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Significar per verba…

Un titolo come Le forme del verbo italiano da un lato enuncia e circoscrive con sufficiente chiarezza il contenuto del libro, dall’altro rischia di essere di per sé poco eloquente. Puoi esserlo tu, più eloquente?
Certo, ma naturalmente dipende dai limiti di tempo. Dimmi cosa vuoi sapere in particolare.

Cominciamo dal destinatario. A chi è indirizzato il libro? 
Be’, anzitutto a studenti e più in generale a utenti di italiano come lingua straniera o seconda, poi…

Un attimo. Hai detto studenti, o utenti: ma a quale livello di conoscenza della lingua?
Praticamente a qualunque livello.

In che senso? Non ti pare un’affermazione esagerata?
Non direi.

Dimostralo.
Allora devo farlo dati alla mano. E cioè aprendo il libro e mostrando concretamente com’è fatto. In primo luogo il libro è diviso in due parti, “Costruzione” e “Interpretazione”Ognuna di esse corrisponde a una diversa e specifica esigenza di consultazione.

Spiegati meglio.
La prima parte, “Costruzione”svolge il compito di trovare la voce desiderata di un verbo a partire dall’infinito, a partire cioè dalla forma con cui ogni verbo è riportato nei dizionari, monolingui o bilingui che siano. La seconda parte, “Interpretazione”ha il compito inverso: quello di scoprire, data una certa voce verbale, l’infinito del verbo cui essa appartiene e di scoprire inoltre di che tipo di forma si tratta, cioè indicativo, congiuntivo, condizionale, ecc., presente, imperfetto, futuro, ecc., terza persona singolare, prima persona plurale, ecc.

Quindi la prima parte del libro, se intendo bene, dovrebbe essere di aiuto in circostanze di produzione linguistica (scrivere, parlare) e la seconda in circostanze di ricezione linguistica (leggere, ascoltare).
Giusto. Facciamo un esempio: una persona non di madrelingua alle prese con la lettura di un testo – lettera, articolo di giornale o altro – che incontra una parola sconosciuta e vorrebbe decifrarla. A volte la decifrazione è necessaria per capire il senso di ciò che si sta leggendo, altre volte magari il senso complessivo è piuttosto chiaro ma resta la curiosità di un approfondimento linguistico. Bene, se quella parola è un sostantivo, un aggettivo, una congiunzione, un avverbio e altro ancora, la si può trovare facilmente nel dizionario: o nella stessa forma in cui essa compare nel testo, o anche, nel caso per esempio di sostantivi o aggettivi, con qualche variazione, perché il dizionario riporta come forma-base il singolare (maschile per gli aggettivi), ma quella variazione di norma non compromette il successo della ricerca. Per i verbi invece la faccenda è spesso più complicata: da “automobili” non è molto difficile rintracciare nel dizionario, pur senza conoscerla la forma-base “automobile”, ma da “vissuto” a “vivere” la ricerca è certo più ardua, altrettanto laboriosa da “nacquero” a “nascere”, forse ancor più ostica da “ponendo” a “porre”, addirittura impossibile da “fossi” a “essere” o da “ebbi” ad “avere”, a meno di conoscere già la forma-base, cioè l’infinito.

E il tuo libro allora appresta questo “Indice alfabetico delle forme irregolari”, no?
Sì. In cui le varie voci irregolari sono riportate in ordine alfabetico e accanto ad ognuna è indicato l’infinito del verbo e il tipo di forma. Guarda per esempio “ebbi”, alla lettera “E”, e accanto troverai “avere” e poi “PR1s”, che significa “passato remoto 1ª singolare”.

E nell'”Indice” trovo anche “ebbe” e “ebbero”, le altre due voci di passato remoto irregolare?
Certo. Tutte le persone di ogni paradigma irregolare. E ora a te: che dirà l'”Indice” alla voce “contratto”?

“Contrarre”, participio passato, naturalmente.
Sì, e poi?

