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Discussione sull’Ascolto autentico

La prima attività che sarebbe stata dimostrata è quella che noi chiamiamo Ascolto autentico ed era anche quella che avrebbe suscitato la prima e, ci aspettavamo, la più accesa discussione.

I partecipanti al seminario erano stati divisi in quattro gruppi secondo una loro più o meno dichiarata conoscenza – o non conoscenza – di una lingua; ogni gruppo avrebbe partecipato ad un’attività di ascolto nelle seguenti lingue: tedesco (principianti); francese (intermedi); inglese (avanzati); italiano (avanzati).

La differenza di livello nelle varie lingue avrebbe determinato la scelta ed il grado di difficoltà dei vari brani ma non la loro lunghezza (dai 4 ai 7 minuti) né il numero dei successivi ascolti (max. 7).

Per dare un’idea del soggetto dei rispettivi ascolti, ne riporterò brevemente il contenuto: per il tedesco, due ragazzi di madre lingua tedesca che fanno amicizia in una scuola di lingue dove entrambi frequentano un corso, scoprendo, durante la conversazione, la loro provenienza, la loro attività, ecc.; per il francese, tre sorelle che, all’approssimarsi del Natale, si scambiano pareri sui regali da fare; per l’inglese, uno scambio di opinioni sulle condizioni degli stadii in Inghilterra e relativo confronto con il continente europeo; per l’italiano, l’avvocato Scasseddu, di origine sarda, racconta un episodio avvenuto durante una vacanza.

L’attività sarebbe andata avanti per circa 50 minuti seguendo, in tutte e quattro le classi, il medesimo iter:

  1. ascolto di tutto il brano
  2. socializzazione in coppie o a gruppi di tre di quanto o cosa si era capito
  3. ascolto dell’intero brano
  4. 2a socializzazione col medesimo compagno o gruppo per un’eventuale modifica dell’ipotesi formulata
  5. cambio di compagno o di gruppo per un nuovo confronto sul contenuto del brano
  6.  ascolto di tutto il brano
  7. modifica o completamento delle informazioni con lo stesso compagno/gruppo
  8. cambio di compagno/gruppo per un ennesimo confronto e così via. Lo schema dell’attività potrebbe essere semplificato come segue:
  • Ascolto l
  • Socializzazione 1
  • Ascolto 2
  • Socializzazione 1
  • Socializzazione 2
  • Ascolto 3
  • Socializzazione 2
  • Socializzazione 3
  • Ascolto 4
  • Socializzazione 3
  • Socializzazione 4, ecc., fino ad un massimo di 7 ascolti.

Alla fine dei 50 minuti sarebbe seguita una discussione sull’attività all’interno di piccoli gruppi formati da persone che avevano partecipato a lezioni in lingue differenti: alcuni gruppi avrebbero avuto un tema sul quale discutere, altri no, ma eravamo convinti che la discussione si sarebbe sviluppata ugualmente e quasi subito. Dopo di che tutti i partecipanti si sarebbero riuniti in un’assemblea dove sarebbero stati invitati a esporre le loro critiche (soprattutto) e a discuterne collegialmente. Ed è proprio il resoconto di questo dibattito che mi è stato chiesto di scrivere. Il compito non è facile anche perché l’immediatezza di certi interventi, la loro spontaneità, non disgiunta da una certa carica di autoironia, è molto difficile da rendere per iscritto, a meno che non si faccia una trascrizione dell’intero dibattito che prenderebbe più pagine di questi Atti di quante me ne siano state messe a disposizione. Cercherò quindi di riassumere i punti salienti dell’intera discussione e qualche mia osservazione.

Il punto principale attorno al quale si è sviluppata la maggior parte degli interventi e che ha preso più tempo, è stato la “frustrazione”.

La frustrazione di aver capito poco e di aver formulato delle ipotesi sul non capito che alla fine della lezione, nonostante i 50 minuti spesi nell’attività, l’alto numero degli ascolti e l’impegno, non solo intellettuale ma anche fisico del doversi continuamente alzare e cambiare posto dei partecipanti, non sono state confermate o smentite dall’insegnante che insomma non “ha tirato le fila” dell’attività mandando a casa lo studente con espressioni o vocaboli nuovi fissati nella sua testa o sul suo quaderno; cioè non aver “chiuso” l’attività e quindi aver scontentato lo studente.

