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Che motivo c’è che uno studente parli nella lingua bersaglio in classe?

Commento all’articolo di John Eldridge “Code-switching in a Turkish secondary school” apparso sulla rivista ELT Journal, Volume 50/4 ottobre 1996

Forse alcuni di voi ricordano le riflessioni scambiate al seminario internazionale del 1996 alla Dilit International House durante il laboratorio che riguardava i seguenti quesiti:

1. È utile far parlare gli studenti nella lingua bersaglio in una classe di principianti?
2. Se sì, quanto, quando e perché?
3. Se no, perché?

Nel mio piccolo avevo riportato il caso di uno studente, sviscerando, più che altro in base all’intuizione e all’esperienza personale, le ragioni di un comportamento curioso. Kevin, infatti, lo studente in questione, nonostante potessecomunicare in un’interlingua vicina all’italiano con una certa facilità rispetto ai suoi compagni, sembrava aver scelto di esprimersi in inglese per commenti, valutazioni, insomma tutto il NON CITATO e tutto quanto non rientrasse nei compiti scolastici in senso stretto.

Sono stata felice, quindi, di scoprire un articolo dal taglio più scientifico del mio, che affronta un tema simile, basandosi su una ricerca compiuta su 100 persone. In particolare Eldridge ha esaminato il fenomeno dell'”alternanza del codice”, cioè il passare da una lingua all’altra. Leggendolo ho sperato di trovare una risposta soddisfacente alle numerose questioni sollevate e rimaste aperte durante il seminario.

L’articolo di John Eldridge

Lo studio riguarda allievi dagli 11 ai 13 anni, di livello basso ed intermedio-basso, di cui l’Autore è stato insegnante d’inglese. I ragazzi sono stati registrati e intervistati per chiarire quando e perché ricorressero alla lingua madre.

L’obbiettivo principale era di dimostrare che non esistono prove empiriche che evidenzino come il divieto di usare in classe la lingua madre renda necessariamente più efficace il processo di apprendimento. Perciò sono stati analizzati i motivi che spingono gli studenti ad alternare la lingua bersaglio con la propria, motivi che Eldridge ritiene abbiano scopi pedagogici ben precisi. In attesa di un risultato definitivo, suggerisce, è meglio evitare proibizioni drastiche in classe.

Il suo atteggiamento è in un certo senso di ribellione nei confronti della maggioranza degli insegnanti e dei ricercatori di lingua inglese come Willis, Cummins, Swain e altri, d’opinione esattamente opposta. Secondo costoro le lingue vanno tenute rigorosamente separate. Eppure, sottolinea l’Autore, il fenomeno dell’alternanza del codice è un fatto normale “nel parlato della maggior parte delle persone e delle comunità bilingui” (Romaine, 1989, p. 2).

I risultati della ricerca

1. Rapporto tra alternanza del codice e competenza linguistica

La tesi è che il rapporto tra l’alternanza e il livello linguistico è inesistente. Nelle sue classi gli studenti più bravi saltavano dalla lingua madre all’inglese e viceversa con la stessa frequenza dei compagni più deboli. Presumibilmente ad un certo punto, con l’aumento dell’abilità linguistica, lo sfruttamento di quelle che definisce “le strategie dell’alternanza” comincia a diminuire non essendo più indispensabile. Altre analisi andrebbero compiute per stabilire quando ciò avviene.

2. Motivi generali dell’alternanza del codice

Sull’insieme degli esempi registrati, i casi in cui gli allievi hanno usato la loro lingua per eludere le attività di classe sono stati estremamente rari. Nel 77% dei casi si trattava di chiarimenti riguardo ai compiti assegnati. Nel 16% erano domande rivolte all’insegnante su problemi d’inglese, anche se non relative alle attività svolte al momento. In genere quindi gli scopi erano pedagogici e sono stati riassunti come segue:

a. Equivalenza

Si è verificata nel 24% dei casi. Quando i suoi studenti non conoscevano un vocabolo in inglese o volevano accertarsi del suo significato, usavano l’equivalente in turco.

b. Mantenere il turno nella conversazione

Se non si riesce a parlare in modo sufficientemente sciolto, un espediente per riempire i silenzi senza perdere il diritto alla parola è quello di usare frasi come “Dunque” o “Cosa volevo dire?” nella lingua madre. L’uso di questo tipo di strategie è stato estremamente comune.

c. Metalingua

Sembra esserci una convinzione naturale tra gli allievi secondo cui la lingua bersaglio va impiegata solo per le esercitazioni, mentre commenti, valutazioni e tutto quanto non riguardi in senso stretto i compiti assegnati può essere legittimamente espresso in lingua madre.

