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La programmazione

Nei numeri precedenti del Bollettino Dilit abbiamo affrontato almeno una volta tutta la gamma delle problematiche di un insegnamento comunicativo. Cerchiamo adesso di farne una sintesi. Vediamo come si programma un corso comunicativo. Elenchiamo, per primo, i nostri presupposti:

  1. L’unità d’insegnamento non è la singola regola grammaticale; non è neppure la frase esemplificatrice di una struttura sintattica; è invece il brano di discorso autentico. Per la definizione e la giustificazione di quanto detto vedi Stefano Urbani, Bollettino Dilit, 1981, n° 3;
  2. la lingua parlata e la lingua scritta non vanno considerate semplicemente come due manifestazioni alla superficie della stessa materia di studio, ma vanno considerate come due vere e proprie sub-materie di natura diversa, le quali vanno studiate separatamente, anche se in parallelo. Soffermiamoci un po’ su quest’affermazione.

Prendiamo in esame la lingua scritta: in che cosa consiste una competenza nella lingua scritta? La possiamo considerare come la somma di diverse competenze:

  1. La competenza linguistica nel senso chomskyano. Bisogna saper produrre frasi grammaticalmente e lessicalmente corrette. Tutta la storia della glottodidattica è d’accordo su questo;
  2. ci vuole inoltre una competenza testuale. Nel senso che bisogna saper legare, modificandole, frasi corrette per formare testi coerenti e coesi. Coerenti nel senso che i concetti vengono presentati nell’ordine richiesto dalle convenzioni della cultura oggetto di esame (un articolo di giornale inglese non ha esattamente la stessa struttura di un articolo di un giornale italiano, per esempio). Coesi nel senso che un testo differisce da una lista di frasi in quanto da una parte si fa un ampio uso di una vasta gamma di connettivi e dall’altra c’è un costante riferimento ad altre frasi. I riferimenti più frequenti sono anaforici, cioè riferimenti a cose dette prima. (La parola “riferimenti” nell’ultima frase, per esempio, è preceduta dall’articolo determinativo “i” perché fa riferimento al concetto menzionato nella frase precedente dove, appunto, c’era l’articolo indeterminativo “un costante riferimento”.);
  3. poi è necessaria una competenza socioculturale. L’atto di scrivere presume un lettore, e quindi un rapporto fra scrittore e lettore. Io, per esempio, ho una visione generalizzata del lettore di questo articolo. È un collega che, fino a prova contraria, merita stima, ma con il quale non posso permettermi troppa familiarità. Di conseguenza non uso termini colloquiali; mentre se scrivessi sullo stesso argomento ad un collega amico, altrettanto meritevole di stima, mi capiterebbe certamente di usare termini ed espressioni colloquiali. Questa consapevolezza su come affrontare il rapporto con il lettore fa parte della competenza socioculturale.

Se adesso esaminiamo la lingua parlata sotto gli stessi aspetti, notiamo parecchie differenze:

  1. La competenza linguistica è importante nella lingua parlata quanto nella lingua scritta, ed è forse proprio questa la spiegazione perché nell’approccio strutturale le due sub-materie non venivano scisse. Un attento esame, però, rivela che a parità di altre condizioni extralinguistiche, le strutture sintattiche e il lessico non sono identici a quelli usati nella lingua scritta. In più c’è un intero sistema, vettore di significati quanto il sistema morfosintattico, che manca alla lingua scritta (salvo in certi casi della letteratura); ed è la fonologia. Per il discente adulto, inoltre, a parte la necessità di imparare il sistema fonologico, rimane l’arduo compito di esercitare i muscoli preposti all’articolazione delle parole per poterlo applicare correttamente;
  2. per quanto riguarda la competenza testuale rimane valido tutto ciò che è stato detto per la lingua scritta. Nel senso che, mentre un partecipante ad una conversazione parla, mantiene la coesione e la coerenza del suo monologo come lo fa quando scrive (anche se parecchi dei connettivi sono diversi). Oltre a ciò, però, deve far attenzione alla coerenza e alla coesione del dialogo. Nel senso che le sue battute non possono non tener conto di quelle dell’altro. Per far questo, usa una vasta gamma di connettivi e “lubrificanti” che non gli servono quando scrive;
  3. la competenza socioculturale ha lo stesso peso che per la lingua scritta. Solo che subentra un maggior numero di considerazioni: quando e come si può interrompere l’altro, chi parla per primo, quando e come si cambia argomento, ecc.

