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Una lezione di drammatizzazione libera in un livello avanzato

Partiamo dalla convinzione che comunicare le proprie opinioni in una lingua che si sta studiando, chiedere l’opinione degli altri, palesare il disaccordo o l’accordo, inserirsi nel discorso degli altri in maniera appropriata, esprimere le proprie intenzioni, dare, infine, una giusta idea di sé sono abilità che aumentano quanto più si passa tempo in classe a esercitarle, quanto più, cioè, si creano in classe le condizioni affinché gli studenti siano comunicatori.

Vorrei descrivere ora un modo di creare tale condizione in un’attività che chiamiamo Produzione libera orale per una classe il cui livello è avanzato. I livelli avanzati richiedono una particolare attenzione nella scelta degli argomenti su cui incentrare quest’attività poiché bisogna fare in modo che lo studente sia un po’ in difficoltà, bisogna mettere in tensione le sue capacità linguistiche, bisogna cioè che si trovi alle prese con combinazioni di elementi linguistici conosciuti con altri che lo sono di meno o che non lo sono per niente. Questo affinché lo studente, alla fine dell’attività, non abbia l’idea di aver fatto soltanto una chiacchierata più o meno piacevole, ma senta anche di aver “lavorato” e che l’attività appena svolta gli ha fatto fare un passo avanti nel suo sforzo di acquistare dimestichezza con la lingua. Un accorgimento che possiamo adottare a tal fine è la scelta di trasformare la Produzione libera in “Drammatizzazione libera” in cui lo studente è costretto ad assumere un ruolo specifico per il quale dovrà scegliere un linguaggio appropriato.

L’argomento scelto è “L’invidia”. Pare che sia d’attualità la discussione su questo sentimento: ne ho sentito parlare alla radio, un settimanale italiano gli ha dedicato quattro o cinque pagine ed è stato tema di almeno un convegno. Inoltre mi sembra che come argomento possa rispondere ai requisiti descritti prima e far inoltrare gli studenti su un terreno non troppo praticato.

Se invece di esprimere le proprie opinioni e parlare di sé in relazione a questo argomento lo studente interpreta un ruolo specifico, diventa per esempio uno psicologo, uno psicoanalista, allora il compito si fa più arduo.

Si potrebbe obiettare che la maggior parte degli studenti non sono psicologi, o psicoanalisti, né lo saranno mai, e che quindi vengono posti in una condizione di difficoltà incongrua. Io dico che lo studente a cui piacciono le sfide arriverà molto vicino al personaggio che gli è stato chiesto di interpretare, un altro studente sarà uno psicoanalista, uno psicologo che si esprimerà in modo un po’ più familiare, poco accademico.

Dunque decido che i miei studenti (di madrelingua tedesca, danese, inglese, francese, polacca) saranno psicologi e psicoanalisti che dovranno partecipare a un convegno sull’invidia e che discutono sull’argomento in treno, mentre si recano nella città in cui il convegno è stato organizzato. Per creare un po’ d’atmosfera mi procuro anche una cassetta su cui è inciso il rumore del treno così come si sentirebbe viaggiandoci sopra.

La lezione si è svolta così. Ho chiesto agli studenti, che venivano da altre attività, se si sentivano pronti ad intraprendere un’attività in cui avrebbero dovuto, per 30 minuti, parlare, soltanto parlare, ovviamente in italiano. Alcuni mi hanno detto che erano un po’ stanchi, altri sembravano più disponibili, qualcuno mi ha detto che avrebbe preferito prendere un caffè. Come avevo notato già altre volte, anche in altre classi, la mia domanda (sempre che sia posta con “sincerità” e in momenti opportuni)) aveva fatto in modo che venissero fuori eventuali “resistenze”. Ciò risulta positivo perché sia lo studente che l’insegnante ne prendono coscienza. Si creano allora le possibilità per l’insegnante di ribadire l’importanza e gli obiettivi dell’attività, per lo studente di fare il punto sulle sue condizioni in quel momento, di chiarirsi le idee su ciò che farà e perché, e si sentirà più motivato e quindi più disponibile a lavorare. In questo modo ho, per così dire, “neutralizzato” le loro resistenze.

Mentre gli studenti si scambiavano le ultime battute prima di prestarmi completa attenzione ho rivolto loro le spalle e ho scritto alla lavagna, a grandi lettere, la parola “INVIDIA”. Subito si è fatto silenzio. Ho cominciato a porre delle domande, lentamente, scandendo bene alcune parole per dar loro una certa importanza. La prima domanda era: “L’invidia è un sentimento cattivo? Dannoso? Distruttivo?”. Ho chiarito subito che non volevo che mi rispondessero, ma che eventualmente avrebbero potuto annotare la risposta o le idee che le mie domande gli suggerivano. Ho continuato con le domande sottostanti lasciando fra l’una e l’altra il giusto spazio di tempo affinché potessero minimamente organizzare i loro pensieri o annotare qualche parola.

L’invidia ha a che fare con l’ammirazione? Con la gelosia?
E un sentimento che non si ammette? Che non si confessa?
Tutte le persone sono invidiose?
Si è più invidiosi da bambini o da grandi?
Gli uomini sono più o meno invidiosi delle donne?
Che cosa si fa per invidia?
L’invidia deve arrivare sul lettino dello psicoanalista?
Poco dopo ho detto: “Bene. Ora voi siete degli psicologi e degli psicoanalisti. Siete in treno e state andando a un convegno che ha per tema ‘l’invidia’. In treno discutete fra di voi su questo tema. Alzatevi, per favore”. Ho cominciato a disporre le sedie in fila per due e man mano invitavo gli studenti ad accomodarsi e a cominciare la conversazione.

Quando tutti erano seduti ho detto loro che sarei stata lì a disposizione per eventuali domande o problemi e li ho sollecitati a cominciare. Poi ho inserito nel registratore la cassetta con la registrazione del rumore del treno regolando il volume affinché si creasse un minimo di ambientazione ma non disturbasse la conversazione, e ho continuato a dar loro le spalle fino a che non ho sentito che nella classe l’attività era completamente avviata. Quindi mi sono seduta in un angolo. La discussione si è infervorata in breve tempo e nessuno si è più rivolto a me.

Dopo 15 minuti mi sono avvicinata alla prima coppia di studenti e, scusandomi per averli interrotti, li ho pregati di continuare la conversazione al vagone ristorante. Li ho pregati di alzarsi, ho girato le loro sedie nella direzione opposta, li ho fatti accomodare di nuovo e ho inserito un tavolo fra le quattro persone.

Ho detto alla coppia di fronte: “Siamo al vagone ristorante. Vi prego di continuare la discussione”. (Potevo essere una loro collega o un gentile impiegato delle FF.SS. addetto al servizio ristorazione.) Ho fatto la stessa cosa con la terza coppia e la quarta, e poi ancora con la quinta e la sesta coppia.

Ora la conversazione poteva riprendere allargata a quattro persone, con nuovi punti di vista, opinioni non ancora ascoltate, precisazioni da fornire, ecc. Il tutto per ancora 15 minuti circa. L’attività intera ha richiesto 40 minuti in tutto.