Per ovviare a questa “frustrazione” sono state avanzate diverse ipotesi di soluzione. Per esempio quella di dare allo studente prima del 1° ascolto, delle informazioni sul contesto extralinguistico; sull’argomento; sui partecipanti alla conversazione; sui loro ruoli; ecc. Un’altra possibile soluzione è stata quella di far fare agli studenti delle ipotesi sul contenuto scrivendo delle domande (da fare all’insegnante) su alcuni aspetti del brano da ascoltare, cercando parole sul dizionario in modo che “quando le sentono, le riconoscono e quindi le capiscono”; e ancora, quella di limitare il numero degli ascolti a 2 o 3 e poi “ricostruire la storia sulla base dei vari punti capiti dagli studenti” per poi ascoltare di nuovo spiegando i termini nuovi.

Dietro tutte queste “possibili soluzioni” occhieggiano delle convinzioni più o meno radicate tipo quella che

  1. lo studente (contrariamente a quello che fa nella L1 come comunicatore) ha la tendenza a soffermarsi sul particolare e non sul globale;
  2. dopo un certo numero di ascolti (2 o 3) lo studente non capisce più molto;
  3. la lunghezza eccessiva dell’attività richiede un’autodisciplina per mantenere costante il livello di concentrazione che gli studenti non hanno;
  4. l’insegnante, se non partecipa “attivamente” alla lezione di ascolto, si riduce a semplice “tecnico dei suoni” o ” operatore di macchina”;
  5. lo studente “viziato” da 10/12 anni di scuola pubblica vuole sapere se quello che ha capito è giusto o meno: in poche parole che la nostra “ratio” europea vuole la soluzione, la chiave.

Le uniche due cose che non hanno suscitato “contestazioni” sono state la socializzazione e la scelta di materiale autentico anche se a quest’ultimo è stato obiettato che se il materiale lo era, la situazione no. Per risolvere il “surrealismo” di questo problema, tutti erano d’accordo nell’auspicare quanto prima l’entrata sul mercato di cassette video.

È indubbiamente molto più simile alla realtà vedere due persone che parlano, osservare i loro gesti, le loro espressioni, dare un’occhiata alI’ambiente che li circonda, ecc. Ma anche in questo caso la situazione sarebbe molto vicina alla realtà, ma non la realtà. Mi vengono in mente pochissime occasioni nelle quali come comunicatore ho assistito completamente muto a conversazioni tra altre due o tre persone. Nella maggioranza dei casi, o sono stata allontanata da un’occhiataccia tipo “fatti gli affari tuoi” o sono stata coinvolta nella conversazione da un invito più o meno esplicito dei parlanti o da un impellente bisogno di dire la mia.

E allora? Dobbiamo forse per questo abbandonare o falsificare un’attività che per la sua importanza ed utilità viene considerata, ormai da molti, uno dei capisaldi dell’insegnamento della L2? Non credo. E la frustrazione degli studenti, e il ruolo dell’insegnante, dove li mettiamo?

La nostra convinzione è che l’insegnante ha il dovere di mettere lo studente di fronte ad una situazione il più possibile vicina alla realtà. Una delle prime cose che gli capiterà di provare, come comunicatore in una lingua straniera, sarà quella di essere immerso in un mare di suoni incomprensibili e di annegare. Tutta la sua personalità sarà annullata: gli sembrerà di essere deficiente, di dare agli altri un’immagine di se lontanissima dalla realtà, di sorridere come un ebete perché non capisce ciò che gli viene detto e quindi di non poter rispondere appropriatamente come invece farebbe nella sua lingua e potrei continuare ma so che molti di voi capiscono benissimo cosa intendo, forse per il fatto di averlo provato almeno una volta sulla propria pelle. Bene. Io chiamo questa condizione e il sentimento che l’accompagna “FRUSTRAZIONE”. Ma quando l’insegnante avrà spiegato con molta pazienza e molte volte che l’obbiettivo di quella “straziante” attività è proprio quello di dare allo studente gli strumenti (o l’abilità) necessaria per barcamenarsi in quel mare in tempesta; quando avrà chiarito che la frustrazione è un sentimento normale che accomuna tutti quelli che studiano una lingua; quando lo avrà rassicurato su quanto ci si aspetta da lui; se non avrà contraddetto questa aspettativa con un “controllo” alla fine dell’attività solo per calmare la sensazione di non aver insegnato, in poche parole, solo se sarà pienamente convinto che quei 50 minuti sono tutti a vantaggio dello studente e lo trasmetterà alla classe, riuscirà nel suo intento.