Considerando tutto ciò, possiamo trarre due conclusioni:

  1. una lezione sulla lingua scritta ha come oggetto di studio una cosa fondamentalmente diversa da quella di una lezione sulla lingua parlata;
  2. la lingua parlata è un oggetto di studio assai più complesso (all’incirca 3 volte) della lingua scritta. In un corso “medio”, quindi, dove particolari bisogni degli studenti non privilegiano né l’una né l’altra delle due sub-materie, per ogni lezione sulla lingua scritta ce ne vogliono all’incirca tre sulla lingua parlata. Questo rapporto lo possiamo rappresentare così:

3. Affrontiamo ora la questione dei tempi da dedicare allo sviluppo delle abilità ricettive e produttive. Per quanto riguarda la lingua parlata gli studenti possono essere preparati per tre classi di ruoli:

  1. ascoltatori senza necessità di parlare;
  2. parlanti senza necessità di ascoltare;
  3. partecipanti a conversazioni.

Per quanto riguarda la prima classe si tratta di ascoltare la radio o canzoni o annunci all’aeroporto, guardare la televisione, vedere un film, ecc.; alla seconda classe compete tenere conferenze, seminari, ecc.; la terza classe è quella più importante se vogliamo che gli studenti riescano a stabilire rapporti personali con persone di madrelingua.

In media un partecipante ad una conversazione parla la metà del tempo ed ascolta l’altra metà. Un corso di lingua, quindi, dovrebbe dedicare pari tempo allo sviluppo della capacità di capire ascoltando e allo sviluppo della capacità di parlare; sempre, naturalmente, parlando del caso “medio”.

Per quanto riguarda la lingua scritta, il rapporto fra ricezione e produzione può essere diverso. Per la nostra esperienza lo studente “medio” ha meno bisogno di scrivere che di leggere. Il modello illustrativo relativo ai tempi dedicati ad ognuna delle abilità di base risulta quindi il seguente:

4. L’altro parametro da considerare nel completare il modello è il rapporto fra acquisizione e apprendimento. Per un’esposizione su questo tema vedi Christopher Humphris, Bollettino Dilit, 1983, n° 3. Il modello completo è il seguente:

Il modello ha la funzione di illustrare, tramite la relativa grandezza delle caselle, la quantità relativa di tempo che ogni tipo di attività didattica dovrebbe occupare in un corso di lingua. (Sempre indirizzato allo studente “medio”. Più i bisogni comunicativi di una classe s’allontanano dalla media, più il modello viene modificato.) Il modello ci dice, per esempio, che per ogni attività di Produzione libera scritta di mezz’ora ci devono essere sei attività di Ascolto autentico di mezz’ora. Oppure ci dice che per ogni attività di Ascolto analitico di mezz’ora dov’essere in programma un’attività di Produzione libera orale di mezz’ora. E così via.

Prima di proseguire, forse è il caso di essere sicuri che la terminologia usata sia chiara. Passiamo brevemente in rassegna le varie voci del modello.

1. Ascolto autentico. L’abbiamo anche chiamato semplicemente “Ascolto”. L’aggettivo “autentico” serve a distinguerlo da quello “analitico” in quanto durante questa attività lo studente dovrebbe elaborare il contenuto, i messaggi, come farà fuori dalla classe, nella situazione “autentica”. Per una descrizione completa vedi R. Luzi Catizone e P. Catizone nel Bollettino Dilit, 1980, n° 3;

2. Ascolto analitico. Forma abbreviata per “analisi del discorso orale”. Per una descrizione completa vedi C. HumphrisBollettino Dilit, 1983, n° 3;

3. Produzione libera orale (o parlata). Per una descrizione completa vedi G. De RossiBollettino Dilit, 1981, n° 2;

4. Presentazione orale. Per una descrizione completa vedi C. HumphrisBollettino Dilit, 1981, n° 2 n° 3; e S. UrbaniBollettino Dilit, 1982, n° 1;

