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Quale lingua si parla in classe?

Insegno francese a Roma. Le mie classi sono di 3 ore la settimana, ossia 2 volte 1 ora e mezzo. Fin dall’inizio dei corsi sento la volontà dalla parte degli studenti di esprimere delle domande tipo “Come si dice… ?” o “Come si scrive… ?”, ecc. Per ovviare a queste difficoltà solitamente usano fare dei gesti oppure addirittura si esprimono in lingua italiana. Allora dico “en français!”.

Ma vedo che questa richiesta è inutile, perché non sanno esprimere queste domande in francese, non hanno ancora acquisito questi strumenti di comunicazione. Queste parole, questi gesti italiani, io li capisco perché vivo in Italia; ma come insegnante di francese dovrei far finta di non capire, perché non appartengono al linguaggio francese. Nonostante questo, generosamente come persona lascio andare e rispondo a loro.

Certo, è anche per semplificare l’interrelazione fra loro e me, per proteggerli, per non essere troppo rigida. Voglio che mi sentano una di loro. Lì per lì mi viene spontaneo rispondere, sia per generosità che per fretta (dato che è già difficile riuscire a fare tutto quello che è previsto per la lezione). Però mi viene un dubbio. Rispondendo in francese non comunico implicitamente loro che l’ostentato obbligo di parlare solo francese durante la lezione è velleitario? Non sarà questa la causa della difficoltà incontrata a volte nel fare rispettare questa regola?

Mi fa sentir a disagio; mi cresce un senso di colpa. Sento un conflitto. Devo rispondere ignorando queste richieste mal formulate e così facendo tenermi i sensi di colpa? Accettare dunque che si parli altro che il francese nelle mie classi? Considerando, questi strumenti di comunicazione (“Comment?”, ecc.) mi rendo conto che gli studenti hanno un reale bisogno di utilizzarli, o 1 ) per affrontare il non-capire; oppure 2) per ottenere informazioni linguistiche dall’insegnante. Hanno però una conoscenza insufficiente. Allora dovrei analizzare l’urgenza o meno dell’insegnamento specifico di questi strumenti?

I momenti in cui lo studente deve affrontare il non-capire sono ovviamente numerosissimi proprio perché la lingua non è la sua: ne avrà anche bisogno con qualsiasi francese e non solo con me. È dunque importante che gli strumenti per farlo siano acquisiti molto bene e non approssimativamente. Gli strumenti per ottenere informazioni linguistiche, invece, riguardano principalmente il rapporto con l’insegnante in classe. L’utilità di questi strumenti è dunque più limitata, ma rappresentano comunque una leva importante per tutto il corso. Non li si può sottovalutare o rinviare come problema.

Tutti questi strumenti rappresentano, quindi, un mezzo di comunicazione reale: appartengono a una reale esigenza di comunicare con l’insegnante. È una necessità, non una finzione; contrariamente al contenuto del corso in sé che è basato su un processo predeterminato, fittizio, diviso in tante attività. Per esempio, perfino nella Produzione libera orale, lo studente, lavorando d’immaginazione, emette delle frasi che appartengono ad un determinato scenario: non sono esigenze immediate, epidermiche.

Se è vero che l’esigenza è reale e che viene dal cuore, che c’è un desiderio spontaneo dello studente di usare questi strumenti (desiderio tale da spingerli a parlare in italiano perché è un desiderio reale di capire, di comunicare), non è proprio questo che cerchiamo: la motivazione che tenga lo studente interessato?

Però questo loro bisogno viene fuori a sproposito rispetto al contenuto dell’attività: non ha niente a che vedere con il contenuto (fittizio) dell’attività didattica. Allora troppo spesso lascio correre perché c’è fretta di finire la lezione, oppure perché in quel momento sono generosa e non voglio troppo insistere su queste forme.

Ed è proprio questo lo sbaglio.

Dovrei invece poter rifiutare di rispondere ai gesti italiani, ecc., di cui ho parlato all’inizio dell’articolo. Per poter realizzare questo devo insegnare gli strumenti di comunicazione e devo insistere poi che vengano usati correttamente e ogni qualvolta che servano. Devo farlo in modo che gli studenti sappiano cavarsela davanti al mio nuovo comportamento, cioè il mio rifiuto di rispondergli.

Ecco una lista approssimativa degli strumenti di comunicazione in questione:

1) Strumenti per affrontare il non-capire:

Richiesta di ripetizione: “Comment est-ce que tu as dit?”.
Richiesta di ripetizione di quello che segue ciò che è stato capito: “… quoi?”.
Richiesta di conferma di aver capito bene: “… c’est ça que tu as dit?”.
Richiesta dell’ortografia di una parola: “Comment ça s’écrit… ? “.
Richiesta del significato di una parola: “Qu’est-ce que ça veut dire… ? “.
Richiesta di conferma dell’ortografia: “Ça s’écrit… ? “.
Richiesta di conferma del significato: “… ça veut dire… ? “.

2) Strumenti per chiedere informazioni linguistiche:

Richiesta di una parola: “Comment on dit… ? “.

Metodo

Comincio la nuova tattica al momento della prossima Lettura autentica.

È un’attività in cui gli studenti leggono un testo autentico sforzandosi di finire la lettura entro un tempo estremamente limitato. Questo comportamento viene ripetuto 4 volte e durante la terza volta gli studenti sottolineano un numero esiguo di parole di cui vogliono sapere il significato.

Dopo questa terza lettura scrivo alla lavagna “Qu’est-ce que ça veut dire… ?” e faccio capire agli studenti che sono disposta a rispondere alle loro domande solo se vengono fatte in questi termini. Finita questa fase dell’attività e prima di avviare la quarta lettura faccio scrivere sull’ultima pagina del quaderno le domande scritte sulla lavagna e informo la classe che d’ora in poi non accetterò formulazioni improprie.

Il lettore avrà capito che a poco a poco l’ultima pagina dei quaderno viene riempita di questi strumenti di comunicazione.

Dal momento che uno strumento viene scritto sul quaderno gli studenti sanno che io non risponderò mai più a formulazioni improprie e che mi comporterò di conseguenza. In pratica significa che se in una lezione successiva ad uno studente sorge il desiderio spontaneo di sapere il significato di una parola, per esempio, e spontaneamente si comporta linguisticamente come faceva prima della mia nuova tattica, e cioè usando un miscuglio di gesti italiani e qualche parola metà francese e metà italiana, io non rispondo. Allora lo studente mostra segni o di meraviglia o di fastidio. Vado da lui e apro il quaderno all’ultima pagina e torno al mio posto. Dopo essermi comportata in tale modo una decina di volte gli studenti spontaneamente consultano l’ultima pagina del quaderno ogni volta che serve.

Per quanto riguarda la presentazione degli altri strumenti di comunicazione in questione si tratta di presentarli uno per volta nelle successive attività didattiche.

Un esempio per tutti: durante una Produzione libera orale (attività in cui gli studenti parlano liberamente in piccoli gruppi su un tema determinato) scrivo alla lavagna “Comment on dit… ?”, mi dichiaro a disposizione per qualsiasi richiesta puntualizzando l’obbligatorietà dell’uso della forma scritta alla lavagna, che in seguito viene scritta sull’ultima pagina del quaderno come ho detto prima.

Un’ultima considerazione per quanto riguarda i nuovi studenti che non sanno come comportarsi: faccio correggere dagli altri quando non usano correttamente questi strumenti, e poi in seguito li faccio ricopiare.

Forse così finiscono i sensi di colpa.