Ma procediamo con ordine

Alla convinzione n° 1 (esposta precedentemente) noi rispondiamo che sta all’insegnante far cambiare strategia allo studente, dandogli fiducia e facendogli capire che l’insegnante non si esprimerà alla fine dell’attività; che l’obiettivo di quell’ascolto non è capire tutto perché sarà impossibile, ma che sarà altrettanto impossibile non capire niente: che non è vero che NON CAPIRE TUTTO = NON CAPIRE NIENTE. Che non sono importanti le singole parole (anche perché moltissime non le capirà, neanche se prima le cerca sul dizionario) ma quello che lui pensa sia il contenuto della conversazione; le ipotesi che lui farà sui parlanti, sull’ambiente, sulla situazione, sui ruoli, ecc. Che, in poche parole, l’obbiettivo dell’attività è l’attività stessa.

Per quanto riguarda il numero 2, noi crediamo che l’incremento o non esiste (e l’attività che noi chiamiamo “dettato-puzzle” [ndr. oggi “Puzzle linguistico”]  lo dimostra pienamente) perché la capacità di tirare fuori altre parole da un testo autentico è grandissima, a volte quasi “miracolosa” (a meno che non sia lo studente stesso a gettare la spugna). C’è, è vero, una diminuzione dell’incremento nella comprensione. Ma questa diminuzione corrisponde a un limite psicologico che io studente si pone quando si dice “il gioco non vale più la candela”. Questo limite noi lo abbiamo fissato a 7 volte, ma potrebbero essere 5 o 10. L’importante è non superare i 50 minuti.

In quanto alla lunghezza (n° 3) è facile dimostrare quanto sia un fattore altamente soggettivo: ciò che è lungo per uno studente non lo è per un altro, ecc. Se l’insegnante, prima di avviare il registratore, avvertirà la classe che si tratta di un brano molto lungo e molto difficile, scoprirà una luce di sorpresa negli occhi degli studenti quando, anche dopo sette lunghi minuti, premerà il tasto STOP.

Per il n° 4, noi siamo convinti che una “presenza” dell’insegnante in questa attività come controllore o altro implica l’assunzione che c’è un solo modo corretto di capire quell’ascolto: quello dell’insegnante. Questo ci sembra alquanto presuntuoso in quanto ognuno di noi ha una sua propria visione (soggettiva) della realtà, del mondo e proietta questa sua visione su ciò che ascolta e il bello del “gioco” è proprio confrontare quello che è la visione di quel brano con un altro studente, in un confronto tra pari. In una classe di 12 studenti ci saranno 12 visioni diverse. L’insegnante non può e non deve mettersi sullo stesso piano dello studente perché ne frustrerà (e in questo caso è giusto parlare di frustrazione) la sua capacità di comprensione. Senza contare il tradimento dell’assicurazione fatta all’inizio dell’attività dall’insegnante di non verificare quanto si è veramente capito. Se l’insegnante lo facesse invierebbe allo studente un doppio messaggio che ne aumenterebbe l’ansia.

E ora l’ultimo punto ma non per questo il meno importante. La domanda da porsi è se si vuole o no modificare qualcosa nel sistema europeo per quanto riguarda l’apprendimento di una lingua straniera. Se la risposta è si, allora bisogna farlo e subito. L’insegnante deve smettere di sentirsi una “fonte del sapere”, deve restituire allo studente la sua dignità. Deve educare lo studente ad essere giudice e valutatore di se stesso quindi più protagonista del suo apprendimento. Se lo studente sarà padrone di se stesso, i progressi saranno più rapidi. La scelta di lasciare lo studente così com’è o di cambiarlo sarà possibile solo se l’insegnante, per primo, cambierà le sue convinzioni, se si metterà da parte, se sarà presente e assente allo stesso momento, se ci sarà una vera democrazia nell’imparare.