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L’insegnante autenticamente comunicativo non dovrebbe subordinarsi ad un programma

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La soddisfazione degli studenti ha molto a che vedere con l’aver ricevuto ciò di cui hanno veramente bisogno. E queste loro esigenze non stanno scritte su un programma, ma si intuiscono dalle loro reazioni di interesse, noia, difficoltà, frustrazione, sfida gradita, appiattimento o gratitudine, minuto dopo minuto, attività dopo attività, lezione dopo lezione.

Si sa, il 99% delle scuole di lingua stila un programma, nel migliore dei casi di massima, al quale l’insegnante dovrebbe attenersi, un programma che spesso è preminentemente grammaticale, e a volte anche inverosimilmente dettagliato per il livello a cui si riferisce. La scuola lo fa con buone intenzioni: per dare un aiuto all’insegnante, per risultare affidabile agli occhi degli studenti, per rendere fluido il passaggio di una classe da un insegnante all’altro. E ovviamente anche per armonizzarsi con i libri di testo, peraltro scelti in totale autonomia; libri di testo che a loro volta sono redatti accordandosi a certi stereotipi di progressione linguistica del tutto arbitrari (faccio un esempio: l’enfasi francamente eccessiva sulle preposizioni di luogo in/a/da, che caratterizza molto spesso i manuali per livelli principianti).

Un insegnante autenticamente comunicativo dovrebbe evitare in tutti i modi di subordinarsi ad un programma. Non per una ribellione fine a se stessa, ma perché è cosciente della parzialità del programma stesso rispetto all’immensa ampiezza, alla non-linearità, e all’imprevedibilità del processo di apprendimento. Dovrebbe limitarsi a offrire esperienze linguistiche che rispecchiano le vicende comunicative tipiche di un certo livello, curando i due canali scritto e orale, la ricezione e la produzione, e le modalità globali e analitiche. Dopodiché, dovrebbe rilassarsi nel loro alternarsi ciclico, confidando pienamente nella loro capacità di favorire un apprendimento sano, verace, affidabile.

Allo stesso modo, non credo sia una buona pratica considerare il livello nominale di una classe come necessariamente corrispondente al livello reale degli studenti che la compongono. Sarebbe un atto di de-responsabilizzazione dell’insegnante, che invece è chiamato a calibrare il livello di sfida delle attività sulle capacità reali – e in costante movimento – dei propri studenti.

Insomma, quindi invito allo scontro totale con l’istituzione per la quale si lavora? No. Perché il conflitto aspro è sempre sinonimo di incomprensione, toglie energie fondamentali e raramente favorisce un miglioramento futuro della situazione. Un insegnante consapevole non tanto rifiuta il programma o il livello nominale della classe, quanto piuttosto li trascende, cosciente che la propria pratica didattica permetterà agli studenti di progredire molto di più (e non molto di meno!) rispetto ad una pratica didattica insensibile, automatica, disconnessa dalla realtà umana sulla quale opera, e orientata solo al soddisfacimento di obblighi formali.

*facebook: “Verso l’insegnante autenticamente comunicativo / Federico Madeddu Giuntoli”