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Acquisizione linguistica e apprendimento linguistico

Negli ultimi anni nel campo della glottodidattica (vedere la bibliografia) è andato sviluppandosi un concetto dicotomico di “acquisizione linguistica” e “apprendimento linguistico”. L’uso di questi due termini come contrapposti è nato molti anni fa per distinguere fra il processo che il bambino segue per diventare competente nella lingua madre (“acquisizione”) e il processo che l’adulto segue per diventare competente in una seconde lingua (“apprendimento”).

Per “acquisizione” si intende un processo subconscio che dipende da un’ampia esposizione alla lingua e da un’ampia esperienza diretta della comunicazione, e cioè da una totale concentrazione sul contenuto dei messaggi. Invece, per “apprendimento” si intende uno studio conscio delle forme linguistiche.

Con l’andare degli anni e con l’approfondimento delle ricerche sull’apprendimento (in senso lato) delle lingue, ci si accorgeva sempre di più che questa netta distinzione madrelingua/seconda lingua rispecchiava più i sistemi di insegnamento che non precise informazioni su come si imparano le lingue. Si osservava che discenti adulti adoperavano forme linguistiche mai studiate formalmente. Anche gli adulti, quindi, erano in grado di “acquisire” quando si trovavano in condizioni di ampia esposizione alla lingua autentica e di esperienza della comunicazione reale.

Krashen (vedere la bibliografia) e i suoi colleghi insistono su questo fatto e mettono in evidenza tutti quei casi di adulti i quali, dopo aver cambiato paese ed essersi inseriti in realtà sociali locali, pur non avendo studiato coscientemente la lingua, raggiungono un’alta competenza comunicativa nella seconda lingua. L'”acquisizione”, quindi, è ciò che conta, non l'”apprendimento”. Poi, siccome per Krashen i due processi “acquisizione” e “apprendimento” sono nettamente distinti, senza nessuna possibilità di passaggio da conscio al subconscio o viceversa, la sua posizione sembra sostenere che il tempo dedicato in classe all'”apprendimento” è tempo sprecato in quanto è tempo rubato all'”acquisizione”.

A mio parere quest’ultima tesi è azzardata, anche perché la documentazione empirica presentata da Krashen a sostegno della sua tesi è estremamente povera se si tiene conto della gravità di eventuali danni nel caso che gli insegnanti seguissero un tale principio (e, cioè, smettessero di insegnare qualsiasi regola morfosintattica, lessicale, fonologica) e poi dovessero scoprire in seguito che esso sia infondato.

Attenzione, non nego l’utilità del concetto binomiale “apprendimento”/”acquisizione”. È certamente utile a vari livelli. Ci può servire a spiegare fenomeni che troviamo nella realtà dei nostri studenti. Ci può servire a capire che il nostro insegnamento è troppo basato sull'”apprendimento” e non cura abbastanza l'”acquisizione”. Ciò che contesto è l’affermazione che non ci sia un rapporto interattivo fra il nostro conscio ed il nostro subconscio. Ciò equivarrebbe fra l’altro a pretendere che il campo della glottodidattica abbia risolto con una formula così semplice una problematica ritenuta molto complessa da generazioni di psicoanalisti.

Non posso prendere sul serio l’affermazione che ciò che viene “appreso” (cioè coscientemente studiato) non può in un secondo momento passare nel subconscio. Concordo, invece, che l’obiettivo generale del discente debba essere di “acquisire” quanto più possibile, proprio perché il grado della sua competenza comunicativa dipenderà da quanto potrà interagire spontaneamente con gli altri. E questo non potrà avvenire se per enunciare una frase lui dovrà prima consultare coscientemente l’intera banca di regole che tiene unicamente nel suo conscio prima di poter scegliere le parole, la sintassi, la fonologia adeguate per poi enunciare la frase.