d. Reiterazione

Ripetere in turco qualcosa che è già stato detto in inglese aiuta a dissipare un eventuale dubbio di comprensione.

e. Appartenenza a un gruppo

A volte l’alternanza del codice ha una funzione principalmente sociale e spesso avviene attraverso comici giochi di parole. Infatti alcuni termini turchi inseriti in frasi inglesi non parevano avere nessuno degli scopi di cui si è parlato precedentemente ed è difficile trovarvi una spiegazione se non considerandoli come simboli lessicali di un’identità di gruppo. Un fenomeno simile è stato registrato da Heller (1988, p. 92) in uno studio sull’alternanza del codice in una scuola di lingua francese di Toronto. Per gli allievi canadesi alternare l’inglese al francese rappresentava un rifiuto di tutte le implicazioni sociali che il fatto di essere francofoni in Canada comporta.

Nel caso di Eldridge la situazione era senz’altro meno esplosiva. Non si trattava di difendere l’identità turca da quella inglese, ma piuttosto di creare un linguaggio specifico che unisse maggiormente tra loro i giovani studenti di fronte agli insegnanti. Infatti gli insegnanti turchi si lamentavano di come gli allievi inserissero parole inglesi nelle conversazioni o di come usassero espressioni turche volutamente sgrammaticate. Auer conferma:

Sembra che i membri di uno stesso ambiente si adattino l’uno all’altro e sviluppino un comportamento linguistico comune che può essere o meno caratterizzato da alternanza o trasferimento di codice. (1988, p. 207)

f. Controllo di conflitti

Uno dei ragazzi intervistati ha detto di cambiare lingua per mitigare degli atteggiamenti apparentemente minacciosi. Per esempio, per dare del bugiardo a un amico preferisce il termine inglese, che essendo straniero suona meno immediato e quindi meno offensivo.

g. Allineamento e non allineamento

Una conversazione è il risultato di una negoziazione riguardante sia gli argomenti da trattare che i ruoli dei partecipanti. Può accadere che venga fatta pressione allo scopo di modificare il ruolo degli interlocutori e il tema della conversazione. In tal caso i partecipanti hanno due possibilità: o ritornare alla rotta iniziale e perciò rimanere “allineati”, oppure adeguarsi al nuovo corso. Lo scambio di battute che segue illustra come questa strategia venga adottata in classe ricorrendo all’alternanza del codice:

S1: What did you do yesterday? [inglese: “Che cosa hai fatto ieri?]
S2: Neden siz [turco]… Why are you…[indecifrabile] [Ciò crea un leggero scompiglio con un ritorno generale, per alcuni secondi, al turco.]
S3: Be quiet.[inglese: “State calmi”.]
S4: Please be quiet, friends.[inglese: “Per favore state calmi, amici”.]

La prima variazione del codice verso il turco può essere definita come un “rompere le righe”. La convenzione per cui in classe nel corso dell’esercitazione si parla in inglese non è stata rispettata dallo studente 2. Gli studenti 3 e 4 invece hanno tentato di riallineare i compagni ritornando all’inglese.

3. Alternanza del codice ed esami orali

Un’altra prova che Eldridge presenta per convalidare la sua tesi è data dagli esami orali. In questa occasione gli studenti hanno parlato soltanto e rigorosamente in inglese, ma al posto delle espressioni di riempimento cui si è accennato nella motivazione b, hanno avuto luogo silenzi che andavano dai 5 ai 20 secondi, arrivando a coprire anche più della metà del colloquio. Davanti alle difficoltà, alcuni tentativi di comunicazione venivano bruscamente interrotti e gli equivoci abbondavano. Gli esaminandi cambiavano argomento senza una necessaria introduzione, ripetevano le stesse cose in continuazione e infarcivano i discorsi di interiezioni di origine turca.

Gli studenti più bravi, che normalmente alternavano le lingue quanto i più deboli, all’esame sono riusciti a compensare il divieto di usare il turco con la maggiore rapidità nel capire e nell’esprimersi, dimostrando così che nel loro caso l’alternanza del codice era una questione di preferenza. Per i meno bravi, al contrario, si trattava di problemi di competenza.

4. Implicazioni pedagogiche

Fermo restando che l’obiettivo ultimo dell’insegnante è di fare in modo che lo studente possa essere capace, un giorno, di usare la lingua bersaglio isolatamente, è consigliabile tollerare l’alternanza del codice in classe. Infatti molti dei casi esaminati erano legati a incompetenze d’ordine linguistico, prima fra tutte l’incompetenza lessicale. I libri di testo, pur sforzandosi di tener conto delle parole usate più comunemente in inglese, non possono soddisfare i desideri e le necessità lessicali dei vari gruppi di studenti.