E poi?
In realtà contratto è ambiguo: è sì voce irregolare di contrarre, ma anche voce regolare di contrattare. l’indice ne dà avvertenza, in questo e in tutti gli altri casi di ambiguità.

Ce ne sono molti?
Un discreto numero. Ci sono forme totalmente omonime, come appunto contratto, e ancora commisero (commettere commiserare), volto (volgere voltare), punto (pungere puntare) e altre. Poi ci sono forme omografe, identiche nella scrittura ma distinte nella pronuncia, per esempio indico, con accento su di da indire e con accento su in da indicare. O ancora scorsi, con o chiusa da scorrere e con o aperta da scorgere, almeno per quegli italofoni per i quali vale l’opposizione fonematica tra o chiusa e o aperta.

Riassumendo, abbiamo parlato finora della seconda parte del libro, quella dal titolo Interpretazione.
Già, ma non abbiamo finito.

Che altro manca?
Fin qui abbiamo parlato solo di interpretazione di forme verbali semplici vale a dire forme costituite da una sola parola, e in particolare di quella sottoclasse delle forme semplici che sono le forme irregolari. Restano le forme semplici regolari e inoltre le forme composte, cioè quelle costituite da due o tre parole.

Altri indici ed elenchi, dunque.
No. Qui entrano in gioco strategie di analisi.

Sarebbe a dire?
Be’, forme regolari significa appunto modellate secondo una regola, o un sistema di regole. Se io possiedo questo sistema, non avrò bisogno di elencare una ad una e tenere immagazzinate le varie forme, che sono fra l’altro in numero sterminato. Basterà ogni volta interrogare il sistema e sarà lui a darmi l’interpretazione voluta. Per esempio, dovendo analizzare una forma come andasse, che è regolare, il sistema mi fornisce una regola del tipo: “Se la forma termina in -sse, si tratta di congiuntivo imperfetto 3a singolare. Per ottenere l’infinito, cancella -sse e aggiungi -re”. E così che arriverò all’interpretazione della mia forma: andare, cong. imp. 3a sing. Ma quella stessa regola vale per qualunque forma che termina in -sse. Quindi attraverso lo stesso procedimento da sapesse risalirò a sapere, da dormisse dormire, e via discorrendo.

Ma poi arrivi per esempio a sconfisse o elesse, che sono passati remoti e non congiuntivi, e il procedimento non regge più.
Per forza: queste sono forme irregolari e quindi è illecito analizzarle come se fossero regolari.

Ma allora per poter analizzare le forme regolari devo già sapere che sono regolari.
Esatto.

E come faccio a saperlo, io studente/utente inesperto dell’italiano e appunto indigente di informazione?
Per il fatto che non le trovi nell’Indice delle forme irregolari di cui abbiamo parlato prima. Nell’indice trovi appunto sconfisse o elesse mentre non trovi per esempio vedesse e quindi sai che vedesse è regolare.

Ma questo presuppone che l’indice contenga tutte le forme irregolari dell’italiano, cioè che sia completo.
Hai ragione.

E quindi vuoi dire che il tuo libro prende in considerazione tutti i verbi italiani?
Questa è appunto un’altra sua caratteristica.

Illusoria. Perché una lingua viva è in continua evoluzione e l’inventario delle sue parole non è mai chiuso e definitivo. Basti solo pensare che, mentre noi stiamo qui parlando, qualcuno avrà già coniato, attraverso i meccanismi produttivi che ogni lingua possiede, un nuovo verbo irregolare, non previsto dal tuo Indice, e avrà quindi introdotto una smagliatura nella precisione del tuo congegno. Inoltre saprai che l’italiano non è una entità omogenea e compatta ma si caratterizza come gamma di varietà linguistiche: di quale ‘italiano’ ti occupi tu?
Bravo. Sei preparato. In effetti la mia precedente affermazione va attenua” ta dicendo che il libro prende in considerazione tendenzialmente virtual mente tutti i verbi dell’italiano standard contemporaneo.

