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Analisi della differenza e possibili punti di raccordo tra il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e Verso l’italiano

Premessa

Prima di iniziare a mettere a confronto il Quadro Comune europeo con Verso l’italiano, vorrei sottolineare la loro reciproca valenza per noi insegnanti di lingua, in quanto entrambi hanno documentato l’itinerario seguito dagli apprendenti quando imparano una lingua. La necessità di conoscere e approfondire le modalità dell’apprendimento devono, a mio avviso, condizionare sempre più l’insegnamento, e i sistemi formativi hanno il dovere di adeguarsi alle nuove conoscenze a tal riguardo e cercare di proporre strumenti sempre più efficaci, per il raggiungimento di esiti soddisfacenti nell’apprendimento linguistico.

Entriamo ora nel merito dell’analisi  partendo dalle differenze.

L’approccio

Il Quadro comune adotta “un approccio orientato all’azione”[1] sottolineando che le persone che usano e apprendono una lingua sono da considerare ‘attori sociali ‘. In quest’ottica, chi impara  una lingua deve imparare ad osservare se stesso, la propria cultura e allo stesso tempo la cultura a cui si sta aprendo. Lo sviluppo dello studente quindi è finalizzato non solo all’apprendimento educativo, ma a quello della persona a 360°. Ed è proprio la dimensione sociale della lingua che porta l’apprendente a diventare più competente rispetto a quegli elementi che indicano i rapporti sociali, le differenze di registro, le varietà linguistiche. Ciò significa che gli individui, in quanto membri di una società, svolgono determinati compiti in un contesto sociale e per fare ciò mettono in atto le proprie competenze.

Il Quadro mette e fuoco quali sono tali competenze suddividendole nel sapere, saper fare, saper essere e nella capacità di apprendere. In maniera, secondo me, trasparente e esaustiva vengono descritti i diversi saperi e quanto siano essenziali nell’apprendimento di una lingua.

Come insegnante ritengo assolutamente prioritario tenere presente queste variabili, soprattutto quando ci si trova a dover fare una valutazione dello studente. È quindi auspicabile che si osservi l’apprendente nello sviluppo delle sue competenze e quanto egli sia in grado di metterle in gioco per procedere nel raggiungimento dei suoi obiettivi.

Anche Verso l’italiano prende in visione, in maniera assolutamente scientifica, i processi e gli sviluppi dell’acquisizione della L1 e della L2 partendo però da modelli linguistici funzionali, ovvero quei modelli secondo i quali “la funzione guida e determina, almeno in parte la forma”[2]. Con questa visione funzionale, i progetti di ricerca sull’acquisizione delle lingue, proposti in Verso l’italiano, si sono concentrati sul collegamento tra le nozioni grammaticali e l’uso della grammatica.

Tale nesso è il filo conduttore che Giacalone Ramat propone lungo tutta la sua analisi e afferma che “la graduale conquista della grammatica in una lingua seconda potrebbe essere meglio denominata “costruzione della grammatica”[3].

Le ricerche effettuate dall’Università di Pavia sono indagini di tipo qualitativo che hanno preso in osservazione il contesto linguistico e extralinguistico di un numero ristretto di apprendenti, immigrati arrivati in Italia con diverse motivazioni all’acquisizione dell’italiano, in un determinato periodo di tempo.

L’obiettivo è di raccogliere dati per fotografare il livello raggiunto su un compito specifico e da qui far scaturire delle ipotesi vagliabili successivamente con dati e studi analoghi.

Va senza dubbio riconosciuto che Verso l’italiano propone un’analisi meticolosa dell’acquisizione della L2, osservando i testi prodotti dall’apprendente, alla ricerca di una sequenza di apprendimento fondata su aspetti universali, quali gli universali tipologici, ovvero“generalizzazioni universali sulle  proprietà delle lingue umane da un lato e dall’altro invece il riconoscimento che il ritmo secondo cui tale sequenza procede più o meno velocemente, dipende dalla distanza tipologica tra la lingua di  partenza e quella d’arrivo”[4].

Quello che in questo saggio viene più volte sottolineato è che tutti gli apprendenti presi in esame, hanno avuto una forte esposizione all’italiano e che tale esposizione è avvenuta sostanzialmente in ambiente naturale.

Ed è proprio l’input ricevuto uno dei fattori decisivi nell’acquisizione della L2, anche se Giacalone Ramat si limita a sottolineare la sua importanza senza però entrare nel dettaglio sulla varietà e sulla qualità dell’input proposto agli apprendenti e nemmeno sull’input ricercato dagli stessi apprendenti che testimonierebbe non solo la loro motivazione più o meno alta, ma anche le loro strategie.

