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Serve correggere la Produzione libera scritta?

In moltissime scuole esiste una prassi che consiste nel far scrivere un tema agli studenti. Questo tema viene poi “corretto” dall’insegnante. Cioè l’insegnante riconsegna il tema allo studente con tanti segni rossi sul foglio i quali modificano tratti sintattici o elementi morfologici. È una prassi che ha le sue radici lontano nel tempo: forse è la prassi glottodidattica più antica in assoluto nell’era moderna.

Vorrei ora sottoporre questa prassi ad un esame critico. Come fare? Non è certo la sua longevità che può darci informazioni precise. Questo perché i motivi del suo perdurare inalterato nel tempo possono essere l’uno il contrario dell’altro: o perché è una prassi che si è dimostrata altamente efficace, o perché non è facile rompere con una tradizione consolidata. Uno strumento molto utile per valutare criticamente una prassi didattica è lo schema di attività didattiche più volte presentato in questa sede:

Adoperare questo schema significa collocare l’attività scrivere un tema in una delle caselle dello schema, e poi confrontarla con il contenuto di un’altra casella affine.

In quale casella collocare il tema? È lingua scritta; è produzione; e lo studente è libero di scegliere gli elementi linguistici da utilizzare. È, quindi, un esempio di Produzione libera scritta. Ora, nello schema, la casella “Produzione libera scritta” si trova a fianco alla casella “Produzione libera orale”; e dovrebbe, quindi, aver delle similitudini con essa per quanto riguarda sia i mezzi che i fini.

Sono consapevole che tuttora, purtroppo, molti insegnanti non hanno ancora inserito nella loro prassi didattica momenti di Produzione libera orale. Ma è pure vero che il numero di insegnanti che lo fanno sta crescendo rapidamente. Ormai in moltissime aule di lingue si vivono, per esempio, frequenti momenti di drammatizzazione libera. Sono attività in cui gli studenti, interpretando ruoli ben definiti, mettono in scena una vicenda improvvisando la lingua che serve. L’insegnante, in questi casi, assiste alla rappresentazione teatrale e, se gli piace, applaude alla fine insieme agli altri studenti. L’insegnante non corregge; e ha ragione a non correggere. L’espressione creativa orale è riconosciuta come valida di per sé: non serve trasformarla in un occasione per castigare i discenti per il fatto di essere discenti (e cioè non parlanti nativi e quindi non capaci di parlare “correttamente”). L’insegnante sa che è lo sforzo stesso da parte dello studente a cercare parole, ad inventare parole, a legarle insieme per fare discorsi coerenti e coesivi, che garantisce un suo progresso.

Eppure, stranamente, spesso questi stessi insegnanti davanti all’espressione creativa scritta diventano correttori accaniti, sempre pronti a segnare ogni piccola deviazione dalla norma dell’italiano “corretto”. Questa diversità di comportamento da parte dell’insegnante può essere spiegata forse in parte perché l’insegnante è anche una persona normale e, in quanto tale, gli fa più effetto un errore scritto nero su bianco che non un effimero errore durante una Produzione libera orale. Ma direi che c’è qualcosa di particolare proprio nella mentalità dell’insegnante che lo porta ad una tale, estrema reazione davanti agli errori e che gli dà il desiderio di annullarli tutti e subito.

Cerchiamo, invece, di esaminare la Produzione libera scritta in quanto attività di apprendimento (in senso lato). A che cosa serve? È una verifica per l’insegnante? Un esamino? Ho paura che per molti insegnanti la sua funzione si limiti a questo: è considerata il passo finale di un periodo in cui lo studente dovrebbe aver imparato delle cose e quindi “gli sta bene” se viene schiaffeggiato moralmente ogni volta che dà prova di non averlo fatto. Perché se siamo onesti, di questo si tratta: ogni segno rosso è uno schiaffo morale. Però se riflettiamo bene sappiamo benissimo che, anche se si può costringere una persona allo studio, la coercizione non può garantire un esito positivo, cioè l’apprendimento. L’apprendimento avviene nello studente sinceramente desideroso ad imparare, nello studente che si sente libero e stimolato.

Io non credo che gli schiaffi morali possano aumentare il senso di libertà nello studente, né tanto meno lo stimoleranno a spingersi oltre i propri limiti ricercando nuovi modi di esprimersi. In altri termini una politica di correzione come risposta a Produzioni libere scritte genererà presso lo studente una politica di difesa, di prudenza, di cautela, di tendenza a ripetersi, di adoperare solo quelle forme linguistiche di cui è sicuro. Invece è del contrario che ha bisogno: ha bisogno di un lettore attento che si sforzi di capire il contenuto del suo pensiero, che s’interessi a lui in quanto persona che ha delle cose da dire, delle immagini da trasmettere. Quanto più l’insegnante dà prova di interessarsi al contenuto dei suoi scritti tanto più lo studente si sforzerà di avere delle cose interessanti da dire e tanto più i suoi scritti saranno e sostanziosi e lunghi. (E per quanto riguarda l’aspetto “verifica” e perfino l’eventuale necessità istituzionale di attribuire un voto, tali scritti costituiscono documenti validissimi sui quali farsi giudizi globali sulla competenza scritta dello studente senza per questo ricorrere a “correzioni”.)

Come fare, quindi, in pratica? Assicuratisi che lo studente abbia la testa piena di idee (vedi, per es., i miei articoli nel Bollettino Dilit, 1982, n° 3), questi scrive liberamente per il tempo previsto (il quale potrebbe essere fra 30 e 60 minuti). Poi, per rispecchiare il comportamento del buono scrittore nativo, bisogna prevedere una seconda fase (magari un altro giorno) detta di editing. In questa fase la riflessione dello studente si sposta dal contenuto alla forma, e cioè alla sintassi, alla morfologia, al lessico. Siccome due cervelli sono superiori ad uno solo, è meglio far lavorare gli studenti in coppie. I due studenti si scambiano gli scritti e li leggono per capire bene il pensiero del compagno. Poi scelgono di lavorare insieme su uno dei due scritti. Discutono e modificano la morfosintassi e il lessico, richiedendo ogni tanto l’aiuto dell’insegnante davanti ad eventuali diversità di parere. Finito uno scritto, lavorano nello stesso modo sull’altro. Per finire, ognuno scrive una bella copia del proprio scritto da consegnare all’insegnante (questo passo può benissimo esser svolto a casa). Consegnati gli scritti, l’insegnante non deve fare altro che leggerli e scrivere in fondo ad ognuno una sincera e breve risposta al contenuto, prima di riconsegnarli agli studenti.

Vi posso garantire che, anche se gli studenti non abituati alla mancanza di “correzioni” rimangono un po’ disorientati la prima volta, a lungo andare la loro capacità di scrivere bene farà rapidi e sicuri progressi.