Ancora troppo vago.
Sarò più preciso. Il libro è redatto sulla base di un preesistente corpus lessicografico tra i più prestigiosi: vengono cioè presi in esame tutti i verbi contenuti nell’ultima edizione, cioè la 11a (1983), dello Zingarelli. Ad esclusione delle voci indicate nel vocabolario stesso come arcaiche 0 desuete, delle voci di uso regionale e dialettale e delle voci poetiche.

Così va meglio. Vuoi aggiungere qualcosa sull’interpretazione delle forme composte?
Anche per le forme composte vengono presentate delle procedure di analisi, ma preferisco rinviare alla relativa sezione del libro. Dirò soltanto che vengono prese in esame anche questioni di interpretazione di strutture formalmente identiche o simili come per esempio e guardato, si e guardato si è guardati, li si è guardati, ci si è guardati eccetera; 0 anche una struttura come è atterrito, che ammette almeno tre diverse interpretazioni.

Passiamo alla parte Costruzione?
Va bene.

Sapendo ormai che le due parti, Costruzione e Interpretazione, hanno struttura simmetrica e sapendo com’è fatta Interpretazione, posso immaginare come sarà fatta Costruzione.
D’accordo. Assumi tu il ruolo di intervistato.

Allora, ricapitoliamo: Interpretazione parte da una forma e ti dice che tipo di forma è e da che verbo proviene. Costruzione parte dalI’infinito di un verbo di cui vuoi sapere una certa forma e ti dà la forma voluta.
Perfetto.

In altri termini Costruzione e Interpretazione costituiscono due dispositivi di ricerca, per così dire, complementari e speculari, in cui cioè l’output dell’uno è l’input dell’altro e viceversa.
Linguaggio raffinato e alla moda.

In concreto: la persona non di madrelingua che prima leggeva adesso sta scrivendo, deve usare un certo verbo, le occorre una forma che non conosce e allora controlla sul libro…
Che cosa?

Vediamo. Ci sarà un catalogo di verbi irregolari…
Continua.

… in cui l’entrata sarà qui costituita dal verbo all’infinito, e non dalla singola voce come accadeva prima.
Sii più chiaro.

In Interpretazione cercavo in lista vado e venivo informato che è indicativo presente 1 a singolare di andare, adesso in Costruzione cerco andare, sotto andare cerco la 1 a singolare dell’indicativo presente e vengo informato che è vado. O no?
In linea di principio ci siamo. E le forme regolari?

Per quelle dovrebbero esistere regole generali, tali da consentire strategie di costruzione parallele a quelle che prima hai chiamato strategie di analisi.
Impari in fretta.

Allo scopo nel libro ci saranno delle tavole con i paradigmi regolari, immagino, come è d’uso in lavori simili al tuo.
Su questo ritorneremo. Ma intanto, come posso sapere se un verbo è regolare o no?

Dunque, se lo trovo nella lista dei verbi irregolari, ovviamente e irregolare.
E se non lo trovi nella lista?

Se non lo trovo… Ma si, varrà anche qui il criterio di completezza che hai dichiarato prima. La lista dei verbi irregolari conterrà tutti i verbi irregolari, tutti naturalmente con annesse precisazioni e restrizioni, e quindi un verbo che non figura nella lista sarà regolare.
Congettura sagace. E ora, col tuo permesso, aggiungo io qualcosa.

Prego.
Esistono anche verbi mancanti di alcune forme, i cosiddetti ‘verbi difettivi’. Chi volesse per esempio costruire il passato prossimo di divergere deve venire a sapere che non può in quanto il verbo non ha participio passato. Non importa qui se non l’ha mai avuto, se è caduto in disuso o altro: fatto sta che non è usato nell’italiano contemporaneo.