Un altro caso molto frequente di uso della lingua madre è dovuto alla mancanza di tecniche per mantenere la parola durante una conversazione nella lingua bersaglio. Eppure è proprio agli inizi che se ne ha maggiormente bisogno e per questo gli allievi dovrebbero familiarizzarsi con queste tecniche nelle primissime fasi dell’apprendimento.

Inoltre sarebbe necessario negoziare con i discenti la programmazione dei corsi e il contenuto delle lezioni secondo il livello del loro sviluppo cognitivo e le loro necessità. Gli studenti di una lingua straniera non possono essere equiparati a bambini che imparano la loro prima lingua. Imporre piani di studio precostituiti basati sulle teorie dell’ordine naturale nell’acquisizione della madre lingua può addirittura frustrare gli allievi. Osservare più da vicino i motivi per cui in una determinata classe le lingue vengono alternate può rivelarsi determinante per capire quali siano le reali esigenze degli allievi e trovare quindi un accordo ottimale sulle scelte da farsi. Questi fenomeni infatti potrebbero essere la spia di esigenze linguistiche ben precise.

L’Autore mette in guardia, però, contro la fossilizzazione di certe strategie. L’alternanza del codice può dimostrarsi efficace nell’evoluzione dell’interlingua, ma non deve essere utilizzata sistematicamente come mezzo per evitare le difficoltà.

Gli studenti che ne facessero tale uso si troverebbero svantaggiati una volta a contatto con persone monolingui.

5. Conclusione di Eldridge

L’alternanza del codice sembra essere un fenomeno naturale e significativo che facilita sia la comunicazione che l’apprendimento. L’Autore ne dà tre spiegazioni:

a. È una strategia che offre dei vantaggi a breve termine, ma rischia d’ostacolare l’acquisizione a lungo termine;

b. Il suo uso va considerato nell’ambito dell’evoluzione dell’interlingua e contrastarlo prematuramente potrebbe comportare un serio ostacolo all’acquisizione della lingua studiata;

c. Può esistere uno stretto legame tra lo stile cognitivo e le abilità del discente da una lato e l’alternanza del codice dall’altro. Si è notato che alcuni studenti che generalmente passano da una lingua all’altra, quando sono costretti ad esprimersi unicamente nella lingua bersaglio non incontrano difficoltà. Si può sostenere che l’eliminazione dell’alternanza acceleri lo sviluppo linguistico. D’altro canto un atteggiamento censorio potrebbe generare degli effetti negativi sulla motivazione e la fiducia in se stessi e di conseguenza rallentare lo sviluppo.

Insomma, diminuire l’uso della lingua madre in classe non aumenta necessariamente la quantità e la qualità della lingua studiata, dice Eldridge. Se vogliamo che gli studenti usino di più la lingua bersaglio in classe dobbiamo concentrarci su questo argomento piuttosto che sull’eliminazione o la diminuzione dell’uso della lingua madre.

Commento

Per sperimentare l’efficacia della catalogazione appena descritta, ho naturalmente ripescato il benemerito Kevin e ho cercato di associarlo a uno o più dei casi schematizzati da Eldridge. Il gioco ha funzionato. Direi che l’esperienza di K. rientra soprattutto nelle motivazioni “e” e “g” confermando le ipotesi già formulate.

Mi sarebbe piaciuto però avere un quadro più completo degli allievi che si sono prestati alla ricerca. Avrei apprezzato notizie sulla durata e sul numero settimanale delle lezioni, le motivazioni individuali e il rapporto dei ragazzi con la lingua bersaglio al di fuori dell’ambiente scolastico. Queste informazioni avrebbero potuto svelare l’origine del miracolo mediante il quale alcuni di loro, che in classe parlavano frequentemente in turco, all’esame si destreggiavano in un inglese scorrevole. Ciò starebbe a dimostrare che l’importanza attribuita alle attività svolte in classe (mi riferisco in particolar modo alle Produzioni orali libere o controllate) a volte va ridimensionata nel quadro dell’evoluzione dell’interlingua, ma non ne sono totalmente convinta.

Nel periodo in cui ho letto l’articolo mi occupavo di un corso bisettimanale per principianti di due ore e mezza a lezione, frequentato prevalentemente da ragazze alla pari tedesche. Il mio problema non era di certo l’alternanza del codice, dal momento che si esprimevano quasi unicamente nella lingua madre… Eppure alcune di loro, durante le pause trascorse insieme al bar, erano in grado di esprimersi in italiano con me, altre no, indipendentemente, credo, dal fatto che seguissero il mio corso o meno. Ma allora perché avevano pagato per queste lezioni? Sono giunta alla conclusione che la maggior parte di queste giovani adulte un po’ disorientate, al loro primo lungo soggiorno lontano da casa e all’estero, concepissero la scuola come punto di riferimento dove incontrare compagne di ventura, cui confidare le esperienze comuni per trarne un conforto psicologico.