Si è molto più scettici sull’influsso normativo che i corsi di lingua seguiti dagli apprendenti, magari per brevi periodi, abbiano potuto dare al loro comportamento linguistico.

Su quest’ultimo punto il Quadro è meno critico rispetto a ciò che avviene in classe, infatti pur riconoscendo il valore essenziale dell’immersione in un ambiente naturale, rileva l’importanza di imparare ad imparare, il saper apprendere.

Questa competenza che se da un lato si esplicita nella capacità di osservare e partecipare a nuove esperienze e di integrare le nuove conoscenze con quelle esistenti, dall’altro “la capacità di apprendere una lingua si sviluppa con l’apprendimento stesso e mette l’apprendente in condizione di affrontare le difficoltà in modo più efficace e indipendente, di valutare le opzioni esistenti e di sfruttare meglio le componenti offerte”.[5]

Ed è qui che il Quadro mette in evidenza quanto sia importante per l’apprendente lo sviluppo di una serie di abilità che sono tra l’altro la maggiore consapevolezza dei punti di forza e di debolezza, il riconoscimento dei propri bisogni, la capacità di organizzare strategie.

Il tutto con e verso una maggiore autonomia dello studente.

Accanto a questa capacità generale, chi impara  e usa una lingua, mette in gioco le proprie competenze linguistiche, ovvero la competenza lessicale, grammaticale, semantica, fonologica, ortografica e ortoepica.

Ma a differenza di Verso l’italianoil Quadro dice di non avere la funzione di trattare  la grammatica della lingua in modo definitivo o esaustivo.

Il suo scopo è quello di spingere a specificare la teoria seguita indicando le conseguenze pratiche di questa scelta. Ma tale vaghezza metodologica è anche il punto debole del Quadro, secondo i linguisti acquisizionali.

Viene anche proposta una scala per la correttezza grammaticale, ma si sottolinea che “non ci è sembrato possibile elaborare una scala di progressione delle strutture grammaticali che sia applicabile a tutte le lingue”[6].

Il tipo testuale

Il materiale offerto dal gruppo di ricerca dell’Università di Pavia è in gran parte sotto forma di intervista, in cui la conversazione nasce da una serie di domande preparate dall’intervistatore. Ed è lui che regola lo scambio dei turni e quali temi affrontare. Questa struttura iniziale non è però rigida, infatti a volte l’apprendente può assumere  il ruolo del regista e gestire la conversazione contrattando continuamente i temi con il suo interlocutore.

Ciononostante Giacalone Ramat riconosce che quando i testi sono prodotti a partire da compiti strutturati, “questi compiti possono produrre un discorso poco naturale che non corrisponde a esigenze comunicative reali del parlante-apprendente in esame, e come tali possono non essere dei buoni esempi delle loro effettive abilità e competenze discorsive”[7].

E continua dicendo che “la conversazione libera del resto, se presenta gli svantaggi legati alla maggior imprevedibilità delle produzioni testuali cui dà luogo, consente spesso di mettere in luce fenomeni altrimenti non visibili, primi fra tutti quelli di tipo più pragmatico, come le effettive strategie di interazione nativo-non nativo, ma anche fenomeni più strettamente linguistici che si manifestano all’interno della turnazione”[8].

Il Quadro invece, tratta la difficile questione relativa alla natura del testo e al suo utilizzo didattico. Non si limita solo a un tipo, bensì analizza e classifica le varie tipologie testuali a seconda dei canali, degli scopi e delle funzioni ad essi attribuiti. Nel 6° capitolo pone una serie di domande a tal riguardo ed è proprio qui che emerge il concetto di ‘testo autentico’ e in che misura i testi orali e scritti presentati in classe dovrebbero esserlo.

Oltre a ciò si interroga sul fatto se ”ci si può aspettare che gli apprendenti siano in grado di distinguere le diverse tipologie e che sviluppino stili adeguati di ascolto, lettura, parlato e scrittura, agendo sia individualmente sia come membri di un gruppo”.[9]

La valutazione

I percorsi proposti da Verso l’italiano nell’acquisizione della lingua L2 non prevedono una valutazione globale dei risultati raggiunti dall’apprendente, ma si limitano a una descrizione, seppur accurata, dei fenomeni linguistici senza soffermarsi troppo sulle modalità utilizzate per il raggiungimento dei diversi obiettivi.

L’interesse è infatti rivolto alla dimensione dinamica dei processi che mettono in moto chi impara durante il suo percorso di apprendimento. Proprio queste varietà fanno sì che i sistemi interlinguistici proposti non possano essere definiti e delimitati in livelli scalari che non permetterebbero di rendere evidenti tali diversità.