Il libro contiene quindi anche…
Sì. La sezione di Costruzione che si occupa in generale di ‘anomalie’ comprende tre sottosezioni: le Tavole dei verbi irregolari con le relative forme irregolari, I’Elenco dei verbi difettivi con l’indicazione delle forme mancanti e l’indice alfabetico dei verbi irregolari e difettivi, che rinvia alle prime due sottosezioni. Il resto l’hai già detto tu.

Allora passiamo ad altro.
Un momento. Apri il libro a pagina 124. Siamo nella sottosezione Tavole dei verbi irregolari. Dimmi cosa vedi.

Be’, non c’è molto da dire. È il verbo “porre”.
Sì. Ma guarda le forme.

E allora? Pongo, il futuro porrò, il passato remoto posi… Mi sembra esatto, ma non vedo che ci sia di originale.
Ti colpisce niente nel modo in cui i vari paradigmi sono stati disposti sulla pagina?

È una disposizione elegante.
Grazie. Ma vorrei di più.

Aspetta… Credo di capire. Sono stati allineati in orizzontale paradigmi di forma simile. Indicativo presente, “pongo”, congiuntivo presente, “ponga”, imperativo, che nel formale è “ponga”…
Vai avanti.

Imperfetto indicativo e congiuntivo, “ponevo” e “ponessi”…
Poi…

Futuro e condizionale, “porrò” e “porrei”. Gerundio e participio presente, “ponendo” e “ponente”. Sì, tutte le caselle allineate e adiacenti…
… per indicare che nei vari casi si ha lo stesso radicale.

Tranne qui, passato remoto, “posi”, e participio passato, “posto”: caselle allineate in orizzontale ma non adiacenti, distanziate…
… per suggerire somiglianza ma non sempre identità di radicale, come appunto in questo caso, tra i due paradigmi. Guarda ora a pagina 150.

Ecco… Verbo “uscire”. Qui intanto mi colpisce che lo schema è quasi vuoto, all’interno non ci sono quasi forme. Mi pare uno spreco di spazio.
A parte le considerazioni sullo spreco, da non notificare all’editore, sono favorevolmente colpito dal tuo essere colpito e mi auguro che anche lo studente resti allo stesso modo colpito. Come vedi, nella tavola sono riportate solo le forme effettivamente irregolari, e così accade in tutte le altre tavole. Questo per almeno tre motivi: debellare il possibile equivoco che i verbi irregolari siano totalmente irregolari mentre in realtà molti di essi lo sono soltanto in minima parte, indurre nello studente un conseguente effetto di salutare alleggerimento, incentivare in lui l’abilità di costruire autonomamente secondo regole generali. Perché tutte le forme non riportate sono appunto regolari e non necessitano quindi di menzioni ad hoc. Ma il motivo per cui ti avevo chiesto di guardare qui era un altro.

Aiutami.
Vai allora a pagina 130: verbo “valere”.

Ci sono. Vuoi dire che le irregolarità sono sempre distribuite per fasce orizzontali. Cioè, quando è irregolare un certo paradigma, è irregolare anche l’altro o gli altri due compresi nella stessa fascia. Futuro con condizionale, indicativo presente con congiuntivo presente e con imperativo, e così via.
Non sempre. Ma come indicazione di massima è valida. In altri termini, il regno delle irregolarità non è puro caos, ammasso, disordine, ma ha dei suoi principi, una logica o meglio delle logiche al suo interno, ammette una serie di gradazioni intermedie tra la singola e circoscritta idiosincrasia e l’esistenza di reti strutturali di ampia generalità. Promuovere l’osservazione, il confronto, l’analisi anche attraverso semplici espedienti grafici significa suggerire a chi legge dei criteri di elaborazione dei dati, dei percorsi di costruzione più duttili e delle agevolazioni per la memoria. E con questo intendo dire che il libro aspira ad essere, oltre che un testo di consultazione per contingenti e immediate finalità pratiche, anche uno strumento sistematico di riflessione e analisi linguistica.

Hai adottato altri espedienti al riguardo?
Torna alla pagina di porre e guarda in basso.

