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Insegnare e/o educare

Idee per obiettivi spregiudicati

Parte prima: insegnare

Ripenso a me qualche anno fa di fronte ad un computer. Oggetto pieno, oggetto misterioso. Mi era già successo con l’automobile, con la macchina fotografica, con la chitarra, con il telefono, con la bicicletta, con la radio, con le scarpe, con il cucchiaino, con la voce, … oggetti pieni, oggetti misteriosi.

  • Oggetti pieni: di uso, di piacere, di futuro, di allargamento del mondo, di possesso dello strumento, di consenso,…
  • Oggetti misteriosi: come il monolito di “2001, Odissea nello spazio”; non solamente sconosciuti, perché lo sconosciuto si ferma a sé, non entra nel mio mondo o ci entra se io lo desidero. Ma misteriosi perché è già nel mio mondo anche se fino a questo momento non me ne ero reso conto.

Se un oggetto per me è pieno e misterioso, è attraente e tendo a lui.

Gli elementi di questa affermazione:

  • Un oggetto: si presuppone che i sensori ora in uso a quello che definiamo “essere umano” lo portino a distinguere, per separazione, fuori e dentro ai confini del corpo fisico, oggetti; questi possono essere considerati materiali o astratti, presenti o assenti, … Non viene praticamente ritenuta significativa la differenza tra persona e persona dei segnali dei sensori e dell’interpretazione relativa dei segnali: sapore di mela, odore di mare, risa di bambini, rosso come un peperone, morbido al tatto, sentirsi stanchi, avere fame,…ne sono gli esempi.
  • Me: si presuppone che per la distinguibilità tra gli oggetti, ce ne sia uno e solo uno che definisco me o io; oltre alla distinguibilità, qui si presenta la differenza: per me significa non per te, non per lui, non per lei, non per gli altri. Non si ha quindi un assoluto. Al massimo si arriva ad una contrattazione tra relativi per tendere più o meno stabilmente verso qualcosa.
  • Attraente: l’attrazione è il meccanismo che tende a riportare a livello zero le discrepanze. Riferito agli esseri umani, si presuppone che siano incompleti, mancanti di qualcosa e che quindi costantemente si creino discrepanze di intensità differenti in presenza di diversi oggetti. L’attrazione non è che la tendenza verso un nuovo equilibrio. Da futuro pericoloso in quanto mancante di …,a futuro pacificato e creatore lui stesso di altro futuro. Il possesso è, da questo punto di vista, la garanzia senza verifica del futuro; da qui, a titolo di esempio, quella che è chiamata cleptomania.

 

Se per me un oggetto è attraente, inizia la tendenza. La tendenza comprende la ricerca dell’oggetto e la ricerca sull’oggetto.

La ricerca dell’oggetto si pratica attraverso i sensori e l’ideazione che crea il progetto, il “ponte” tra me e l’oggetto.

 

• A1 è l’ambiente di partenza;• il “ponte”: sono le ideazioni che compongono il progetto;

• A2 è l’ambiente d’arrivo, se si praticasse quel certo “ponte;

• le “conseguenze” sono il futuro che ne deriverebbe.

Nel caso in cui le conseguenze del futuro ideato siano considerate desiderabili, sulla base di giudizi relativi, si libera l’energia dell’attenzione detta attrazione.

È il livello di attrazione che fa varcare il ponte o meno. La ricerca sull’oggetto comprende: la trasduzione dell’oggetto da parte dei sensori del corpo fisico; la progressione dei segnali fino a Giasone (per Giasone si intende la struttura cerebrale + le risonanze ed i flussi che si verificano in questo luogo); l’immissione dei segnali nei flussi di Giasone. A questo punto i segnali trovano o meno corrispondenza. Nel caso di mancata corrispondenza si passa da una modalità automatica ad una di maggior attenzione, di maggior energia perché a questo punto è necessario creare nuovi elementi dei flussi, nuove connessioni, nuovi … per nuovi significati.

