Cerca

post

Discussione sul Puzzle linguistico

La discussione che riporterò ha luogo dopo una lezione di Puzzle linguistico: (vedere Bollettino Dilit 1983, n. 3) questa attività consiste nell’ascoltare tante volte un breve pezzo di un brano autentico ascoltato precedentemente con l’obiettivo di trascriverlo parola per parola, alternando momenti d’ascolto e momenti di socializzazione. In alcuni casi l’attività può terminare con una ricostruzione collettiva del brano confrontando insieme e discutendo i punti meno chiari o dubbi.

La discussione comincia con l’intervento di un insegnante che ha partecipato alla lezione in una classe di tedesco per principianti.

Il suo tono è sconsolato e scontento. Le critiche che rivolge all’attività sono di tre ordini: per cominciare afferma di aver sentito questa lezione non come un momento di apprendimento, ma quasi come un test da cui, peraltro, lui era uscito con un fallimento. Descrive se stesso come un totale principiante nella lingua tedesca e sostiene che, a suo avviso, soltanto chi aveva già delle conoscenze della lingua era stato in grado di scrivere qualcosa del testo. Facendo riferimento al concetto di Krashen dell’input comprensibile, questo insegnante sottolinea che un nuovo input dovrebbe inserirsi su di una base conosciuta e ripete che per lui questa base era totalmente assente e, di conseguenza, il brano rappresentava soltanto una serie di suoni senza senso.

La seconda critica riguarda il fatto che agli studenti fosse stato chiesto di applicare la loro attenzione e i loro sforzi su troppe cose contemporaneamente: comprensione della lingua orale, problemi morfosintattici, connettivi, vocabolario, intonazione… Secondo lui sarebbe stato più produttivo scegliere un solo elemento per volta e concentrarvi tutti gli sforzi.

L’ultima osservazione riguarda la durata dell’attività, ritenuta eccessiva; gli studenti fanno molta fatica a mantenere un buon livello di concentrazione per cinquanta minuti. Per concludere questo insegnante dice di aver ricavato, da questa lezione di dettato, un senso di “totale confusione”.

L’intervento immediatamente successivo è di un’insegnante che ha partecipato alla stessa lezione di tedesco per principianti del primo intervenuto. Questa insegnante però esprime subito una grande soddisfazione e dice di avere la sensazione di aver certamente imparato qualcosa. Anche lei si definisce come una principiante assoluta nella lingua tedesca e racconta come, le prime due o tre volte, ascoltando il brano del dettato, non era stata nemmeno in grado di rintracciare, nel flusso di suoni, le parole che l’insegnante aveva trascritto sul foglio che ciascun studente aveva ricevuto come traccia.

Descrive però anche la soddisfazione provata riuscendo, tramite la socializzazione, i successivi ascolti e la discussione con l’insegnante, a identificare progressivamente pezzi di lingua in quello che inizialmente risultava un insieme indistinto di suoni senza senso.

A questo punto prende la parola Christopher Humphris e comincia a rispondere alle critiche del primo intervenuto. Il primo punto considerato è la sensazione di aver svolto un “test”; Christopher precisa che un test ha la funzione di valutare e che invece, nel caso della lezione di dettato, l’insegnante non voleva valutare nessuno, infatti non c’era stato da parte sua, alcun controllo. Se lo studente era uscito da quell’attività con la sensazione di “non sapere”, e di avere ancora molta strada da fare, questo non poteva essere che positivo in quanto realistico.

Una corretta autovalutazione è necessaria e auspicabile e il misurarsi con materiale autentico è la garanzia che il giudizio o autovalutazione dello studente rispetto alla sua conoscenza della lingua non sia falso o illusorio.

Anche la considerazione che il dettato avesse costretto lo studente a misurarsi contemporaneamente con troppe difficoltà viene additato come un fatto positivo; è importante chiedere allo studente di lavorare a tutti i livelli. Certamente può essere utile talvolta focalizzare l’attenzione su di un solo aspetto se ci si trova a lavorare con un brano autentico dove questo aspetto è presente in modo preponderante e non viene estratto arbitrariamente dall’insegnante, ma, in linea di massima, spingere gli studenti a misurarsi con la lingua in tutta la sua complessità è utile e necessario. Questo concetto viene ribadito da un’altra insegnante che sottolinea come questa capacità di tenere conto di ogni componente della lingua contemporaneamente è proprio quello che succederà nella situazione reale e cominciare a farlo in classe può rappresentare un utile allenamento.

Christopher conclude facendo notare come l’attività che viene chiamata Puzzle linguisticosia in realtà composta di varie differenti fasi e che questa complessità e questi diversi momenti (un primo momento propriamente di ascolto e distinzione di suoni e un secondo momento di analisi e riflessione sugli elementi raccolti, di costruzione e discussione di ipotesi) rende perfettamente legittima la durata dell’attività.

A questo punto della discussione seguono numerosi interventi sul tema della maggiore o minore frustrazione o interesse che l’attività ha prodotto o deve produrre negli studenti.

C’è chi sostiene la necessità di graduare il materiale da presentare agli studenti (pur mantenendosi all’interno di materiale autentico), in modo da non provocare né noia (e questo può succedere se il brano scelto non è abbastanza stimolante), né scoraggiamento (questo accade se il brano è troppo difficile per lo studente).

C’è chi afferma la necessità di un momento finale di verifica e controllo con la partecipazione dell’insegnante che possa fornire la “soluzione” in caso di dubbi o problemi irrisolti perché, senza questo momento gli studenti rimarrebbero con una sensazione di attività non conclusa, di confusione.

Questi discorsi vengono ripresi da altri che, facendo invece notare la completa diversità di giudizio data, sulla stessa attività dai due primi partecipanti alla discussione, sostengono che tanto la soddisfazione quanto la frustrazione che possono derivare da una Puzzle linguistico non dipendono da una oggettiva “difficoltà” del brano proposto, ma dal fatto che le persone, gli studenti, sono diversi e hanno di conseguenza diversi “stili di apprendimento”.

C’è per esempio chi è contento di conservare dubbi e interrogativi e lo considera anzi stimolante, e c’è chi vive questo come un aspetto negativo. In questo giocano un grosso ruolo anche le convinzioni personali dello studente riguardo a ciò che può essere utile per lui per imparare, di conseguenza può essere decisivo che l’insegnante spieghi le finalità di determinate attività e li convinca della loro utilità.

Un insegnante conclude dicendo che probabilmente in ciascun individuo esistono tutte le possibilità di “stili di apprendimento” sviluppate in gradi diversi. Sarebbe quindi giusto che l’insegnante utilizzasse in classe una grande varietà di approcci in modo da permettere a ciascuno studente di sviluppare l’abilità che in lui lo è meno. L’insegnante per primo inoltre dovrebbe essere cosciente di quale sia il suo “stile” in modo da non presentare senza accorgersene agli studenti solo un determinato tipo di attività a lui più congeniali.