Ci sono i verbi composti, o derivati come si preferisce, di “porre”: “esporre”, “proporre”, “supporre”, ecc. Tutti ovviamente come “porre”. Ma lo fanno tutti i manuali.
Ti indico qualche modesta innovazione. Anzitutto, se osservi meglio, noterai che, anche in questa pagina, i composti sono ripartiti secondo una gerarchia. Ci sono composti diciamo di primo grado, come comporre disporre, e composti di secondo grado, cioè composti di composti, come scomporre, composto di comporre, predisporre, composto di disporre, eccetera. Questa classificazione può risultare utile per analisi invero piuttosto specialistiche sulla derivazione verbale e la prefissazione in italiano.

E poi?
Un altro accorgimento di più generale interesse. Nel caso di “porre”abbiamo a che fare con una famiglia di verbi di identica coniugazione che hanno un comune capostipite, “porre” appunto. Ma consideriamo un altro caso. Prendiamo per esempio “scegliere”, “togliere”, “sciogliere”, “cogliere”e i rispettivi composti. I quattro verbi non hanno un capostipite comune, cioè un verbo rispetto al quale potersi dire composti. Eppure essi hanno identica coniugazione, cioè hanno le stesse irregolarità: “scelgo”, “tolgo”, “sciolgo”, “colgo” e ancora “scelsi”, “tolsi”, “sciolsi”, “colsi”, e via coniugando. Quindi sarebbe teoricamente appropriato e praticamente utile raccoglierli in una stessa famiglia. Ma questo significa istituire famiglie di verbi anche laddove non si dà un capostipite e quindi assumere come ceppo familiare il segmento comune ai verbi membri: nel nostro caso “…gliere“.

Come appunto tu fai nella pagina che mi hai messo sotto gli occhi, la 134.
Già.

Dove poi all’indicativo presente scrivi “…lgo”, al passato remoto “…lsi”, al participio passato “…lto”, ecc.
Che sono appunto i segmenti comuni delle forme dei quattro verbi.

E per chi consulta il libro cercando le varie forme, per esempio, “…gliere” sta a “scegliere” come “…lsi” sta a “scelsi”.
Elementare. E quattro verbi distinti, ciascuno con i propri composti, vengono ricondotti ad un unico modello.

Con evidente risparmio.
Ma c’è di più. Una volta che il gioco ti ha preso la mano, non puoi esimerti dal proseguire fino a individuare segmenti sempre più corti e correlativamente famiglie sempre più estese.

Non verrai a dirmi che c’è un solo Adamo anche tra i verbi irregolari.
No. Ma certo i progenitori primi sono in numero più esiguo di quanto spesso si creda o si lasci intendere.

Comunque nel caso di “…gliere” eravamo arrivati al capolinea. O c’è una ulteriore fermata?
No, in quel caso no. Ma considera per esempio “fingere”, “piangere” e “giungere”.

Dunque, irregolari solo al passato remoto e al participio passato. Il ceppo comune è “…ngere”, il passato remoto “…nsi” e il participio passato “…nto”.
Bravo. E adesso “porgere” e “assurgere”.

Ceppo comune: “…rgere”. Passato remoto: “…rsi”. Participio passato: “…rto”.
Sì. “Volgere” e “indulgere”.

“…lgere”, “…lsi”, “…lto”.

E adesso metti tutto assieme e trova i denominatori comuni.

Allora… Una superfamiglia: verbi in “…gere”, con passato remoto “…si” e participio passato “…to”.
E lo sai quanti membri conta questa superfamiglia?

Stupiscimi.
Settantotto. Come da pagina 166.

E così almanaccando a quanti progenitori primi sei riuscito a ricondurre l’intera stirpe dei verbi irregolari?
Meno di ottanta.

Non c’è male.
Si può fare di meglio. Assumendo a elementi primitivi, anziché i vari verbi-capostipite e ceppi comuni, i tratti di irregolarità che risultano combinati in vario modo tra di loro in ciascun verbo irregolare. Ma questo è lavoro da fare.