Il Quadro, invece si occupa nell’ultimo capitolo di questo tema e lo affronta non solo dal punto di vista della performance dello studente, ma anche dei materiali e i metodi usati.

Qui rientra allora anche l’intervento dell’insegnante e il percorso formativo proposto.

Quello che il Quadro auspica è di spingere gli stessi apprendenti ad auto-valutarsi e l’accuratezza della loro valutazione può aumentare se vengono abituati a farlo. Inoltre l’autovalutazione accresce la motivazione e la consapevolezza e in tal modo li aiuta a studiare in modo più efficace.

Una valutazione sfaccettata e continua che cerchi di verificare non solo cosa si è in grado di ottenere, ma anche come lo si è raggiunto.

Tutto ciò trovo che sia la grande sfida che il Quadro propone a noi insegnanti, monitorare più spesso e meglio e far monitorare gli studenti stessi per un’applicazione più coerente della somma delle conoscenze sull’acquisizione di una nuova lingua.

Possibili punti di raccordo?

Il piano descrittivo proposto da Verso l’italiano che esamina se e come si manifestino delle regolarità e come si sviluppino i sistemi interlinguistici deve poter esistere, senza però schiacciare il piano della gestione proposto dal Quadro comune e viceversa.

La differenza sostanziale sui parametri formali pare essere incolmabile per i linguisti acquisizionali. “L’impianto proposto dal Quadro risulta, soprattutto riguardo gli indicatori di livello,  coerente con un approccio pragmatico-comunicazionale, ma l’interpretazione di tali indicatori è lasciata, secondo i linguisti all’intuizione dell’utente”[10]

La difficoltà è sicuramente cercare di trovare delle risposte efficaci ai numerosi quesiti che ogni giorno un insegnante di lingua si pone quando entra in classe, ed è qui credo il punto di raccordo tra i due testi.

Entrambi vedono l’insegnante sotto un profilo nuovo, egli infatti deve agire in modo autonomo, spesso per andare incontro alle diverse esigenze degli apprendenti. Ciò significa che la sua posizione è di maggiore responsabilità nella gestione del processo formativo , ma purtroppo i materiali didattici esistenti sono molto spesso lontani da questo tipo di approccio. Ed è per questo che spesso ci si vede ‘costretti’ a trovare o produrre del materiale che risponda il più possibile alle esigenze in classe e che abbia come obiettivo quello di sviluppare le competenze trattate nel Quadro.

I due testi presi in esame possono diventare strumenti didattici efficaci se utilizzati, a mio avviso, come stimoli per una didattica moderna, senza diventare però coercitivi e lasciando comunque all’insegnante uno spazio per valutare fino a dove una programmazione attenta e dettagliata  che segua una sequenza naturale dell’apprendimento sia poi la strada migliore per avere dei progressi effettivi negli apprendenti, e quanto invece ‘permettere’ di valutare se e quando sperimentare anche delle attività che non seguono l’ordine naturale e supportati dall’uso di materiale autentico, non porti invece a un miglioramento non solo del singolo apprendente, ma di tutta la classe.

Conclusioni

Muoversi tra le due linee proposte, da un lato l’acquisizione della L2 molto vicina a quella della L1 e dall’altro l’apprendimento in un ambiente formativo, è una strada percorribile?

È possibile un approccio che cerchi di utilizzare al meglio i due aspetti, il primo prettamente della linguistica acquisizionale e il secondo che interessa maggiormente la glottodidattica?

Credo di sì. In classe significa calibrare le attività per provare a sviluppare i due aspetti offrendo agli studenti, sin dal primo giorno, delle proposte  che più o meno consapevolmente li porteranno a doversi confrontare con quello che stanno vivendo. Per noi insegnanti significherà non solo aggiustare più volte il tiro, laddove lo si riterrà opportuno, ma sarà necessario a volte affrontare la frustrazione dello studente che in un contesto di questo tipo si troverà spiazzato, avendo fatto magari fino a quel momento altre esperienze formative o non avendone fatte per niente.

Il percorso da compiere è ancora lungo, ma non ci si può esimere dall’affrontarlo.

[1] Quadro comune , p.11, cap.2.1

[2] Verso l’italiano, cap. 1, p.17

[3] Ibidem, p.19

[4] Ibidem, cfr. nota p.21

[5] Quadro comune, cap.5, p.132.

[6] Ibidem, cap.5, p.139

[7] Verso l’italiano, cap.2, p.29

[8] Ibidem

[9] Quadro comune, cap.6, p.179

[10] Verso l’italiano, p.280