5. Esercitazione orale. Vedi C. Humphris Bollettino Dilit, 1983, n° 1;

6. Lettura autentica. Vedi C. Humphris Bollettino Dilit, 1982, n° 2;

7. Lettura analitica. Vedi S. Urbani Bollettino Dilit, 1982, n° 3;

8. Produzione libera scritta. Vedi C. Humphris Bollettino Dilit, 1982, n° 3;

9. Esercitazione scritta. Vedi R. Luzi Catizone Bollettino Dilit, 1983, n° 2.

Enunciamo ora un assunto basato su constatazioni empiriche: cambiare attività in classe mediamente ogni 30 minuti favorisce un alto livello di concentrazione da parte degli studenti. Tutte le attività descritte finora negli articoli del Bollettino Dilit danno per scontato questo assioma e sono quindi ideate per durare all’incirca mezz’ora. Quindi il programma di un corso può essere visto come una serie di attività di mezz’ora ciascuna.

Ora, per semplificare il lavoro, il programma può essere concepito come una serie di cicli didattici (a volte chiamati “unità didattiche”) uguali l’uno all’altro. Si tratta di individuare il ciclo minimo che rispetti tutti i principi qui menzionati.

Torniamo al modello. La casella più piccola riguarda l’esercitazione scritta. Il nostro ciclo didattico conterrà quindi una attività di questo tipo. Conterrà inoltre un numero di ciascun altro tipo di attività secondo la proporzione illustrata dal modello. Il ciclo conterrà quindi quanto segue:

1 attività di Esercitazione scritta;
1 attività di Produzione libera scritta;
3 attività di Lettura analitica;
3 attività di Lettura autentica;
3 attività di Esercitazione orale;
3 attività di Presentazione orale;
6 attività di Produzione libera orale;
6 attività di Ascolto analitico;
6 attività di Ascolto autentico;

per un totale di 32 attività (16 ore). A questo punto si tratta di stabilire l’ordine di attuazione In classe di queste 32 attività, e quindi il ciclo può essere ripetuto tante volte quanto è necessario per completare il corso. Se per esempio il corso dura 96 ore, il ciclo si ripeterà 6 volte; se invece dura 80 ore il ciclo si ripeterà 5 volte, e così via.

Per decidere in che ordine mettere queste 32 attività, dobbiamo prendere in considerazione l’effetto della monotonia sull’apprendimento. Non è un segreto che anche la più interessante attività didattica può diventare noiosa se dura troppo a lungo e se ha luogo con troppa frequenza. Cerchiamo quindi nel nostro ciclo di far succedere le varie attività l’una all’altra in un modo da dare chiaramente il senso della diversità. Possiamo individuare almeno 4 aspetti della diversità da prendere in considerazione per operare scelte. Poi, siccome questi aspetti della diversità possono subire dei cambiamenti anche all’interno di una singola attività, poniamo l’attenzione sui confini fra un’attività e un’altra. Ciò perché gli studenti dovrebbero sentire un deciso cambiamento quando inizia una nuova attività.

Il primo aspetto è: con chi interagisce lo studente? Elenchiamo le diverse possibilità:

a) Lo studente con l’insegnante;
b) lo studente con un compagno;
c) lo studente con il suo gruppo;
d) lo studente con un altro gruppo;
e) lo studente con la sua squadra;
f) lo studente con una squadra avversaria;
g) lo studente con la classe.

Facendo seguire un’attività che inizia con un tipo di interazione diverso da quello con il quale finisce l’attività precedente, si tenderà ad aumentare la concentrazione degli studenti.

Il secondo aspetto della diversità è la posizione fisica dello studente. Praticamente ci sono due possibilità: in piedi o seduto. Le variabili diventano quattro a seconda se l’interlocutore assume la stessa posizione o meno.

Il terzo aspetto di diversità riguarda la dislocazione dello studente nell’aula. Vediamo alcune delle tante possibilità:

a) dietro un banco con altri banchi a fianco, dietro e davanti, tutti paralleli e rivolti verso la lavagna;
b) in un piccolo cerchio chiuso di compagni in un angolo dell’aula;
c) in riga con altri studenti, al centro dell’aula, stando faccia a faccia con un’altra riga di studenti;
d) in fila indiana accanto ad un’altra fila;
e) in riga con altri studenti rivolto verso una parete con l’interlocutore alle spalle (per esempio per simulare le condizioni di una telefonata);
ecc.

