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Analisi della differenza e dei possibili percorsi di raccordo tra Verso l’italiano e il Quadro comune europeo

Il Common European Framework da una parte e Verso l’italiano dall’altra rappresentano sicuramente due tra i più importanti testi di riferimento per chiunque si voglia occupare dell’insegnamento e, quindi, dell’apprendimento dell’italiano come L2.

Con questo nostro lavoro ci proponiamo di presentarli osservandone le differenze e i punti di possibile contatto. Procederemo da una sintetica presentazione dei contenuti e dell’ambito in cui i due testi sono stati redatti, e con quali scopi, per poi sottolinearne i punti di forza e i possibili limiti rispetto al nostro quotidiano lavoro in classe.

1.

Verso l’italiano[1] è il frutto di un lunghissimo lavoro coordinato da Anna Giacalone Ramat e portato avanti dal Progetto di Pavia, così definito dalla sede universitaria di riferimento. Al progetto, iniziato nel 1986, hanno contribuito anche altre istituzioni universitarie, sviluppando ciascuna la propria ipotesi di lavoro ma condividendo l’impostazione teorica “di tipo funzionale, volta a descrivere lo sviluppo di mezzi linguistici per esprimere nozioni concettuali, quali temporalità, modalità, riferimenti anaforici a persone, nozioni spaziali, ecc.” [2]

I diversi contributi, già apparsi singolarmente, in occasione della pubblicazione del libro vengono rielaborati, cercando non solo una maggiore organicità dei contenuti, ma anche una riflessione più avanzata sui dati presentati. L’opera si rivolge dichiaratamente agli specialisti del settore, linguisti e studiosi della storia della lingua, ma si propone di avvicinare anche gli insegnanti e tutti coloro che si occupino della programmazione di percorsi formativi in italiano L2 .

Lo studio è stato condotto esclusivamente su casi di “apprendimento spontaneo, talvolta misto, comunque non guidato”[3]. Ciò significa che non è stata presa in esame la lingua prodotta in un contesto di insegnamento/apprendimento formale ma quello nato dallo scambio linguistico spontaneo tra non nativi e parlanti nativi o altri apprendenti.

Gli esempi di italiano presi in esame sono per gli autori “le varietà che rappresentano le varie fasi dello sviluppo che precede il risultato finale”[4], intendendo con questo termine l’italiano dei parlanti nativi adulti. Si osservano, però, anche le fasi di apprendimento dell’italiano come L1 da parte di alcuni bambini nativi, ipotizzando nel processo della loro acquisizione la presenza di somiglianze e parallelismi con i processi descritti per l’acquisizione dell’italiano come L2.

Nei nativi, e soprattutto nei non nativi, viene analizzata l’acquisizione dell’organizzazione grammaticale della lingua. Le forme grammaticali, infatti, nell’approccio funzionale codificano le funzioni semantiche (di significato) e quelle pragmatiche (di uso), a loro volta proiettate nelle regole sintattiche; in sostanza , la forma grammaticale è determinata dalla funzione che questa ha nel testo.

L’attenzione degli autori si focalizza perciò sulla morfologia del nome, del verbo e su alcuni aspetti della sintassi e della testualità, quali ad esempio l’uso dell’anafora e dei connettivi. Di volta in volta si presentano quelle che sono le caratteristiche proprie di questi tratti in italiano per poi analizzare i dati sulla loro acquisizione da parte di un apprendente. L’ipotesi è la possibilità di definire la sequenza di acquisizione per ognuno di questi tratti. Considerando ad esempio il verbo si osserva l’acquisizione prima della forma base, l’infinito, per poi passare al presente, arrivare all’aspetto puntuale del passato espresso con il solo participio passato e solo dopo alla forma completa di ausiliare e così via.

La definizione di sequenze di acquisizione assume rilevanza, naturalmente, in una prospettiva glottodidattica, trattata ampiamente nell’ultimo capitolo in cui l’intenzione è quella di offrire uno strumento utile a chi insegna l’italiano come L2 senza avere esperienza di ricerca. Secondo gli autori, infatti, spesso emerge nelle nostre scelte l’insicurezza e quindi l’incoerenza dovuta proprio alla mancanza di fondamenta teoriche. Gli autori si propongono di sanare questa frattura (tra ricerca e prassi glottodidattica) che nel corso del tempo ha impedito una vera e propria collaborazione.

Il capitolo si apre con il confronto tra alcuni testi di glottodidattica in uso: osservando il tipo di lingua proposto nelle varie unità didattiche (numero di parole per frase, presenza di paratassi o subordinazioni, ecc.) è possibile riconoscere l’adesione degli autori alle teorie acquisizionali. Si arriva poi alla fine a delineare lo scenario ideale in cui la linguistica acquisizionale, da una parte e la glottodidattica, dall’altra, coadiuvate dalle altre discipline linguistiche, si affiancano proficuamente in un rapporto paritario di collaborazione nell’ottica di supportare e sostenere nel miglior modo possibile l’apprendimento dell’italiano L2.

2.

