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Un salto in libreria: Verso l’italiano

Percorsi e strategie di acquisizione

Il titolo con il quale apro questa presentazione è proprio lo stesso della prima edizione del volume uscito nell’aprile dello scorso anno, cioè il 2003, per la Carocci Editore di Roma. Non ho voluto escogitarne uno mio, perché mi pare che l’espressione “Verso l’italiano” renda al meglio il laborioso cammino che fa la mente di chi impara una lingua come L2 per spingere la sua interlingua verso standard di competenza sempre più vicini alla lingua bersaglio. Un titolo pieno di dinamismo, insomma.

L’opera curata dalla professoressa Anna Giacalone Ramat del Dipartimento di linguistica dell’università di Pavia comprende, oltre all’introduzione e al quadro teorico della stessa professoressa, anche otto capitoli redatti da diversi specialisti di cui darò conto sia durante la mia esposizione, sia alla fine di questo scritto in un apposito indice. L’opera è l’ultimo prodotto di indagini sull’acquisizione dell’italiano L2 in contesto non guidato, che vanno avanti da molto tempo e costituiscono uno dei temi principali delle ricerche svolte nel suddetto Dipartimento fin dalla sua costituzione.

Prima di iniziare la mia solita, sintetica esposizione dei contenuti, ho due desideri. Prima di tutto esprimere apprezzamento e anche gratitudine a questo stupendo gruppo di lavoro che si dedica praticamente da un quarto di secolo alla ricerca nel campo della linguistica con particolare enfasi sull’apprendimento e l’acquisizione dell’Italiano come seconda lingua. In secondo luogo vorrei ricordare brevemente la figura di Monica Berretta, recentemente scomparsa, già Presidente della Società linguistica Italiana, Professore associato e poi ordinario di Linguistica generale alle Università di Bergamo e Vercelli.

Anche se il nome di questa importante figura della linguistica italiana non appare nell’indice degli autori del presente libro, lei vi ha collaborato fin dal primo momento e i preziosi frutti della sua ricerca si trovano, come ricorda Anna Giacalone Ramat, nel terzo capitolo dal titolo Morfologia del nome, curato da Marina Chini e Stefania Ferrarsi, nel quale, oltre alla morfologia, l’accordo di genere e numero in italiano L2, ci si sofferma con profondità anche su aggettivi, articoli e pronomi. Il piccolo ricordo personale che ho di Monica Berretta è legato purtroppo soltanto ad un paio di cose che ho letto tempo fa, interessandomi all’anafora: un articolo apparso nel 1990 su Rivista di Linguistica in cui si parla di Catene anaforiche e poi il capitolo di un volume dal titolo Sviluppi della linguistica e problemi dell’insegnamento, dove venivano affrontati i problemi legati alla competenza testuale degli adolescenti.

Venendo al presente volume, la prima impressione che si ha scorrendo a volo radente l’indice dei capitoli e dei paragrafi è che ci si occupi in prevalenza di temi squisitamente legati alla morfosintassi, mentre solo un paio di capitoli vengono dedicati all’aspetto testuale della lingua e quindi a tutto ciò che gira intorno al concetto di coesione come l’anafora, i connettivi, le deissi, ecc.