Questo processo richiede tempo ed energia, alcune volte molto tempo e molta energia. Se ogni persona dovesse cominciare tutto da capo ogni volta con ogni oggetto, il panorama intorno e noi stessi saremmo molto diversi. Ma vicino a noi dal primo momento c’è qualcuno che può non farci ricominciare dall’inizio e si adopera per un corso accelerato di evoluzione. In pochissimo tempo siamo in grado di arrivare ad abilità che si sono formate in tempi enormi, ai nostri occhi. Grazie alla ricostruzione ideativa dell’ambiente e dei movimenti dei miei simili nell’ambiente, aumentano le mie abilità e con queste aumenta il mio mondo. Un esempio: se arrivo per la prima volta in un paese e voglio comprare del pane, posso decidere di cominciare a girare per il paese o posso domandare alla prima persona che incontro. Ambedue sono soluzioni efficaci; dipende dalla disponibilità di tempo e di energia. Altro esempio: se voglio cominciare ad usare il computer posso cominciare a pigiare qualche bottone o posso chiedere istruzioni a qualcuno. È questione di tempo e di energia ma il risultato è sempre il rapporto sopra descritto con l’oggetto.

Se la scelta è verso l’economia evolutiva si ha questa situazione di base: una persona (che chiamiamo “A”) che ha una certa esperienza di una certa cosa e un’altra (che chiamiamo “B”) che non ha quell’esperienza. A questo punto:

  1. B deve avere attrazione per quella certa esperienza. Dell’attrazione si è già accennato sopra;
  2. B deve attribuire ad A la competenza specifica derivante dall’esperienza attraente; la competenza è ovviamente sempre relativa ma è terreno d’innesco per le scale di autorevolezza (vedi “Un erore di sbalio”, Atti del Seminario internazionale per insegnanti di lingua, Edizioni Dilit, 1997) per cui A prende il nome di maestro, esperto, professore, … con la conseguente soggezione di B;
  3. La soggezione fa puntare l’attenzione sulla posizione supposta di A sulla scala supposta dell’autorevolezza; da conoscitore o competente diventa autorevole. Di conseguenza la sua competenza non è più relativa e soggetta a verifiche. I millantatori, i superficiali, i vanagloriosi, gli imbecilli hanno trovato brodo di coltura;
  4. B deve scegliere A invece di altri per una trasmissione efficacie: questo punto non è toccato se si entra nel meccanismo delle scale di autorevolezza e si rimane così a livello di qualche tipo di trasmissione; è invece fondamentale che si arrivi all’efficacia per avere il ritorno all’equilibrio, al punto zero. Non è assolutamente garantito che il primo A che capita sia in grado di trasmettere efficacemente a quel B;
  5. A per qualche motivo deve avere con B la possibilità di tendere a suoi equilibri relativi. Vale a dire che quello che B cerca in A, A cercherà in B;
  6. Il tipo di biunivocità intenzionale e l’efficacia della trasmissione sono i segnalatori delle controindicazioni nel rapporto tra A e B.

Secondo questi cinque principi di base, “insegnare” ha caratteristiche molto differenti rispetto a quello che viene comunemente inteso. Ma cosa è comunemente inteso?

Anche nel caso dell’insegnamento la comune definizione è una definizione comune cioè ognuno crede di sapere cosa significa, nessuno “sa” cosa significa. È un ennesimo esempio della “tecnica del bacioperugina” (vedi gli atti già menzionati). Ma secondo quale meccanismo tutti hanno la certezza di sapere cos’è?

Le etichette: le parole “insegnare”, “insegnamento”, “insegnante” si muovono nei flussi di Giasone sotto forma di etichette poste a volti, esperienze, ambienti, … ed è tutto questo, tutto il nebuloso insieme, che emerge al suono di quelle parole. Tutto questo materiale si è acceso, a quella parola quindi è quella parola. Ma se ci fosse l’opportunità di andare a vedere cosa è emerso in ognuno, noteremmo volti, esperienze, ambienti,… completamente diversi e molte volte in contraddizione tra loro. Eppure l’etichetta è la stessa.

L’etichetta emerge le registrazioni in Giasone e le registrazioni saranno quelle selezionate dagli ambienti della storia personale. Sono solo registrazioni ma se a queste applichiamo il “tifo” e le viviamo come reali e assolute diventeranno la definizione per antonomasia, la definizione acritica. Ma solo un lavoro di osservazione, smontaggio, revisione, ripulitura, modificazione ed aggiornamento dell’emerso ci darà una idea personale dell’argomento, che si evolverà per successivi aggiornamenti.

Un buon inizio è dato dalle domande: “Sono d’accordo con l’idea che ho nei riguardi dell’insegnamento?; Cosa significa insegnare?; Qual è il fine dell’insegnamento?”. Domande d’obbligo per chi si appresta ad insegnare e nello stesso tempo domande che immagino non si sia mai rivolto nessuno fino ad ora.

