e la porta a riflettere e a prendere coscienza del dolore che sia volontariamente che involontariamente provochiamo agli altri. L’incontro le dà la possibilità di dare voce a quelle parti del suo animo che erano rimaste silenti perché soffocate dall’educazione ricevuta e dal rigido codice delle convenzioni sociali.

La vicenda dell’incontro di Mrs Ingham con l’anima del bimbo in lacrime oltre ad essere la storia di un’esperienza mistica perché racconta l’incontro di due anime, è anche la metafora di quello che dovrebbe essere il nostro rapporto con la lettura e più in particolare con la letteratura. Come nel caso della protagonista del racconto, la lettura di un’opera letteraria offre l’occasione di scoprire e di esplorare un mondo nuovo e tutto questo aiuta la coscienza ad affinare le sue capacità percettive. Si tratta dunque di un’esperienza positiva, bella e tuttavia molti continuano a pensare che leggere letteratura sia una gran noia e una perdita di tempo. È chiaro che ognuno è libero di pensare e fare quello che vuole, ma è necessario notare che il disinteresse verso il libro nasce da esperienze scolastiche che hanno ben poco dell’alone di misticismo che pervade il racconto di Jane Gardam.

Quando ripenso alla mia storia, alla mia esperienza di persona che legge e che lo fa con piacere, mi rendo conto che il mio incontro con i libri è avvenuto in maniera molto naturale e spontanea.

Mia madre ama leggere e mi ha trasmesso questa sua passione con grande semplicità. Durante la sua infanzia e adolescenza turbate dalla guerra, la sua immaginazione e fantasia avevano trovato nei libri uno strumento di difesa da una realtà troppo difficile da sopportare. Le letture preferite da mia madre erano i libri di una collana della casa editrice Salani che pubblicava libri per ragazzi. Si trattava di storie d’avventura in luoghi pieni di mistero e magia; i giovani protagonisti si trovavano a dover affrontare situazioni difficili uscendone però sempre vincitori. Forse, c’era un po’ di propaganda fascista, ma questi romanzi erano un ottimo antidoto alla paura degli allarmi antiaerei nel cuore della notte, al senso di sgomento provocato dagli arresti delle amiche ebree che non si sarebbero mai più viste.

I libri della collana Salani sono state le mie prime letture, sono stati i testi su cui in modo molto istintivo ho iniziato prendere confidenza con la costruzione delle trame, con lo spazio e il tempo di un romanzo e con l’analisi dei personaggi. Era un’esperienza affascinante, entusiasmante.

A scuola la situazione era diversa perché non solo dovevo leggere ma dovevo anche fare dei compiti: c’erano le versioni in prosa e i riassunti. Il rapporto con il testo perdeva spontaneità. Al liceo, pur avendo un professore di lettere all’avanguardia, la situazione non cambiava un granché: la verifica, il voto, i compiti continuavano a freddare il mio entusiasmo. Anche all’università non riuscivo a rinverdire i fasti degli ardori infantili fino al giorno in cui durante una lezione su Samuel Beckett, un passo dell’opera Waiting for Godot riesce a parlarmi. Si trattava di un momento difficile e le parole del testo mi erano venute in aiuto per capire il perché dello stato d’animo in cui mi trovavo. Quel giorno ho capito che i libri non erano solo una fonte di conoscenza, ma anche un mondo sempre nuovo da esplorare e un aiuto a capire me stessa e gli altri. Comunque, il sistema universitario non facilitava l’approccio personale anche se c’erano insegnanti che ci invitavano a lasciar da parte commenti e saggi critici e incoraggiavano l’analisi personale. Tuttavia, trovandosi di fronte platee di centinaia di studenti, privilegiavano l’insegnamento di tipo frontale.

Tanti ostacoli si frappongono tra il lettore e il libro e sono questi che reprimono il desiderio di leggere.

Fay Weldon nel saggio Letters to Alice scrive:

Novelists provide an escape from reality: they take you to the City of Invention. When you return you know more about yourself. You do not read novels for information, but for enlightenment.[1]

Più avanti continua:

Truly, Alice, books are wonderful things: to sit alone in a room and laugh and cry, because you’re reading, and still be safe when you close the book; and having finished it, discover you are changed, yet unchanged! To be able to visit the City of Invention at will, depart at will – that is all, really, education is about, should be about.[2]

Il rapporto lettore-libro che viene descritto in queste righe è intimo, intenso e raramente viene incoraggiato nelle scuole e nelle Università. Purtroppo, gli studi di teoria della letteratura, le riflessioni acute di tanti studiosi e professori e la critica letteraria hanno arricchito sicuramente il bagaglio di nozioni ma, allo stesso tempo, hanno privato la letteratura e l’insegnamento della letteratura di due qualità che sono importanti nella dinamica libro-lettore: l’autenticità e la spontaneità. Il problema di un approccio accademico risiede nel fatto che:

In such places – English Literature course – (or so it seems to me), those in charge are taking something they cannot quite understand but have an intimation is remarkable, and breaking it down into its component parts in an attempt to discover its true nature. As well take a fly to bits, and hope that the bits will explain the creature. You will know more, but understand less. You will know more information, and less wisdom.[3]

Bisogna considerare la letteratura, i libri, la lettura come attività naturali, è necessario dissipare quell’alone di solennità che è stato creato intorno ai libri. I libri, le opere letterarie sono un patrimonio di tutta l’umanità senza limiti d’età, sesso, classe sociale. Dunque ognuno di noi, deve avere coscienza che non ha bisogno di anni di studi letterari per accostarsi ai capolavori della letteratura e che il desiderio di dialogare con un libro è già un ottimo punto di partenza. Per cui, a mio parere, il compito dell’insegnante è quello di aiutare ad iniziare questo dialogo.

Il racconto di Jane Gardam, il saggio di Fay Weldon sono stati la fonte di ispirazione e mi hanno indicato la strada da seguire nel preparare l’attività didattica che ho presentato al seminario. L’obiettivo dell’attività era quello di far parlare gli studenti di un testo letterario; obiettivo difficile da perseguire. Subito mi sono trovata a dover risolvere due problemi: il primo era trovare un testo interessante e che gli studenti sentissero vicino alla loro esperienza (la classe – livello avanzato – con cui ho lavorato era un gruppo misto per retroterra culturale, esperienze e nazionalità), l’altro problema era creare l’atmosfera giusta.

Il primo problema ha avuto una facile soluzione: ho scelto un racconto di Alberto Moravia intitolato Il viaggio di nozze, un testo che presentava difficoltà di diverso genere ma tutte superabili. L’argomento trattato (il matrimonio) si prestava alla discussione e il finale aperto stimolava l’interpretazione personale.

Invece il secondo problema ha richiesto una lunga gestazione dovuta al fatto che ogni soluzione che via via andavo escogitando, mi sembrava artificiosa. Alla fine, guardando un video con uno studente, è arrivata l’illuminazione: simulare l’intervista radiofonica di un personaggio famoso o di un esperto che parlava del racconto era la soluzione che cercavo. Risolti questi due problemi ero a metà dell’opera, però dovevo fare i conti con l’oste, cioè con gli studenti.

Prima di presentare l’attività, ho detto loro che insieme avremmo fatto un esperimento e che avremmo lavorato ad un’idea che desideravo mettere in pratica. Ho presentato la situazione e gli ho dato il racconto da leggere, dicendo che rimanevo a loro disposizione per chiarimenti. In seguito ho aggiunto che ognuno di loro avrebbe dovuto preparare una lista di dieci domande e la scaletta dell’intervista. Hanno avuto una settimana per leggere il racconto a casa. Ero poco fiduciosa e avevo paura che non facessero niente. Allo scadere della settimana, con mia grande sorpresa, me li sono ritrovati pronti a lavorare: ognuno aveva la sua lista di domande e la fotocopia del racconto con note e appunti. Addirittura prima di iniziare l’attività uno studente ha voluto verificare se alcune frasi di rito fossero appropriate per quella situazione. Si sono messi al lavoro, dopo 15 minuti ho cambiato ruoli e coppie e hanno continuato ancora per altri 15 minuti.

Finita l’attività ho dato loro un foglio con delle domande allo scopo di sapere cosa pensassero dell’attività. La maggior parte di loro aveva trovato l’attività difficile ma si dichiaravano soddisfatti ed avevano trovato interessante confrontare le loro idee con quelle degli altri compagni. Un altro elemento da prendere in considerazione è che ognuno di loro aveva studiato letteratura a scuola o all’università in modo tradizionale (lezioni frontali) e sinceramente penso che questo abbia facilitato il lavoro svolto.

Alla luce di questa esperienza, non ritengo che sia onesto criticare aspramente l’approccio frontale nel caso dell’insegnamento della letteratura, tuttavia rimango dell’idea che la lezione frontale non paghi e penso sia fonte di frustrazione per studenti e insegnanti. Trovare l’alternativa non è facile e c’è il rischio di ripetere gli stessi errori compiuti dagli studiosi di letteratura e cioè di soffocare la letteratura in nome della didattica.

