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Contesto o non contesto?

Una cara collega inglese mi ha dato un testo (estratto da Your Memory: A User’s Guide di Alan Baddeley ed. Macmillan) chiedendomi di leggerlo per poi discuterlo insieme.

L’ho letto la sera, prima di coricarmi, ma non ho capito e ho pensato che sarebbe stato meglio tradurlo in italiano. Dopo un paio di giorni, infatti, con l’aiuto della stessa collega ho tirato fuori un “testo” in italiano, più o meno così:

“Il procedimento da seguire è abbastanza semplice, purché vengano rispettate alcune regole indispensabili. Prima di tutto è necessario organizzare le cose formando vari mucchi, in funzione delle differenze esistenti. La suddivisione che all’inizio può sembrare un po’ complicata e noiosa, diventa automatica con conseguente risparmio di tempo e denaro. La cosa migliore è quella di sistemare i vari mucchi in un posto appropriato in modo da evitare successivi rimescolamenti. Ogniqualvolta un gruppo raggiunge il giusto peso o una certa consistenza va trattato separatamente dagli altri. La separazione è indispensabile perché quasi sempre ci sono tali incompatibilità tra i gruppi che trattandoli tutti insieme si rischia di provocare danni irreparabili e spesso anche molto costosi”.Ma il bello era che ancora continuavo a non capire e la collega divertita mi ha invitato a leggerlo nuovamente con attenzione.

Ma dopo un paio di letture, non so bene se disinteressato o annoiato, e comunque un po’ frustrato ho messo da parte questo “testo”.

Due giorni dopo…

Un paio di giorni dopo, mentre stavo per fare il bucato in lavatrice, all’improvviso si è accesa la lampadina, non sulla lavatrice, ma quella sulla parte frontale dell’emisfero destro settore “comprensione”.

Sono andato a prendere il “testo”, l’ho riletto e finalmente sono riuscito a comprenderne il senso. Ho telefonato alla collega inglese, che, dopo aver confermato la mia intuizione, mi ha ricordato un vecchio discorso rimasto in sospeso. Infatti, è un “testo” che spesso sottopone ai suoi Trainees (essendo lei un formatrice di insegnanti), per dimostrare che estremamente difficile capirlo fuori dal relativo contesto.

Prova con gli studenti

Ho deciso allora di fare una prova con una mia classe di studenti di livello avanzato (avvisando gli stessi che avrebbero svolto un’attività sperimentale). Ho sottoposto il “brano” agli studenti, i quali dopo averlo letto, mi hanno guardato e si sono guardati attoniti con un bel punto interrogativo stampato sulla faccia. Qualcuno mi ha chiesto: “Ma cosa dobbiamo fare?”. “Beh! – ho risposto – Dovete semplicemente parlare di ciò che avete letto”. “Ma io non sono riuscito a capire questo brano!”, ha affermato subito uno studente, e poi un altro “Anch’io”.

Li ho invitati a rileggere, ma il punto interrogativo sul loro viso, dopo la rilettura, non era ancora scomparso. Allora, a quel punto, ho scritto alla lavagna la parola “bucato”. Gli studenti, tra di loro: “Dal verbo bucare?”, “…. ha un buco? …… ha bucato? ….. è bucato?…… ha fatto una buca? …. ha dato buca ? … “. Per aiutarli, ho messo l’articolo davanti alla parola e dopo un po’ qualcuno ha detto: “Per me è un coso pieno di buchi!”. “… Ah, sì! Certo, forse, cola…. cola….. colabrodo! – ha aggiunto un altro. “… O colapasta!”, un altro ancora. “Sì, va bene. Ma che danni costosi si possono fare con un colapasta?”.

Siccome “il buco” stava diventando un “buco nero”, allora ho deciso di intervenire: “Prima che il ‘buco’ diventi un’idea fissa, voglio dirvi che non è quella la parola a cui dovete pensare”. Gli studenti erano più sconcertati di prima, e a pensare che io volevo aiutarli. Allora ho scritto sulla lavagna “fare il bucato”. E finalmente, dopo vari mormorii, il solito genio: “Sbaglio o significa lavare i panni?”. Mi ha strappato un sorriso ed un cenno di assenso, e fortunatamente non mi ha chiesto la relazione tra “lavare i panni” e “fare il bucato” (poi ho saputo che si tratta di un prestito linguistico dal tedesco). Da quel momento in poi, una ad una si sono accese tutte le lampadine in ogni testa, come quando si accendono le luci delle case di una città che si sveglia in una mattina d’inverno.

