Cerca

post

Primo giorno, primo livello

La prima domanda che mi sono posto quando ho finito il corso di formazione ed il tirocinio alla Dilit International House è stata: “Con quale attività inizio il primo giorno di un primo livello? E come la presento, quando davanti a me ci saranno una quindicina di studenti che arrivano da tutte le parti del mondo, parlano le lingue più diverse e nella maggior parte dei casi non conoscono assolutamente l’italiano?”.

È questo un interrogativo che si presenta o si è presentato ad ogni collega, in modo particolare se lavora con l’approccio comunicativo.

Certamente è d’aiuto, all’insegnante, usare nei primi tempi una lingua conosciuta a tutti in classe, ma non so quanto giovi allo studente ed in ogni caso sarebbe impensabile nella realtà della Dilit International House dove bisognerebbe, per correttezza, esprimersi in inglese ma anche in coreano, in tedesco ma anche in swahili.

Per orientarmi indagai fra i miei colleghi e ne risultò che le attività preferite per un inizio di veri principianti erano l’Ascolto autentico e la Ricostruzione di conversazione, tratte per lo più dal Comunicare subito, anche perché il testo è corredato da una guida per lo studente, disponibile in 4 lingue, in cui si trovano le spiegazioni ed i fini delle attività.

Così feci anch’io, con risultati soddisfacenti. Però, in questi anni, diversi studenti mi hanno confidato che, tanto lavoravano a loro agio in classe, tanto erano frustrati all’esterno della scuola in quanto le comunicazioni con italiani, spesso si inceppavano. Questa situazione creava in loro comprensibile dolore e solitudine ma soprattutto grossi problemi pratici quando l’interlocutore era un negoziante, un impiegato della posta o della banca o il padrone di casa.

Abbiamo cercato insieme di capire come si erano svolte e come si erano inceppate queste conversazioni. Ne è risultato che:

1) l’interlocutore parlava velocemente;
2) lo stesso usava parole non conosciute e/o aveva un forte accento dialettale;
3) arrivava un momento in cui uno o tutti e due gli interlocutori si sentivano a disagio per ragioni spesso non capite dall’altro e si rinchiudevano in atteggiamenti di difesa: attaccando, subendo o interrompendo la conversazione;
4) le dinamiche ed i modi usati dall’italiano per comunicare risultavano atipici o contrastanti rispetto a quelli usati nel paese dello straniero.

Appena focalizzato il problema ho capito che era possibile aiutarli fornendo loro uno strumento che li aiutasse nella gestione di una conversazione.

A questo esatto scopo sono state create quelle attività che si chiamano “Tecniche lubrificanti” che solitamente vengono introdotte ai livelli medi (vedi Comunicare meglio ). Ho adattato queste tecniche in modo da farle diventare il primo contatto con la lingua italiana. Mi comporto così:

entro in classe e saluto, dopo di che metto della musica a volume appena udibile. Ultimamente sto usando musica barocca, brani di Keith Jarrett e del Modern Jazz Quartet. A gesti chiedo loro di disporsi a cerchio, anch’io occupo una sedia del cerchio e lascio il registratore alle mie spalle.

L’atmosfera è già cambiata; cominciano a nascere le curiosità che allentano la tensione. Mi presento, parlo del lavoro che faremo insieme, della scuola, come se parlassi ad italiani e finisco con “Va bene?”. Giustamente, pochissimi hanno colto qualche parola e naturalmente nessuno sa come comportarsi.

Ripeto: “Va bene?”. Qualcuno fa cenno di no, altri ridono o guardano imbarazzati intorno pensando di aver sbagliato aula. Riprendo ma aiutandomi con i gesti. “Il mio nome è Claudio. Qual è il tuo nome?” e mi rivolgo a chi, con il suo comportamento di questi primi minuti, mi sembra più strutturato, quindi in grado di affrontare questo difficile momento.

Ripeto enfatizzando i movimenti delle mani e cambio studente se sento che si è creato troppo disagio. Arriva chi dice il suo nome. Faccio il giro con la stessa domanda e poi continuo con: “Qual è il tuo paese?”.

Di solito la risposta è un cenno di diniego o la ripetizione: “Paese?”
“No, paese?”, replico. Vado alla lavagna e scrivo:

1) Che cosa significa

nome? à Claudio
paese? à Italia
Mentre scrivo, dico: “Il mio nome è Claudio. Il mio paese è l’Italia” e indico la cartina sul muro. Faccio il giro con questa nuova domanda. Il passo successivo è: “Qual è il tuo lavoro?”. Quasi sempre la risposta è “No” o “Lavoro?”. Allo schema “Che cosa significa” aggiungo “lavoro?”, ma non scrivo altro. E continuo: “lo sono insegnante e tu?”. A questo punto o anche prima c’è chi chiede mimando di scrivere la parola. Allungo l’elenco così:

2) Come si scrive …………? e sui puntini metto “insegnante”.

Sicuramente nel frattempo uno o più mi fanno capire che devo ripetere o che devo parlare più lentamente. Ne approfitto per segnare alla lavagna:

3) Più lentamente, per favore.

e poi:

4) Puoi ripetere, per favore?
5) Puoi ripetere ancora?

Sono passati all’incirca trenta minuti dall’inizio della lezione ed ogni studente ha appuntato davanti a se questo schema:

1) Che cosa significa nome? à Claudio
1) Che cosa significa paese? à Italia
1) Che cosa significa lavoro? à insegnante
2) Come si scrive …………….?
3) Più lentamente, per favore.
4) Puoi ripetere, per favore?
5) Puoi ripetere ancora?

Sopra a questo scrivo “Parole magiche”. Segue subito un coro di “Che cosa significa?”. Per “parole” segno quelle sulla lavagna e ripeto per ognuna “parola”; per “magiche” ho sempre qualche semplice trucco di prestidigitazione o disegno il famoso cilindro col coniglio che ne esce. Se è necessario faccio ripetere le “Parole magiche”.

Tutto questo lavoro occupa solitamente un periodo di non più di 45 minuti. Dopo di che inizio una nuova attività: Ascolto autentico o Ricostruzione di conversazione. Sollecito, in ogni momento di difficoltà, l’uso di queste frasi, che riscrivo entrando, i primi tre giorni. A questo aggiungo, alla prima occasione:

6) Come si dice in italiano? quando mi mostrano un oggetto e vogliono conoscerne il nome.

Invito ad usare queste parole magiche, non solo con me e con i loro colleghi ma anche e soprattutto con gli altri, in giro per l’Italia, per essere non più i poveri “stranieri”, ma i cogestori di una conversazione, a prescindere dalla sua complessità, in italiano.