È vero che l’insegnamento tradizionale curava ben poco la necessità sia dell’ampia esposizione alla lingua autentica sia dell’esperienza della comunicazione reale. E chi ci segue da un po’ di anni sa che i nostri sforzi sono orientati proprio nel senso di dare più spazio a questi aspetti nell’insegnamento; cioè di moltiplicare in classe le occasioni di “acquisizione” della lingua invece del solo “apprendimento”. Il risultato del nostro lavoro è che ormai c’è più consonanza fra ciò che lo studente dimostra di sapere in un test puramente formale (tipo grammaticale) e ciò che riesce realmente a fare nella comunicazione con persone di madrelingua. Nel passato, invece, con un insegnamento basato maggiormente sull'”apprendimento”, uno studente che si dimostrava bravo con esami “formali” spesso si rivelava poco capace in una comunicazione reale.

Per noi, quindi, è confermata l’ipotesi che l'”apprendimento” deve cedere spazio all'”acquisizione” nell’insegnamento delle lingue. Il problema però è: in che misura? Krashen risponde: “completamente”. È, a mio parere, una posizione troppo rischiosa: rimangono troppi problemi aperti. È proprio vero che quella discussione in classe sull’analisi dell’uso del “si” passivante, generata da un’esercitazione in merito, era superflua? È proprio vero che le riflessioni fatte sulle intonazioni che esprimono sorpresa in quella conversazione oggetto di una presentazione l’altro giorno era inutile? Non è preoccupante che ci sono stranieri reduci da esperienze di pura “acquisizione” che dopo tanti anni di inserimento nella comunità della seconda lingua continuano a fare tanti sbagli? È vero che un po’ di “apprendimento” non eliminerebbe questi sbagli?

Fino all’apparizione di più attendibili prove dell’inutilità dell'”apprendimento”, il buon senso (sostenuto dalla nostra esperienza empirica) ci detta di seguire una via di mezzo; e cioè metà “apprendimento”, metà “acquisizione”.

Come si traduce in pratica tale principio? Prendiamo a titolo esemplificatore la lingua parlata, ed in modo particolare l’abilità di parlare. Abbiamo nel passato proposto tre tipi di attività: Produzione liberaPresentazioneEsercitazione; e li abbiamo rappresentati così:

Per quanto riguarda l’abilità di capire ascoltando, il nostro schema di attività è ancora carente. Le attività di ascolto che finora abbiamo proposto pongono l’attenzione unicamente sul contenuto, sul significato, sui messaggi; attività, quindi, che garantiscono l'”acquisizione”. Se vogliamo che il rapporto “acquisizione”/”apprendimento” sia paritario dobbiamo suddividere il tempo dedicato all’abilità capire ascoltando come abbiamo fatto per il parlare e cioè:Nella Produzione libera, come noi l’abbiamo definita e descritta, non c’è nessuna considerazione fatta sulle forme da usare o su quelle usate dagli studenti. Tutta la concentrazione dell’insegnante e della classe verte sui messaggi da trasmettere e da capire: le condizioni, quindi, che favoriscono l'”acquisizione”. Nella presentazione e nell’esercitazione invece, l’insegnante insiste sulla perfezione delle forme da usare e fa correggere ogni sbaglio: condizioni che favoriscono l'”apprendimento”. Conclusione: per quanto riguarda il parlare ci dev’essere la stessa quantità di tempo dedicato alla produzione libera che quella dedicata alla presentazione ed esercitazione insieme. Lo stesso discorso vale per lo scrivere.

Bibliografia

Ervin-Tripp, S. 1974 “Is Second Language Learning Like the First?”, TESOL Quarterly 8.
Felix, S. (a cura di) 1978 Recent Trends in Research on Second Language Acquisition, Tübingen, Gunter Narr.
Hatch, E. (a cura di) 1978 Second Language Acquisition, Rowley, Ma., Newbury House.
Krashen, S. 1981 Second Language Acquisition and Second Language Learning, Pergamon.
Krashen, S. 1982 Principles and Practice in Second Language Acquisition, Pergamon.