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Perché gli studenti non s’impegnano di più?

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Consideriamo uno studente tipo. Una delle sue caratteristiche è che egli lascia decidere all’insegnante ciò che deve sapere. Lo conoscete? Immagino di sì: ce ne sono molti. Anzi, direi che sono la maggioranza.

Confrontiamolo con un altro che invece decide ciò che vuole sapere. Esistono davvero studenti così? Sì, ma sono pochissimi.

E allora? – chiederà qualcuno di voi – Dove vuoi arrivare?

Usciamo dalla scuola e guardiamoci intorno, nel mondo non scolastico. È un esercizio mentale molto utile ogni volta che vogliamo ragionare con maggior spregiudicatezza sul mondo della scuola. Esiste nel mondo esterno alla scuola una figura il cui ruolo sia quello di apprendere e che decide ciò che vuole sapere? Sì, si tratta del ricercatore. Un ricercatore deve apprendere, è pagato per farlo. Non è un dilettante: è tenuto ad essere efficiente nell’apprendimento, deve giustificare il suo stipendio. È un professionista dell’apprendimento.

Torniamo nella scuola. Lo studente ha lo stesso ruolo del ricercatore: deve apprendere. Allora, come mai la maggior parte degli studenti non si comporta da professionista? Come mai lascia decidere all’insegnante ciò che deve sapere, invece di decidere ciò che vuole sapere, strategia che renderebbe l’apprendimento più efficace?

La domanda diventa ancora più pertinente se osserviamo i neonati. Anche loro si comportano da ricercatori: vanno in giro carponi prendendo in mano e magari portando alla bocca ogni oggetto su cui posano lo sguardo. Lasciati liberi, non si fermano mai: la vita per loro è una continua gioiosa ricerca. Ce l’hanno scritto in faccia: “Voglio sapere cos’è quello.Voglio sapere perché succede questo”, con tutta l’anima.

I nostri studenti non sono stati anche loro neonati? Cosa è successo nel frattempo? Perché quando arrivano nelle nostre aule l’anima del ricercatore sembra ormai morta? Perché lasciano decidere all’insegnante ciò che devono sapere? Perché si comportano in modo da andare contro i propri interessi?

Tutte le indicazioni a mia disposizione mi portano alla conclusione che sono stati addestrati a farlo. Hanno frequentato per un cospicuo numero di anni la scuola. Hanno imparato a scuola che non conviene essere curiosi. A scuola non spetta a loro decidere ciò che devono sapere. Spetta a loro invece lasciar decidere all’insegnante ciò che devono sapere. Questo è il loro ruolo, e se non si conformano al più presto, la vita a scuola diventerà un incubo.

Vediamo un’altra caratteristica del ricercatore: egli esplicita ciò che vuole sapere. Lo “scolaro addestrato”, invece, non chiede mai: risponde soltanto. E quando risponde lo fa sotto interrogazione: rispondere significa essere esaminato.

Proseguiamo nell’esame del comportamento del ricercatore. Egli ipotizza possibili soluzioni. Lo scolaro addestrato, invece, vede nell’insegnante il depositario della verità. Inoltre, il ricercatore confronta le proprie ipotesi con quelle dei colleghi, mentre lo scolaro addestrato vede i colleghi come rivali o non li considera affatto.

Il quadro, quindi, è quello di una situazione in cui lo studente, colui che ha il compito di imparare, ha un comportamento opposto a quello della figura a lui corrispondente nel mondo extrascolastico, il ricercatore, colui che impara in modo efficiente. In questa situazione noi insegnanti abbiamo delle responsabilità. Che fare allora? Se riusciamo ad individuare alcune delle tecniche usate per ottenere questo efficacissimo addestramento, avremo maggiori possibilità di avviare un’inversione del processo, aiutando lo studente a riacquistare progressivamente l’attitudine ad essere ricercatore.

Esaminiamo alcune delle tecniche adoperate dagli insegnanti per addestrare gli scolari.

  • Valutare le risposte degli scolari in termini di giusto o sbagliato, e non come ipotesi intelligenti.

Per invertire la tendenza basterebbe riconoscere che ogni risposta a un quesito non è altro che la migliore ipotesi che colui che risponde è in grado di dare, vista la sua visione del mondo in quel dato momento. È vero per noi insegnanti come è vero per gli studenti, e anche per i più quotati scienziati del mondo. Nessuno è arrivato; nessuno possiede la verità assoluta. Lo stato più avanzato della conoscenza umana non è altro che un insieme di ipotesi, ipotesi che vengono messe in discussione e migliorate ogni giorno.

  • Non dare mai l’ultima parola allo studente.

La modalità più diffusa è il cosiddetto ‘fare eco’, ossia ripetere ciò che dice lo studente, ‘espropriare’ la sua idea. Per invertire la tendenza basterebbe imporsi la regola di stare zitti e lasciare che l’idea dello studente ‘respiri’ (non è facile, lo ammetto).

  • Se uno studente chiede qualcosa, dare più informazioni di quante siano state richieste.

Esempio: lo studente chiede: “Vado è la prima persona di andare?” e l’insegnante risponde: “Sì: io vadotu vaiegli vanoi andiamovoi andateessi vanno.” Lo studente ha chiesto una cosa e l’insegnante ne approfitta per ostentare la vastità della propria conoscenza. È difficile che lo studente possa sentirsi ricercatore con un insegnante che si comporta in modo simile.

  • Non ammettere mai di non sapere tutto.

Sembra così difficile per un insegnante dire “non lo so”. Eppure perfino i linguisti accrescono costantemente le proprie conoscenze sulla lingua, ciò significa che neanche loro sanno tutto, figuriamoci noi, che nonostante gli sforzi per tenerci aggiornati, non riusciamo neanche a stare al passo con la ricerca. Un sano “non lo so” detto ogni tanto in risposta ad una domanda difficile fornisce un’informazione preziosissima agli studenti: siamo tutti, insegnante e studenti, coinvolti in una continua, bellissima ricerca.

  • Non ammettere che lo studente possa iniziare uno nuovo scambio all’interno di un percorso didattico già avviato dall’insegnante.

Abbiamo il nostro programma, già strapieno, siamo già in ritardo nel suo svolgimento a causa di interruzioni di vario tipo, e lo studente pone una domanda che non è, a nostro avviso, pertinente alla questione che stiamo affrontando. Che facciamo? Non possiamo perdere ulteriore tempo: gli diciamo “non ora”. E così abbiamo perso l’ennesima occasione per innescare il processo di riacquisizione del ruolo di ricercatore che tanto gioverebbe ai nostri studenti.