La letteratura è l’espressione dei sentimenti di una persona e in quanto tale merita rispetto. Tengo a precisare che mi riferisco alla buona letteratura, non alla letteratura prodotta solo per cercare il successo editoriale. Fay Weldon, parlando della buona letteratura, scrive:

The good builders, the really good builders, carry a vision out of the real world and transpose it into the City of Invention, and refresh and enlighten the reader, so that on his, or her, return to reality, that reality itself is changed, however minutely.[4]

L’insegnamento della letteratura, sia esso rivolto a adolescenti, a studenti di lingua straniera o ad adulti, si associa spesso a parole come inutile, noioso, vecchio e esiste il rischio che per non renderlo tale, si possa ricorrere a soluzioni che rendono popolare l’insegnante ma che poi non ritornano utili a lungo andare.

In precedenza ho affermato che all’insegnamento della letteratura non hanno giovato la critica letteraria e la teoria della letteratura e che la letteratura insieme all’insegnamento devono riacquistare spontaneità e autenticità. Nel ricercare nuove soluzioni, bisogna evitare i placebo che danno l’illusione che gli studenti si appassionino ma che poi nei fatti non lasciano il segno.

Recentemente leggendo un saggio sul fumetto ho trovato un passo che può valere anche per la letteratura. Parlando della crisi del fumetto italiano fra il pubblico adulto, l’autore scrive:

Eppure il fumetto italiano ha perso il pubblico adulto. (…) Perché il pubblico oltre i venticinque anni pare abbia sempre meno voglia di ascoltare musica, andare al cinema, leggere per vivere emozioni non rassicuranti, che non si adattino a confermare i modelli di vita consentiti. Perché il nuovo fumetto, (…), impone, attraverso le emozioni e la sua enorme carica comunicativa, la necessità di guardarsi dentro, di mettere in discussione le scelte di vita, la loro finalità.[5]

Un buon libro, la buona letteratura può scatenare dubbi, porre domande, mettere in crisi alcune certezze anche se per poco tempo e quindi non deve sorprendere il fatto che si incontrino delle resistenze alla lettura. E poi perché sforzarsi troppo a riflettere, quando si vive in una società in cui tutto è subito chiaro e manifesto?

Leggere e riuscire a trovare il passo del romanzo, della poesia o del racconto che ci predisponga alla riflessione e che ci accompagni per la vita non è facile e ancora più difficile è insegnare a fare tutto questo. Tuttavia si deve continuare a provare e cercare nuove vie facendo attenzione a non cedere alla tentazione di seguire strade che lusingano l’amor proprio dell’insegnante ma arricchiscono ben poco il bagaglio affettivo e culturale degli studenti.

Testi consultati

The Secret Self 2, introduced by Hermione Lee, Everyman, London 1993
Fay Weldon, Letters to Alice, Sceptre 1993
Luca Raffaelli, Il fumetto, Il Saggiatore, Milano, 1997
Il racconto di Alberto Moravia Il viaggio di nozze è tratto dal volume “L’automa” pubblicato dalla Bompiani nel 1981

[1] I romanzieri offrono un’evasione dalla realtà e ti conducono alla Città dell’Invenzione. Al tuo ritorno conosci meglio te stesso. I romanzi non si leggono per trarne informazioni ma piuttosto illuminazione. (Fay Weldon, Letters to Alice, pag. 32)

[2]  Davvero, Alice, i libri sono cose meravigliose: star seduti in una stanza a ridere e a piangere perché stai leggendo e tuttavia sentirsi al sicuro quando chiudi il libro; e quando lo hai finito tutto scopri di essere cambiato, eppure sei rimasto lo stesso! Essere in grado di entrare nella Città dell’Invenzione quando si vuole, uscirne quando si vuole, ecco cos’è l’apprendimento o almeno cosa dovrebbe essere. (op. cit. pag. 68)

[3] In tali luoghi – al corso di Letteratura Inglese – (o almeno così mi pare) i responsabili prendono qualcosa che non capiscono a fondo pur intuendone l’importanza e lo sezionano allo scopo di scoprirne la vera natura. È come separare le parti di una mosca, e sperare che le parti spieghino la creatura. Ne saprai di più, ma ne capirai sempre meno. Otterrai più informazioni, ma non sapienza. (op. cit. pag. 10)

[4] I buoni costruttori, quelli proprio bravi, traggono dal mondo reale una visione e trasponendola nella Città dell’Invenzione, dilettano ed illuminano chi legge. Cosicché costui, o costei, al suo ritorno alla realtà trovi questa stessa mutata, anche se di poco. (op. cit. pag. 18)

[5] Luca Raffaelli, Il fumetto, pag. 120