Lasciamo perdere. È esaurito l’argomento verbi irregolari?
Diciamo che possiamo fermarci qui e passare alla sezione delle forme regolari.

Qui non ci sarà molto da dire, spero.
Relativamente.

Vediamo. Lasciami sfogliare il libro… Verbi in “-are”. Casi particolari: verbi in “…care” e “…gare”, verbi in “…ciare”, “…giare” e “…sciare”, verbi in “…iare”. Poi verbi in “-ere”. Verbi in “-ire”. Senza “-isc-“, come “avvertire”. Con “-isc-“, come “finire”. Sì, c’è tutto, mi pare. Come tradizione vuole.
Ma questo è solo per il lettore appunto tradizionale.

Perché, esiste anche un lettore non tradizionale?
È quello che io configuro disponendo un percorso di costruzione alternativo e incoraggiando ad usarlo come corsia preferenziale più diretta e semplice.

In che consiste?
Dimmi l’indicativo imperfetto di “guardare”.

“Guardavo”.
E adesso dai a un apprendente l’indicazione per costruirlo.

Allora… siccome il verbo è della prima coniugazione, cioè in “-are”, la desinenza, o terminazione, è “-avo”.
Fallo adesso per “vendere”.

“Vendere”, seconda coniugazione, “-ere”, terminazione “-evo”. “Vendevo”.
E ora avvertire.

Terza coniugazione, “-ire”, dunque terminazione “-ivo”. “Avvertivo”.
E così dicono appunto i manuali e le grammatiche, o esplicitamente, o implicitamente, nelle tavole dei paradigmi regolari, separando con un trattino o con uno spazio per esempio “guard” e “avo”, “vend” e “evo”, “avvert” e “ivo”. E così faccio anch’io nelle pagine che tu hai citato prima.

E allora?
Ma questo significa dover andare tre volte dall’ortolano per comprare tre chili di mele. Un chilo alla volta. Anziché prenderne direttamente tre chili in una sola volta.

E tu allora hai pronto un ortolano di fiducia, che ti dà subito tutte le mele che vuoi. E dove sta di casa?
Parti dall’infinito del verbo, “cancella -re” e aggiungi “-vo”. Vale in tutti i casi.

“Guarda… vo”, “vende… vo”, “avverti… vo”. Funziona.
Una sola terminazione, un solo caso, una sola regola, niente più coniugazioni “-are”, “-ere”, “-ire”.

Ma è generalizzabile tutto ciò?
Non dappertutto. L’indicativo presente, il congiuntivo presente e l’imperativo continuano a richiedere che si distingua tra coniugazioni. Anche se non dovunque. Per esempio la terminazione di 1ª plurale è “-iamo” per tutti i verbi.

E negli altri tempi e modi?
Le terminazioni sono sempre identiche per tutti i verbi. In più talvolta c’è una trasformazione vocalica davanti alla terminazione.

Per esempio?
Nel futuro e nel condizionale. L’istruzione qui è: “cancella -re” nell’infinito se la vocale finale del segmento è “a” trasformala in “e”, aggiungi “-rò” per il futuro e “-rei” per il condizionale. La trasformazione tocca guardare: “guarda-“, “guarde-“, “guarderò” / “guarderei”, mentre non tocca “vendere” e “avvertire”: “vende-“, “venderò” / “venderei”; “avverti-“, “avvertirò” / “avvertirei”.

Altri casi interessanti?
Rinvio per tutti gli altri casi a pagina 20 bis, tavola fuori testo in cui sono raccolte in veste sinottica tutte le indicazioni cui accennavo e viene presentato un sistema unificato di regole dal titolo “Altre strade (più generali e più dirette) per la formazione dei tempi semplici”.