Un quarto aspetto di diversità è: che cosa lo studente deve fare: deve riflettere a lungo, deve parlare, deve prendere appunti, deve disegnare, deve leggere, deve completare un grafico, deve ascoltare, ecc.?

Quindi, applicando il principio che ci debba essere un cambiamento in almeno uno di questi aspetti (ed è meglio che ci sia in più di uno) si stabilisce quale attività didattica può seguire ad un’altra. Ora non rimane altro che metterlo in pratica. Le soluzioni possono essere diverse. Eccone una:

1. Ascolto autentico;
2. Presentazione orale;
3. Produzione libera orale;
4. Ascolto analitico;
5. Lettura autentica;
6. Ascolto autentico;
7. Lettura analitica;
8. Produzione libera orale;
9. Ascolto analitico;
10. Esercitazione orale;
11. Ascolto autentico;
12. Presentazione orale;
13. Produzione libera orale;
14. Ascolto analitico;
15. Lettura autentica;
16. Ascolto autentico;
17. Lettura analitica;
18. Produzione libera orale;
19. Ascolto analitico;
20. Esercitazione orale;
21. Ascolto autentico;
22. Presentazione orale;
23. Lettura autentica;
24. Ascolto analitico;
25. Produzione libera scritta;
26. Ascolto autentico;
27. Lettura analitica;
28. Produzione libera orale;
29. Esercitazione scritta;
30. Esercitazione orale;
31. Produzione libera orale;
32. Ascolto analitico.

Dunque, riassumiamo. La lista appena descritta rappresenta le attività in ordine progressivo, ognuna della durata di mezz’ora, costituendo quindi un ciclo di 16 ore di insegnamento. Il programma di un corso contiene tanti cicli quanti sono necessari per coprire tutte le ore a disposizione. La durata di ogni singola lezione del corso non ha importanza: se dura un’ora conterrà due attività, se dura 3 ore ne conterrà 6, ecc. È da ricordare che questo ciclo didattico è uno fra i tanti possibili ed è idoneo per una classe “media”. In realtà la maggior parte delle classi devia in un senso o nell’altro dalla media, determinando così un modello modificato e quindi un ciclo diverso. Il programma è diverso da classe a classe e viene steso dopo aver condotto un sondaggio tra gli studenti. Per esempio una classe che non ha nessuna intenzione di venire in Italia e non vuole affatto conoscere gli italiani, ma s’interessa solo alla letteratura e a scrivere recensioni critiche in merito (un caso veramente estremo, ma che può esistere per la necessità di superare un esame), produrrebbe un modello in cui la lingua parlata forse non apparirebbe affatto. In ogni caso, si procede nel modo descritto: si costruisce il modello e da esso si fa derivare il ciclo.

Per quanto riguarda il contenuto linguistico di ogni attività è molto importante che sia consono ai bisogni della classe in questione. Per esempio, la registrazione oggetto di un’attività di ascolto non può essere una conversazione tra due matematici su un errore nella programmazione di un calcolatore se gli studenti studiano l’italiano per poter meglio trarre profitto da un futuro viaggio di piacere in Italia. In questo caso sarebbe più utile proporre una conversazione fra due sconosciuti al bar di un albergo. E così via. L’altra considerazione è che un’attività analitica dovrebbe utilizzare materiale già trattato in una attività “autentica” precedente, così come un’esercitazione tratta normalmente lo stesso contenuto di una presentazione precedente.

A parte queste considerazioni la scelta del contenuto linguistico di un’attività non è vincolata dal contenuto linguistico dell’attività precedente. Anche se viene spesso affermato che gli studenti “hanno bisogno” di un legame almeno tematico fra un’attività e la seguente, noi francamente non riusciamo a trovare alcun criterio valido che giustifichi questa affermazione. Il legame può esserci come può non esserci: la scelta è soggettiva.

In questo e nei prossimi numeri del Bollettino Dilit seguiremo la traccia del nostro ciclo per fornire ai lettori una gamma più vasta di attività didattiche. Le prime cinque attività della lista sono state ben descritte nei nostri bollettini. La numero 6, però, è uguale alla numero 1. A questo punto si può benissimo ripetere il procedimento per il primo ascolto autentico (con un’altra registrazione naturalmente), oppure si può variare. (Vedere l’articolo seguente.)