Il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue[5] costituisce la parte principale del progetto Language Learning for European Citizenship del Consiglio d’Europa. Elaborato già a partire dal 1989, ha dato una risposta alla necessità delineata nel 1991, nel corso del Simposio intergovernativo di Ruschlikon[6], di elaborare un quadro comune di riferimento. Questo, attraverso la descrizione dei possibili livelli di competenza raggiungibili, doveva favorire l’elaborazione di linee guida per la stesura dei programmi di educazione linguistica e il riconoscimento reciproco delle certificazioni nei sistemi di istruzione dei diversi paesi membri. È del novembre del 2001 la risoluzione del Consiglio d’Europa che lo raccomanda per costruire sistemi coerenti di validazione dell’abilità linguistica e del 2002 la prima edizione in italiano.

Lo scopo ultimo è naturalmente quello politico di favorire in ogni modo il superamento delle barriere linguistiche all’interno della Comunità europea e l’avvicinamento capillare dei singoli alla diversità linguistica, segno del nostro grande patrimonio culturale. L’intenzione è promuovere il plurilinguismo, superando perciò la concezione multilinguista, per cui si possono conoscere diverse lingue ma come se la loro conoscenza non interagisse con l’esperienza e le conoscenze dell’apprendente. In un’ottica plurilinguista, invece, chi apprende fa tesoro di ogni esperienza culturale per costruire una competenza comunicativa alla quale contribuiscono tutte le conoscenze e le esperienze vissute attraverso il contatto con le diverse lingue e culture.

Il Quadro comune europeo si rivolge a tutti coloro che si occupino della programmazione didattica, della certificazione, che siano apprendenti autonomi o che scelgano e si affidino ai diversi tipi di certificazione. Da questo il voler essere “comprensivo, coerente e trasparente”[7]. Alla base è un approccio orientato all’azione; gli utenti del quadro comune sono considerati “agenti sociali”, cioè membri della società con dei compiti da svolgere, “compiti” nel senso di azioni da portare a termine usando strategicamente le proprie competenze per raggiungere determinati risultati.

Nei primi capitoli si definiscono i termini che verranno utilizzati per poi delineare nel 3° una serie “ascendente” di livelli di riferimento per descrivere la competenza di un apprendente. A questa serie “verticale”, segue la presentazione nei cap. 4° e 5° di descrittori “orizzontali”, costituiti da parametri di tipo più comunicativo.

La necessità di definire i diversi livelli di competenza non significa però che ci siano delle “scale” che tutti possono percorrere impiegando lo stesso tempo: l’apprendimento è continuo e individuale, diverso per ciascun apprendente. Nel 6° cap. si guarda ai processi di apprendimento e di acquisizione e quindi alle varie metodologie di insegnamento orientate a facilitare lo sviluppo delle varie abilità nell’apprendente, sempre cercando un punto di vista il più possibile aperto, dinamico e non dogmatico. Atteggiamento neutro che però non deroga mai alle finalità politiche per cui si è arrivati alla definizione del Quadro comune. Nel 7° capitolo si osserva più da vicino il ruolo dei “compiti” in relazione all’uso della lingua, mentre nell’8° si discute delle implicazioni dello sviluppo della competenza plurilinguista sull’insegnamento e sulle politiche educative.

L’ultimo capitolo, infine, tratta della valutazione e della certificazione della competenza linguistica e delle varie scelte e procedure che al riguardo possono essere intraprese.

3.

Sono molte le differenze evidenti tra Verso l’italiano e il Quadro comune europeo; proveremo a sottolinearne alcune.

PUBBLICO: il primo si rivolge ad altri specialisti, il secondo a ogni possibile utente, proveniente da uno qualsiasi dei paesi membri della comunità europea o da altri.

LINGUAGGIO: molto tecnico e di difficile lettura nel primo, molto lineare e piano nel secondo, caratterizzato da una grandissima accessibilità anche nella versione gratuita in inglese disponibile in rete.

METODO DI LAVORO: alla stesura hanno lavorato solo ricercatori e docenti universitari nel primo caso, mentre per il Quadro comune sono stati effettivamente consultati e coinvolti nella sperimentazione molti insegnanti e diversi centri educativi attivi nell’insegnamento della L2 in tutta Europa.

LA PROGRESSIONE: l’osservazione in Verso l’Italiano delle sequenze di apprendimento sembrerebbe sottintendere una progressione lineare, da un contenuto all’altro, in una successione prevedibile e quindi la possibilità di individuare il livello del parlante dalla semplice osservazione dei contenuti della frase. Il Quadro comune europeo, invece, sottolinea l’impossibilità di una descrizione lineare dei livelli, per tappe successive, e suggerisce l’immagine di un cono gelato, che in molti hanno ripreso per rappresentare la scala dei livelli visivamente e in modo tridimensionale[8].