Tirando le somme…
Scusami. Aggiungo inoltre che a pag. 20 e a pag. 17 trovano posto rispettivamente l'”Elenco dei verbi in -ire senza -isc-“, come per esempio “sentire” e l'”Elenco dei verbi in …iare del secondo gruppo”quelli cioè che, come “inviare”,alla 1ª singolare dell’indicativo presente hanno la “i” tonica. Ho inserito queste liste perché non c’è modo di ricavare la relativa informazione dalI’infinito del verbo. Poiché, lo ricordo, tutti gli elenchi del libro sono completi, relativamente al corpus dello Zingarelli e considerando le esclusioni di verbi arcaici eccetera, in entrambi i casi l’assenza di un verbo dall’elenco implica la sua appartenenza all’insieme complementare: per esempio “pulire”, che non è riportato a pagina 20, farà “pulisco”, con “-isc-“, e “studiare”, che non è riportato a pagina 17, farà “studio” con accento su “u”.

Altro?
Sì. Seguono i modelli di coniugazione dei tempi composti, dei verbi pronominali come “pentirsi”della forma passiva, per la quale viene riportato anche il tipo con l’ausiliare “venire” oltre a quello con “essere”e della forma progressiva.

Direi che ci avviamo a concludere. 
Non ancora.

Che resta?
Una questione di primaria importanza e problematicità riguardante la costruzione dei tempi composti che ancora non abbiamo sfiorato.

L’ausiliare. 
Appunto. “Avere” o “essere”?

Perenne e ponderoso interrogativo.
Che il libro affronta in due modi: centralizzando e generalizzando la parte dell’informazione catalogabile in regole valide universalmente e dislocando il resto a livello di comportamento locale dei singoli verbi.

Non essere oscuro.
È possibile per esempio formulare una regola generale riguardante il pronome riflessivo.

Ossia?
Tutte le volte che il verbo, qualunque esso sia, include o è accompagnato da un pronome riflessivo atono, cioè “mi”, “ti”, “ci”, “vi”, “si”, l’ausiliare è “essere”. Qualunque sia il valore e la funzione del pronome riflessivo. Così abbiamo, per esempio, “mi sono lavato”, “ci siamo telefonati”, “si è vergognato” eccetera. In tal modo non è più necessario elencare, per esempio, i verbi pronominali, come “pentirsi”, “vergognarsi”, “alzarsi”, tra i verbi che prendono “essere”.

Altre regole generali di applicazione universale?
Quelle relative ai verbi usati transitivamente, al pronome “si” indefinito, ai modali (“potere”, ecc.) e agli aspettuali (“cominciare”, ecc.) seguiti da infinito. Tutto questo alle pagine 94-96.

E il resto?
Il resto confluisce nell'”Elenco dei verbi che costruiscono i tempi composti con l’ausiliare essere”Elenco, come gli altri del libro, completo, con le solite avvertenze.

E strutturato in che modo?
I verbi che prendono sempre e indistintamente “essere”, come “andare” o “restare”vengono semplicemente elencati senza alcuna indicazione.

E va da sé che i verbi che non compaiono nell’Elenco prendono “avere”.
Chiaro. I verbi poi che prendono “essere” o “avere” in modo praticamente intercambiabile, cioè senza variazioni di senso, come “confluire” o “convivere”, vengono riportati con l’indicazione di entrambi gli ausiliari e l’eventuale specificazione di quale dei due ricorre più frequentemente, come “avere” per “convivere”. Per i verbi infine che prendono “essere” o “avere” ma in accezioni diverse vengono specificate le differenze d’uso e riportati degli esempi.

Citami un caso tra questi ultimi.
Ecco qui. “Aumentare”. L’indicazione è che, quando è intransitivo, o in altre parole quando significa “diventare più grande o più numeroso”, prende “essere”. Gli esempi sono: “Il prezzo della benzina è aumentato” e “Sono aumentati i problemi”. Quando invece è transitivo, o in altri termini quando significa “far diventare più grande o più numeroso”, prende “avere”. Gli esempi: “Il governo ha aumentato il prezzo della benzina” e “La vostra decisione ha aumentato i problemi”. Il comportamento di altri verbi è più complesso.