Ma andiamo con ordine. Come accennavo all’inizio il libro inizia, dopo una breve, ma interessante introduzione di Anna Giacalone Ramat, con il primo capitolo della stessa autrice dal titolo Il quadro teorico, in cui vengono esposte con chiarezza le linee guida su cui si è basato tutto il lavoro di ricerca sull’apprendimento della lingua italiana. Nel paragrafo dedicato ai modelli linguistici leggiamo tra l’altro che “Mentre i modelli formali assumono l’autonomia delle forme sintattiche e separano la competenza dall’esecuzione, i modelli funzionali considerano il rapporto forma-funzione nel linguaggio in modo del tutto diverso partendo dall’assunto che la funzione guida e determina, almeno in parte, la forma”. Questa preziosa analisi mi ricorda un po’ le tappe progressive della mia esperienza: all’inizio della mia attività d’insegnante sentivo infatti, senza peraltro potermele spiegare, certe incongruenze nel mio modo di operare in classe. Sentivo insomma che qualcosa non andava e solo un po’ più tardi ne ho colto i motivi. Avevo in sostanza capito che l’apprendimento rapido di una lingua, nel mio caso l’italiano che insegnavo a discenti stranieri, dipendeva fondamentalmente da due cose: l’uso abbondante di materiale autentico e poi l’adozione di un modello funzionale grazie al quale sin dall’inizio uno straniero che apprende l’italiano come L2 sia potenzialmente in grado di esprimere tutto. Certo, lo farà attraverso un’interlingua molto precaria e dominata da sovrabbondanti momenti di code switching, ma col tempo e soprattutto esponendosi a un ricco inputfatto di tanto materiale autentico riuscirà non solo a comunicare con modalità sempre più complesse, ma troverà pian piano delle regolarità formali sempre meno approssimative. Questo sarà tanto più gratificante per lui quanto più l’insegnante si sarà impegnato ad insegnargli ad imparare e trovare la gioia dell’apprendimento nella propria, autonoma attività di ricerca.

Ma non voglio tirarla troppo per le lunghe, anche perché il volume in questione non vuole analizzare l’apprendimento dell’italiano L2 nel contesto formale di una scuola, ma intende porre la sua attenzione a cosa succede quando uno straniero interagisce con parlanti di L1 oppure con altri stranieri come lui che hanno già una certa competenza.

Passiamo perciò decisamente al secondo capitolo. Qui Cecilia Adorno e Giuliano Bernini descrivono i metodi di lavoro, le caratteristiche degli apprendenti come l’età, la nazionalità, i tempi di soggiorno, la precedente scolarità ed altro. Si focalizza l’attenzione anche sul materiale testuale a disposizione dei ricercatori che tra l’altro viene descritto come materiale misto o ibrido, contenente cioè “parti descrittive, narrative e argomentative”.

Il terzo capitolo viene dedicato da Marina Chini e Stefania Ferraris alla morfologia del nome e quindi a come lo straniero che apprende l’italiano L2 riesce a cavarsela nella gestione dei meccanismi di genere e numero. Il discorso nella seconda parte del capitolo viene esteso anche ad articoli, aggettivi e pronomi.

Emanuele Banfi e Giuliano Bernini si dedicano invece nel capitolo seguente allo studio dell’apprendimento del verbo in tutta la sua complessità, che va dalla centralità della sua funzione predicativa alla codificazione di tempo e modo o al percorso da parte dell’apprendente del sistema d’acquisizione verbale in italiano L2.

Di nuovo Anna Giacalone Ramat, ma anche Giuliano Bernardi, Cecilia Adorno e Ada Valentini formano il gruppo di ricerca che si è dedicato alla sintassi delle interlingue, partendo dalla frase semplice e dai suoi elementi costitutivi in L2 per arrivare alla combinazione di due o più proposizioni. Questo capitolo che si dipana sulla lunghezza di ben 62 pagine contiene fra l’altro un ricchissimo corredo esemplificativo che sarebbe veramente oggetto d’invidia di ogni ricercatore: sono trascrizioni di testi orali prodotti da apprendenti su cui credo che sia stato meraviglioso ricercare.

Il lavoro successivo dovuto all’opera di Marina Chini, Stefania Ferrarsi, Ada Valentini e Barbara Businaro riguarda la testualità con tutte le sue implicazioni di coesione: l’anafora, i connettivi e il loro apprendimento in L2.

Anche il capitolo settimo presenta spunti di notevole interesse. Viene infatti presentato dalle autrici, cioè Patrizia Cordin, Manuela Talleri, Marina Chini e Stefania Ferraris, un confronto fra l’acquisizione d’italiano come L1 soprattutto da parte dei bambini e l’acquisizione della medesima lingua come L2 da parte degli apprendenti stranieri. Interessanti le conclusioni a cui le autrici arrivano dividendole in due parti: quella in cui le due modalità di acquisizione hanno punti in comune e l’altra in cui emergono differenze. Vi si sostiene tra l’altro che bambini e stranieri hanno in comune la preferenza per forme non complesse di morfosintassi, la frequente mancanza di connettori, molte analogie nella progressione di acquisizione delle forme di subordinazione. Vari sono anche i punti di divergenza: i bambini, ad esempio, sono più rapidi degli apprendenti stranieri in contesto non formale per quanto riguarda la morfologia dei nomi e dei verbi, l’uso dei subordinatori, i meccanismi della reggenza; mostrano inoltre più competenza nell’uso della congiunzione che e dei pronomi clitici.