Umanamente ho provato per loro una certa tenerezza e ho accettato di limitare per quanto possibile il mio ruolo d’insegnante, lasciando spazio ai loro sfoghi in tedesco.

Ma quanto ha a che vedere questo con l’acquisizione di una lingua?

Non so se sbaglio, ma ho l’impressione che Eldridge si accalori tanto a favore di una maggior tolleranza nei confronti dell’uso della lingua madre in classe, per contrastare i colleghi dallo stile troppo marziale che obbligano o più spesso tentano di obbligare gli studenti a parlare esclusivamente nella lingua bersaglio, creando quasi un clima di terrore sicuramente controproducente. In questo caso sono completamente d’accordo con lui. Le forzature, le costrizioni o i ripetuti richiami all’ordine quando danno risultati li danno soltanto a breve termine.

L’acquisizione di una lingua ben precisa

Alcuni punti però mi lasciano in dubbio.

Il fatto che presso le comunità bilingui l’alternanza del codice sia un fenomeno naturale non basta a suffragare l’accettazione incondizionata dell’alternanza di codice in classe. Non dimentichiamo che spesso dall’incontro geografico di due lingue nascono nuovi ibridi, come il creolo o il québécisme (una forma linguistica di origine anglofrancese parlata nel Quebec).

L’obbiettivo ultimo in classe, invece, è l’acquisizione di una lingua straniera ben precisa e possibilmente funzionale. A tale proposito trovo sfavorevole la discriminazione tra le diverse abilità linguistiche. Gli esempi riportati al punto 2.a (una richiesta di chiarimento), 2.c (un commento o una valutazione), 2.g (un’interruzione) o altro, sono interazioni con un sicuro valore pedagogico, ma anche e soprattutto con un valore linguistico e pragmatico per una comunicazione normale, quotidiana, dove i rapporti tra le persone non sono sempre simili a quelli esistenti tra l’insegnante e lo studente. L’insegnante, infatti, ha spesso un ruolo dominante, è lui che prende l’iniziativa, mentre lo studente si limita a un ruolo subalterno.

Lo scopo del nostro insegnamento

Mantenendo presente che l’obbiettivo ultimo è l’acquisizione di una lingua ben precisa, il rischio di fossilizzazione scompare. Appena si percepisce che lo studente è in grado di compiere un nuovo progresso, non si deve esitare ad incoraggiarlo.

Non c’è dubbio che chi, anche a causa di forza maggiore, si trova in un ambiente monolingue impara la lingua straniera a una velocità sorprendente rispetto agli altri.

Spesso i nostri studenti preferiscono metodi magari lenti, purché indolori. Si tratta allora di continuare a tastare il terreno per capire fino a dove si può spingere il discente senza oltrepassare la sua personale soglia di “dolore”.

Un bastone di sostegno

Vedo la lingua madre come un bastone di sostegno in un cammino pieno di tranelli, oppure come un rifugio sicuro nel quale riprendere fiato e fiducia tra una sortita e l’altra nel campo irto di trabocchetti della lingua straniera. Anche la reiterazione (2.d), secondo me, ha lo scopo di rassicurare psicologicamente, più che di aiutare la comprensione. Personalmente tendo a scoraggiare il più presto possibile, ma con il dovuto tatto, questa abitudine. Le operazioni neurolinguistiche necessarie a produrre e a decodificare una lingua straniera sono talmente numerose e complesse che non mi sembra il caso di complicarle ulteriormente aggiungendovi la traduzione.

Il principiante ha, per definizione, poca resistenza nella produzione orale e prima di pretendere da lui l’impossibile, bisogna fornirgli una muscolatura adeguata tramite la pratica. La fase ibrida di passaggio dalla prima lingua alla seconda è, questa sì, naturale, ma deve rimanere un momento di transizione, perché fino a quando sarà abituato a procedere con il bastone e si sentirà legittimato a farlo, l’allievo non riuscirà a sviluppare nessun muscolo.

Riferimenti bibliografici

Cummins, J., Swain, M., 1986 Bilingualism in Education, Harlow, Longman.
Heller, M., 1988 “Strategic ambiguity: code-switching in the management of conflict” in Heller, 1988.
Heller, M. (a cura di), 1988 Codeswitching: Anthropological and Sociological Perspectives, Berlin, De Gruyter.
Romaine, S.,1989 Bilingualism, Oxford, Blackwell.
Willis, J., 1981 Teaching English Through English, Harlow, Longman.