Tipo?
Prendiamo “convenire”. Ha varie accezioni. Prende “essere” quando è intransitivo e significa “essere utile o appropriato”, “Mi è convenuto fare così” e “Sarebbe convenuto andarci di persona”, o “venire da punti diversi in uno stesso luogo”, “I partecipanti sono convenuti da tutta l’Italia”. Prende “avere” quando è intransitivo e significa “essere d’accordo”, “Tutti hanno convenuto circa l’opportunità di questa soluzione”, e ovviamente quando è transitivo, “Hanno convenuto uno stanziamento di due miliardi per l’agricoltura”.

Convengo che hai lavorato sodo, sull’ausiliare.
Più di quanto immagini. Per almeno due motivi: l’instabilità della norma e la mancanza di approfonditi studi scientifico-sistematici.

Instabilità? Ma negli esempi che hai citato mi pare che chiunque sarebbe d’accordo.
Ma quelli erano casi tutto sommato non problematici. Sta di fatto che, tra i temi affrontati in questo libro, la distribuzione degli ausiliari “essere” e “avere” nei tempi composti è quello in cui, al di là dei pur molti casi di uniformità di comportamento e pieno accordo, si registrano le più numerose e maggiori divergenze nell’uso e nei giudizi dei parlanti nativi. Nelle quali io mi sono spesso imbattuto nella raccolta di campioni di produzione spontanea e nei test sui gradi di accettabilità delle varie soluzioni possibili.

E che hai fatto in situazioni del genere?
Ho cercato di adottare un atteggiamento descrittivo anziché prescrittivo rendendo conto di tutti gli usi da me registrati e limitandomi ad assegnare, nel caso, indici di maggiore o minore frequenza ad “essere” rispetto ad “avere” o viceversa. E indicando all’apprendente straniero, che pur di qualche indicazione orientativa necessita, la soluzione più frequente come quella preferenziale.

E la mancanza di studi scientifici cui facevi riferimento?
Si tratta naturalmente non di una mancanza in senso assoluto. Esistono pregevoli monografie su questo o quell’aspetto dell’uso dell’ausiliare, ma mancano attendibili approfondimenti complessivi e sistematici dell’argomento. I dizionari poi che contengono indicazioni al riguardo per i singoli verbi non solo sono spesso in contrasto l’uno con l’altro ma a volte risultano addirittura incoerenti al proprio interno.

E allora arrivi tu a mettere le cose a posto.
Provocazione per provocazione: e allora arrivo io a mostrare, attraverso la mia presunzione ma anche attraverso i miei errori e le mie inadempienze, che le cose meritano molta maggiore attenzione e umiltà per essere messe a posto. O per decidere che, per quanto si faccia, non possono essere messe a posto. Se non tendenzialmente e provvisoriamente.

Stiamo slittando sul pensoso-filosofico. È proprio ora di chiudere. C’è ancora una informazione che ti preme dare?
Una o due. La presenza di una “Appendice” che chiarisce il senso dei termini grammaticali impiegati nel testo e svolge anche altre funzioni.

E la seconda informazione?
Che il libro termina con una sorpresa. Ma non la rivelo.

Buona mossa pubblicitaria, in sottofinale. E ora voglio risposte brevi e sincere. Per chi hai fatto questo libro?
Ufficialmente per studenti di italiano come lingua straniera e per utenti non specialisti ai vari livelli di competenza linguistica e anche, spero, per operatori didattici e per ricercatori.

E ufficiosamente?
Per me.

Perché?
Perché mi divertiva e mi seduceva farlo e perché prevedevo che mi divertisse e mi seducesse l’averlo fatto.

Dammi un giudizio spassionato e il più possibile obiettivo su questo tuo lavoro.
So darne soltanto di appassionati e partigiani.

E allora dammene qualcuno del genere.
E che altro ho fatto per tutta l’intervista?