Per concludere

A, nel caso dell’insegnare, ha come fine la trasmissione volta al risparmio di tempo e di energia di B. Ogni altro fine è da considerarsi come controindicazione. Quindi la preparazione di A, la programmazione delle attività, i luoghi ed i tempi dell’insegnare, … tenderanno all’economia evolutiva di B.

Parte seconda: educare

Insegnare ed educare sono comunemente considerati come sinonimi o per lo meno come facenti parte di uno stesso argomento. Verifichiamo: l’obiettivo dell’insegnare è la trasmissione da A (il cosiddetto insegnante) a B (il cosiddetto studente), nei modi ed nei principi di cui si è trattato nella parte precedente. Nel caso dell’educare è possibile che all’obbiettivo si arrivi passando attraverso tutti e cinque i principi dell’insegnare come è possibile che sia rispettato solo il quarto, quello relativo alla disponibilità di A. Ciò sta a significare che educare poggia le sue basi quindi su qualcosa d’altro. Già la semplice analisi etimologica dice che insegnare (in + signum) è mettere dentro all’altro un segno, mentre educare (ex + ducere) è tirar fuori dall’altro. Visti così, non solo non sono sinonimi ma sembrano addirittura opposti. Più semplicemente sono diversi.

Ricominciamo da capo con le prime righe dell'”Insegnare”:

“Ripenso a me qualche anno fa di fronte ad un computer. Oggetto pieno, oggetto misterioso. Mi era già successo con l’automobile, con la macchina fotografica, con la chitarra, con il telefono, con la bicicletta, con la radio, con le scarpe, con il cucchiaino, con la voce,… oggetti pieni, oggetti misteriosi”.

Questi oggetti oggi non sono più misteriosi pur essendo più o meno gli stessi di allora, quindi il mistero non era proveniente dall’oggetto. È la destrezza sull’oggetto, concreto o meno, che fa la differenza cioè l’abilità che si è consolidata fino a diventare automatismo: il corpo si muove e guida la macchina, compone i numeri di telefono, emette suoni, afferra, manipola, sposta e si sposta, risponde con proprietà, formula ipotesi,… il tutto in modo che viene definito articolato e coordinato. Ha acquisito le destrezze per farlo e lo fa automaticamente, al di là del campo dell’attenzione e dell’intenzione. Anche qui si sta parlando, come già per l’insegnare, di economia di tempo e di energia: le destrezze ormai automatiche portano verso nuove destrezze senza dover ripercorrere ogni volta la strada che conduce alle prime.

Questa esperienza è di tutti. Tutti noi stiamo al mondo e nel mondo grazie alle destrezze acquisite. Diventa fondamentale a questo punto andare a vedere da dove arrivano, di cosa sono fatte, come si formano le destrezze.

A titolo di esempio consideriamone una: l’andatura a due gambe. Si dice sia il passaggio dai primati agli ominidi e sia iniziata almeno quattro milioni di anni fa. Continua tutt’oggi e comincia a manifestarsi negli esseri umani di circa un anno di età dopo qualche settimana di prove. Dopo poco è usata in modo automatico per andare più speditamente alla scoperta del mondo. In seguito, è così “naturale” la sua utilizzazione che praticamente nessuno si domanda quanti e quali muscoli, tendini, nervi, ossa, … sono implicati o in quale modo si ottenga e conservi l’equilibrio nella deambulazione o quale meccanismo la inneschi. È “semplicemente” il supporto per le attività quotidiane. Questa è una destrezza.

Una destrezza si origina dall’utilizzo delle risorse. Le risorse nel caso dell’andatura a due gambe, che differenziano l’essere umano da altri esseri, sono: la forma della colonna vertebrale, della cintura pelvica e dei femori.

Un altro esempio: per scrivere e disegnare può essere usata la mano destra o la mano sinistra ma c’è chi non avendo le mani usa i piedi o la bocca in quanto risorse come lo sono le mani. Le mani sono solo la risorsa più comune per questo scopo e non l’unica per sviluppare l’abilità dello scrivere, del disegnare o del suonare o del digitare su una tastiera o altro. L’applicazione della morale porta a giudizi pietistici e discriminatori.