Le pagine finali di questo volume sviluppano in un capitolo molto interessante due ottimi interventi. Il primo, centrato molto sull’importanza che per la glottodidattica hanno i dati di acquisizione di lingue seconde, è curato da Maria Giuseppina Lo Duca. Il secondo di Massimo Vedovelli con la collaborazione di Andrea Villarini ha come titolo Dalla linguistica acquisizionale alla didattica acquisizionale.

Di rilievo, secondo me, oltre alle ben 13 pagine dedicate al Framework europeo delle lingue, sono anche il discorso sui materiali didattici e le conclusioni. Nella parte che riguarda il Quadro Europeo mi piace ricordare alcuni significativi passaggi, con i quali sono sostanzialmente d’accordo. A proposito dell’importanza che il Quadro Europeo ha nell’ambito delle politiche linguistiche europee si dice a pag. 71 che esso nasce per superare “una serie di ambiguità e di contraddizioni presenti nelle precedenti proposte metodologiche diffuse a tutti i livelli nella didattica linguistica”; per sviluppare “una proposta generale di politica linguistica, valida per la L1 e la L2, capace di riguardare tutti i livelli dell’offerta di formazione linguistica”; per portare avanti la volontà di ”ricostruire in un quadro per quanto possibile coerente i riferimenti teorici ai quali i modelli di pratica educativa, di politica linguistica, di gestione delle azioni glottodidattiche devono necessariamente rifarsi”. Utile quindi e quanto mai provvidenziale questo Framework proprio perché da una parte mette un po’ d’ordine nelle precedenti politiche glottodidattiche, dall’altra però non pecca di eccessiva invadenza, limitandosi a presentarsi come punto di riferimento al di sopra delle parti. In altri termini, il documento europeo in questione intende orientare e non prescrivere, vuole, in sostanza indicare un “quadro di riferimenti concettuali per orientare la progettazione e la realizzazione degli interventi formativi a tutti i livelli”, sia che si tratti di scuole pubbliche sia che si faccia riferimento a luoghi non istituzionali della formazione linguistica.

Di grande utilità per chi opera nel settore a vario titolo, dall’insegnamento alla ricerca, dalla formazione degli insegnanti all’editoria scolastica, è alle pagg.178 e 179 la tabella 8.1, che propone i sei livelli in cui si articola il modello del Quadro Europeo raggruppati in tre fasce in cui sono descritti i profili degli apprendenti:

  1. A) corrispondente all’utentebasico
  2. B) corrispondente all’utenteindipendente
  3. C) corrispondente all’utentecompetente

A proposito del termine utente devo dire che si poteva trovare un termine che non ricordasse troppo gli abbonati della RAI. Che ne so, per esempio parlante o soggetto comunicatore mi suona meglio, ma con uno sforzo collettivo si può fare di più e soprattutto meglio. Questa mia critica marginale, però, non intacca la sostanza della scala globale dei livelli del Framework che è e rimane per me d’importanza vitale.

Quanto ai materiali didattici analizzati dal gruppo di Siena, che Vedovelli coordina e insieme al quale fecondamene opera, il capitolo riporta varie tabelle, alcune di statistica, altre di confronto fra progressioni sintattiche di alcuni materiali dedicati a immigrati stranieri.

