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Il non ruolo dell’insegnante

Leggendo* un articolo di Liz e John Soars su Headway – Teacher’s Magazine di gennaio ’94, ho trovato quanto segue:

insegnare è diventato oggigiorno una parolaccia nell’insegnamento delle lingue straniere. Non l’insegnare come l’attività per il quale ti pagano un salario, ma l’insegnare inteso come: “Che cosa hai fatto con la tua classe oggi?” risposta: “Ho insegnato il passato remoto!” (…) Qualunque cosa fai non devi osare di dire che hai cercato di “insegnare qualcosa agli studenti”.Durante la lettura di questo articolo mi sono chiesto quale fosse il vero ruolo dell”‘insegnante” visto che per taluni, in alcuni ambienti didattici, sembra che ci siano difficoltà soltanto a pronunciare la parola. Comunque, considerando che potrebbe urtare eventuali suscettibilità di alcuni, ho deciso di usare, nelle riflessioni che seguiranno, soltanto l’iniziale della parola e cioè la lettera “i“, oppure un’altra parola come “coordinatore” o, meglio ancora “facilitatore”.

Oggi la tendenza in molte scuole di lingua, e non solo, è quella di focalizzare giustamente l’attenzione sull’autonomia degli studenti. Le informazioni, fortunatamente, cominciano ad essere sempre più esplicitate e scambiate tra studenti dello stesso livello, cercando di eliminare, il più possibile, ruoli subalterni. E quando gli studenti chiedono al “facilitatore” un giudizio su quanto loro hanno prodotto, la tendenza, in questi ultimi tempi, è quella di dare risposte evasive o di non dar loro alcuna risposta. E questo, alcune volte, al termine della lezione lascia alcuni studenti insoddisfatti e a volte anche frustrati.

Alcune volte ascoltando qualche “facilitatore” che parla con un collega, mi è capitato di sentire alcune frasi come quelle citate nell’articolo del Teacher’s Magazine:

“Ho messo in grado gli studenti di acquisire …”, “Ho facilitato l’approccio con …”, “Ho coinvolto gli studenti in modo da…”, “Ho agito in modo da rendere gli studenti più consapevoli….”, ecc.

Niente da ridire naturalmente, ma ho provato un po’ la strana sensazione provata anche dagli autori dell’articolo di cui sopra, e cioè che in alcuni “facilitatori” ci sia, veramente, la “paura” di pronunciare il verbo “insegnare”. Sono senza dubbio d’accordo che il ruolo autoritario dell’i debba scomparire, ma conservando e migliorando il suo ruolo di “facilitatore” e di “stimolatore” senza, per questo, cadere in eccessi controproducenti, come quando si pratica quello “strano gioco” tra gli studenti ed il loro i, dove loro sanno che il loro “facilitatore” conosce qualcosa che loro non sanno ma che lui non può dire. Tale “gioco”, dove gli studenti devono scoprire di cosa si tratta, da soli o rispondendo agli “indovinelli” che il “facilitatore” propone loro, è spesso divertente ed anche efficace. Ma è sempre così? E chi si diverte di più? Chi stabilisce le regole del gioco? Quali sono i limiti e le limitazioni?

Immaginiamo, ad esempio, di chiedere un’informazione ad un passante per la strada, come:

“Che ore sono?”.

Supponiamo che la persona risponda:
“Secondo Lei?”.

Sono convinto che rimarremmo un po’ smarriti, se non addirittura urtati. Comunque prestandoci al gioco potremmo rispondere:

“Le quattro?”.

Ora, immaginiamo che questa persona, invece di confermare o smentire ci domandi:

“I negozi sono chiusi o aperti?”.

A quel punto, guardandoci intorno:
“Chiusi!”.

E lui:
“Bravo! A che ora aprono i negozi?”.

Un rapido ragionamento (nella migliore delle ipotesi) e:
“Ah! Ho capito! Non sono ancora le quattro!”.

E supponiamo che l’altro ci risponda:
“Molto bene. Adesso guardiamo dove si trova il sole…”.

Tutto questo, ovviamente, presuppone di avere informazioni e cognizioni che vanno al di là della semplice domanda. E cioè l’orario dell’apertura dei negozi, nozioni astronomiche, ecc. Ammesso di essere disposti a prestarci a tale “gioco”, credo che se ci mancassero le necessarie informazioni per giocare, si creerebbe in noi uno stato di frustrazione.

Secondo me, dobbiamo chiederci se un i, che si comporti come il passante di cui sopra, sia veramente un “facilitatore” o, invece, un “complicatore”. In altre parole, credo che non ci siano dubbi che quando l’pone domande che vanno al di là delle possibilità degli studenti questo non può che creare in loro un senso di frustrazione.

Fermo restando che sono fermamente convinto che l’i non può e non deve essere né un regista autoritario né l’interprete principale, non possiamo, però, pensare di relegarlo al ruolo di semplice comparsa. In altre parole, un conto è non interferire nei processi e nei ritmi individuali di apprendimento, altro è, invece, disinteressarsene completamente. Supponiamo, ad esempio, che alcuni studenti stiano facendo un Cloze mirato sulle preposizioni e cioè, che stiano lavorando su un testo scritto nel quale sono state cancellate le preposizioni, e dove loro, in coppia o in gruppi, devono rimetterle. E immaginiamo che, ad un certo punto, uno studente chieda al “facilitatore” il significato di un sostantivo nel testo e che il “facilitatore”, invece di dare una risposta, cominci a fare una serie di domande allo studente con l’intento di “aiutarlo a giungere alla soluzione”. La prima domanda che dobbiamo porci è se lo studente continuerà nel futuro a fare domande analoghe oppure comincerà ad avere paura di essere sottoposto ad un “interrogatorio”. Certamente non dobbiamo suggerire, in questo caso, le preposizioni da usare (essendo questo il compito assegnato), ma se lo studente ritiene necessario conoscere quel sostantivo, perché lo ritiene importante per usare la giusta preposizione, va soddisfatto. Anche quando, a giudizio del “facilitatore”, non è necessario conoscere tale parola ai fini dell’esercizio. Mi sembra giusto, infatti, che debba essere lo studente stesso a giudicare l’importanza o meno del sostantivo ai fini della scelta della preposizione necessaria.

Allora, se per autonomia noi intendiamo portare lo studente a fare della ricerca, diventa controproducente frenarlo mettendogli la paura di fare domande e quindi di essere curioso, sapendo che è proprio la curiosità il principale stimolo di un ricercatore.

Credo che spetti ancora all’i decidere il metodo e il materiale didattico da utilizzare e che per gli studenti ci voglia oltre al materiale autentico anche un “facilitatore autentico”. Perciò non dobbiamo aver paura di usare la parola “insegnante”, ma piuttosto dobbiamo preoccuparci di fare in modo che l’insegnante abbia un ruolo positivo e cioè di “vero facilitatore”.

* Per scorrevolezza della lettura ho preferito usare il maschile in tutto l’articolo intendendo entrambi i generi.