L’APPRENDENTE: dagli autori di Verso l’Italiano è considerato solo come l’autore di performance più o meno vicine alla lingua bersaglio. Nel Quadro comune europeo è, invece, una persona a tutti gli effetti, i cui bisogni comunicativi nascono dall’essere inserito in un contesto sociale con il quale interagisce, e nel quale interagisce con altri individui con bisogni simili. Le abilità linguistiche di questi individui, quindi, vengono descritte a partire dalla reale capacità di soddisfare questi bisogni.

LO STRUMENTO: il Progetto di Pavia si propone di offrire uno strumento utile ai glottodidatti e agli insegnanti, riconoscendo la distanza che attualmente separa il mondo accademico da chi si occupa di insegnamento della L2. Il testo, però, si basa soprattutto sulle osservazioni condotte in via sperimentale e solo alla fine si offrono alcune, a nostro parere limitate, proposte operative. Il Quadro comune, invece, procede offrendo agli utenti diverse domande guida alla fine di ogni paragrafo, a nostro avviso utilissime per fondare un lavoro serio e consapevole nel campo della didattica/apprendimento di qualsiasi L2.

LA CONSAPEVOLEZZA: entrambi i testi si propongono di favorire un atteggiamento consapevole dei processi di insegnamento/apprendimento. Il Progetto di Pavia, però, sembra pensare solo alla consapevolezza dell’insegnante, mentre il Quadro comune europeo ha a cuore chiunque abbia a che fare con le lingue, in relazione all’apprendimento, all’insegnamento, alla programmazione dei corsi, alla strutturazione dei sussidi e della certificazione.

4.

Alcuni risultati presentati dal Progetto di Pavia sono indubbiamente molto interessanti e importanti da conoscere, come ad esempio la sequenza di apprendimento del sistema verbale, osservata sia sui parlanti non nativi che sui bambini nativi. Alcuni aspetti ci sembrano, però, contraddittori. Da una parte, infatti, viene studiato approfonditamente l’italiano degli apprendenti spontanei, che si confrontano, cioè, con l’italiano L2 e ne apprendono a poco a poco lessico, morfologia e sintassi senza alcun tipo di guida formale; dall’altra viene sottinteso che tutto ciò avviene in Italia e che quindi stiamo parlando di un apprendimento che nasce dal confronto con l’input più ricco e complesso possibile. Ci sorprende perciò che poi Lo Duca[9] suggerisca di sottoporre gli apprendenti a un input manipolato e modificato, in cui siano maggiormente presenti quei tratti linguistici che gli studenti sono effettivamente pronti ad acquisire. Questa tesi è sposata e ripresa anche dal curatore nell’introduzione[10], ma è come se ci fosse consigliato di interloquire con i nostri figli usando all’inizio solo termini quali “pappa, nanna, cacca” semplicemente perché impareranno a pronunciare per primi questi e non altri.

A nostro parere è un limite non considerare la possibilità di capire più di quanto sia possibile esprimere e che vengano analizzati per lo più bisogni espressivi di tipo narrativo (il presentarsi o il raccontare le proprie esperienze).

5.

Se dovessi basare il mio lavoro in classe esclusivamente sulle indicazioni offerte da Verso l’italiano, introdurrei il condizionale solo dopo aver affrontato i diversi tempi dell’indicativo. Volendo invece accogliere il supporto datomi dal Quadro comune europeo, mi domanderei come aiutare un principiante assoluto a soddisfare bisogni elementari di tipo concreto, come ad esempio i piccoli acquisti, ed ecco allora la necessità di introdurre sin dall’inizio il “vorrei” come variante educata nell’interazione con i nativi, lasciando magari ad un momento successivo l’approfondimento dei possibili usi dei tempi del condizionale all’interno dei vari contesti.

Solo in un atteggiamento di questo tipo vedo la possibilità di fare interagire nel mio lavoro gli spunti ricevuti dalla lettura di questi due testi fondamentali di cui auspico una sempre maggiore diffusione tra i colleghi che con me condividono la fatica e la bellezza dell’insegnamento dell’italiano come L2.

 

[1] “Verso l’italiano, a cura di Anna Giacalone Ramat . Percorsi e strategie di acquisizione”. 2003, Carocci, Firenze

[2] A. Giacalone Ramat in ibidem, pag. 12

[3] A. Giacalone Ramat in ibidem, pag. 14

[4] A. Giacalone Ramat in ibidem, pag. 17

[5] “Common European Framework of References for Languages: learning, teaching, assesment”, consultabile in inglese sul sito del Consiglio d’Europa e pubblicato, su licenza dello stesso Consiglio d’Europa, in esclusiva per l’Italia, da RCS Scuola Spa – La Nuova Italia – Oxford University Press

[6] Simposio tenuto su iniziativa del Governo Federale Elvetico dal titolo: Transparency and Coherence in Language Learning in Europe: Objectives, Evaluation, Certification.

[7] Le citazioni dal C. E. F. sono d’ora in avanti di nostra traduzione.

[8] Cfr. par. 2.2, “Common reference levels of language proficiency”, in C. E. F,  pag. 16 e seguenti.

[9] “Verso L’Italiano”, pag. 266

[10] A. Giacalone Ramat, in ibidem pag. 14