Oltre alle tabelle c’è, però, un paragrafo per me quanto mai stimolante, in cui i materiali didattici vengono ripartiti in tre grandi gruppi o classi. Vanno a comporre la prima classe tutti quei sussidi prodotti a metà degli anni settanta per utenti tradizionali, ma utilizzati nelle prime classi d’italiano per emigranti stranieri solo dalla metà degli anni ottanta. Questi materiali dedicati in prevalenza ai livelli di base e intermedi, improntati sul piano delle metodologie glottodidattiche ad un approccio di tipo comunicativo, sono troppo generalizzati per quanto riguarda il target degli apprendenti e in essi, comunque, non c’è traccia di riferimenti espliciti o impliciti al mondo dell’emigrazione. La seconda classe comprende prodotti più specificamente ideati per immigrati che desiderano apprendere l’italiano L2. Fanno parte di questa seconda classe anche materiali non cartacei come i CD-ROM e i siti Internet. C’è infine una terza classe di materiali, i così detti materiali grigi e cioè tutto ciò che l’insegnante può raccogliere, ideare, fotocopiare da opere prese qua e là per meglio adattare la propria offerta formativa a chi ha di fronte. Questo fenomeno suona, secondo me, come il segno che c’è una certa distanza tra le riflessioni che portano poi a risultati teorici e il variegato mondo dell’“industria delle lingue”. Vedovelli parla a pag.285 di “increspature che non permettono di armonizzare il rapporto tra ricerca teorica e applicazione glottodidattica e che portano al ricorso a materiali autoprodotti, gli unici evidentemente in grado di rispondere alle esigenze degli insegnanti”.

Devo dire che concordo molto con quest’ultima affermazione non per spirito di parte, essendo io un insegnante, ma perché il mio percorso più che trentennale di ricerca-azione mi ha portato a contatto con ogni tipo di produzione editoriale riguardante l’insegnamento delle lingue, tra cui l’italiano come seconda lingua. Il mio modesto parere è che si possa fare di più per avvicinare i materiali didattici ai reali bisogni di chi apprende e che, quindi, il mondo editoriale, senza paura di perdere mercato, possa tentare di orientare i suoi prodotti in modo che riproducano il necessario avvicinamento tra Linguistica acquisizionale e Glottodidattica.

Quest’ultima espressione del mio pensiero mi porta direttamente alle conclusioni di quest’ultima parte del libro, in cui rimane ancora aperto l’annoso discorso sul rapporto tra Linguistica acquisizionale e Glottodidattica. Gli autori lamentano il fatto che le indicazioni provenienti dalla ricerca acquisizionale trovino ancora molto di rado accoglienza nei sussidi didattici dedicati agli immigrati. Lo stato attuale della situazione è molto ben schematizzato nelle tre tabelle che appaiono alle pagine 302 e 303. Nella prima si configurano confini separati tra Linguistica acquisizionale che si occupa delle sequenze naturali di sviluppo dell’interlingua e la Glottodidattica che opera con tecniche d’insegnamento per svilupparla. Nella seconda tabella si prevede invece un rapporto di sussidiarietà tra le due discipline. La terza tabella, presentata dagli autori come ideale, vede “un rapporto paritetico e di reciproca assistenza” tra le due discipline, le quali, pur mantenendo incontaminate le rispettive caratteristiche possono, dialogando, arricchirsi a vicenda e insieme produrre ricadute positive sia nella produzione di materiali nuovi, sia nella formazione di una moderna generazione di docenti adeguatamente preparati ai nuovi compiti.

I titoli dei capitoli

Introduzione

di Anna Giacalone Ramat

Il quadro teorico

di Anna Giacalone Ramat

Premesse teoriche e metodologiche

di Cecilia Adorno e Giuliano Bernini

Morfologia del nome

di Marina Chini e Stefania Ferrarsi

Il verbo

di Emanuele Banfi e Giuliano Bernini

Sintassi

di Cecilia Adorno, Giuliano Bernini, A.Giacalone Ramat Ada Valentini

Aspetti della testualità

di Marina Chini, Stefania Ferrarsi,Ada Valentini e Barbara Businaro

Confronti fra l’acquisizione di Italiano L1 e l’acquisizione di italiano L2

di Daniela Calleri,Marina Chini, Patrizia Cordin e Stefania Ferraris

Applicazioni glottodidattiche

Narrare in italiano L2

di Maria Giuseppina Lo Duca

Dalla linguistica acquisizionale alla didattica acquisizionale

di Massimo Vedovelli Andrea Villarini

Il libro

Verso l’italiano
di Anna Giacalone Ramat
Carocci Editore S.p.A., Roma
Pagg.326, € 21,80