Le risorse quindi sono relative al corpo fisico: le sue caratteristiche “tecniche” ed il loro utilizzo mirato sono le risorse che ha a disposizione un essere.Per quanto riguarda l’essere umano:

  1. le risorse sono innumerevoli;
  2. le destrezze conseguenti hanno progressione geometrica;
  3. tutti gli esseri umani utilizzano in numero limitato ed in modo circoscritto le risorse;
  4. il giudizio sul loro disuso e sulla loro pratica circoscritta porta all’idea che le risorse siano limitate;
  5. questo travisamento è alla base di ciò che viene definito “idea di sé” e di conseguenza dell'”idea dell’altro”;
  6. la conoscenza e la coscienza delle risorse si ottiene con il dissolvimento del travisamento di cui sopra;
  7. il dissolvimento del travisamento si concretizza attraverso la pratica dell’intuizione, della creatività, dell’intento, della modificazione strategica e mirata e della osservazione non “tifosa”;
  8. perché questo dissolvimento possa iniziare e progredire, le pratiche del punto precedente devono avere come base la spregiudicatezza cioè devono essere libere da pregiudizi e preconcetti;
  9. i pregiudizi ed i preconcetti sono controindicazioni per il dissolvimento del fraintendimento dei punti precedenti dato che circoscrivono le risorse e le conseguenti destrezze all’utilizzo conosciuto e comune;
  10. seguendo questo percorso si opera per la conoscenza e la coscienza delle risorse;
  11. conoscendo e praticando spregiudicatamente le risorse si moltiplicano le destrezze che diventando automatiche portano ad altre destrezze;
  12. questo fa si che si modifichi, ampliandosi, la cosiddetta “idea di sé” e quindi l'”idea dell’altro”.

 

Ritornando all’etimologia di “educare” = ex ducere, ora si sa cosa far uscire da noi e dall’altro: LE RISORSE.

EDUCARE è agevolare la mobilitazione di risorse, strategicamente e spregiudicatamente verso nuove destrezze, avendone la conoscenza e la coscienza.

L’azione di chi educa si diversifica in base al tipo di destrezze ed all’idea di sé” dell’altro. Questi ultimi due elementi rappresentano le variabili del tempo necessario all’acquisizione.

Il successo o meno è dato dal raggiungimento del “punto di non ritorno” da parte di B. Si è raggiunto questo punto quando non si può “disimparare” ad esempio a mangiare con la forchetta, a fischiare, ad andare in bicicletta, a guidare la macchina, a usare il computer, a parlare una lingua,… . Attraverso le risorse, le abilità così sono acquisite ed entrano nel repertorio automatico per andare verso nuove destrezze.

Inoltre chi educa deve conoscere la dinamica dell’acquisizione:

  • X è il tempo che precede l’evento;
  • Y è l’intervallo entro il quale B può tornare al momento X sentendo al massimo una vaga “nostalgia” del nuovo;
  • W è l’intervallo “critico”: si sta modificando il mondo di B dopo l’introduzione del nuovo; in ogni momento di W è possibile il ritorno a X. Il ritorno non è indolore: crea colpe e sensi di colpa che rendono solitamente irreversibile il percorso;
  • Z rappresenta l’intervallo in cui si ha l’acquisizione. Questo è il momento di “non ritorno” dopo il quale niente è più uguale a prima e non è possibile “disimparare” quella destrezza.

Un discorso a parte merita W, il “periodo critico”. La sua dinamica interna è di questo tipo:

L’asse “a” rappresenta il tempo, l’asse “b” l’evoluzione della destrezza e il conseguente grado di acquisizione.

Si notano tratti più o meno verticali e tratti più o meno orizzontali. Questi ultimi sono di particolare interesse per l’educatore A, in quanto ognuno racchiude “difficoltà” di vario genere da parte di B. Ogni “difficoltà” ritenuta tale da B emerge la nostalgia per l’equilibrio precedente e la tendenza al suo ripristino, cioè il ritorno ad X. L’azione di A dovrà essere, qui più che in altri momenti, oculata e strategica.

Il tempo necessario all’acquisizione è dato da: Y + W + 1, che equivale all’intervallo tra X e l’inizio di Z. Questa è la condizione per il successo sia di A che di B. È sufficiente la condizione Y + W – 1 per avere l’insuccesso, relativamente a quella certa destrezza, di entrambe.

Il processo di acquisizione delle destrezze può essere reso visivamente così:

 

L’area di mobilitazione delle risorse e della formazione delle destrezze è il luogo dove praticare spregiudicatamente e strategicamente le attività del programma educativo sapendo ora qualcosa di più su cosa significhi educare.