Testo troppo costruito?

Un collega dopo aver letto il “testo”, mi ha detto che, a lui sembrava troppo costruito o adeguatamente adattato dall’autore per i suoi scopi.

Sono d’accordo con il mio collega ma pochi giorni dopo, guardando una vetrina in via Sistina a Roma, ho letto un annuncio così scritto:

Prendiamo in considerazione tutti i Paesi, pur avendo una certa preferenza per il mercato orientale, anche se la produzione è scarsa, ad eccezione del Giappone, e quindi c’è un ricambio molto lento. Non faremo questioni sul prezzo né sulle modalità di pagamento, ma sinceramente preferiremmo lo scambio diretto (mettendoci d’accordo sulle equivalenze e sulle valutazioni di mercato e personali).Per me era molto chiaro perché io potevo vedere il resto della vetrina e quindi sapere a cosa si riferiva. Ma mi chiedevo quanto sarebbe stato comprensibile tale “messaggio” fuori dal quel contesto. Allora l’ho trascritto e fatto leggere ad alcuni colleghi, i quali mi hanno risposto che si trattava di una attività commerciale non molto chiara e non ben definita. Ma come ho pronunciato la parola “francobolli” tutto è diventato ovvio. Ma non è tutto qui, perché mentre effettuavo delle registrazioni alla radio, ad un certo momento ho registrato il seguente brano:

… Non sto dicendo niente di nuovo e di particolarmente difficile. Si può fare in casa, come tutti sanno, ma conoscendo un buon posto tranquillo, è sicuramente meglio all’aperto. Si può fare da soli, ma con un partner, magari più esperto, è l’ideale, ma non necessariamente sempre lo stesso. Si può fare in tutti gli orari. Di modi e metodi ce ne sono tanti sotto vari nomi. Esiste oggi una tale bibliografia sull’argomento da sbizzarrirsi, sia occidentale che orientale (sempre la migliore). Anzi è consigliabile un buon libro sull’argomento, anche per evitare posizioni e sforzi pericolosi, specialmente ad una certa età. Il tempo che si può dedicare è molto soggettivo, ma l’importante è di non esagerare.Un’altra prova

Ho sottoposto questo testo (scritto) ad alcuni studenti di un livello avanzato, dividendo gli studenti in due gruppi e chiedendo a loro di dare più interpretazioni possibili. Ebbene, si è parlato di “pregare” (era un prete), ma gli altri non erano d’accordo che fare le genuflessioni o piegarsi verso la Mecca fossero sforzi pericolosi. Invece qualcuno, anzi più di qualcuno, ha osato suggerire che probabilmente si parlava di “sesso”, ma trovare un posto bello e tranquillo a Roma non è poi tanto facile.

Comunque, è prevalsa la tesi della “ginnastica” e solo uno su quattordici ha supposto che si parlasse di “yoga”.

Come gioco è stato anche divertente, forse a causa dell’argomento un po’ equivoco, ma non sempre è così. Anzi, molto spesso un testo difficile, dove non c’è un contesto o non è ben definita la situazione, crea negli studenti un senso di sfiducia nelle proprie possibilità ed una certa frustrazione. Troppo spesso alcuni colleghi si preoccupano giustamente di trovare un “testo” che consenta di svolgere una certa attività e quindi che sia funzionale per quel tipo di attività e magari che sia anche abbastanza interessante da coinvolgere gli studenti, dimenticando però quelle che sono le capacità di ogni studente di selezionare e comprendere qualsiasi genere di informazioni.

Conclusione

In conclusione vorrei semplicemente dire che dobbiamo mettere gli studenti in condizione di lavorare e soprattutto di lavorare bene fornendo loro tutti gli elementi necessari per farlo, senza dare a loro suggerimenti o aiuti superflui. Tra l’altro mi sembra interessante dover aggiungere che l’autore sopra citato nel suo libro Your Memory sostiene che è veramente difficile memorizzare un testo in mancanza del relativo contesto.

E allora? Allora, alla domanda posta nel titolo di questo articolo rispondo: “Contesto!”. Che cosa? Semplicemente, scusandomi per la cacofonia, contesto un “testo” senza “contesto”.