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Il “Metodo Dilit” all’Università: conferme e cambiamenti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Questa dissertazione racconta l’esperienza di un’insegnante alle prime armi che si trova ad affrontare un’aula di studenti universitari. Preferisco in questo caso osservarmi dall’esterno così da poter meglio trasmettere a Voi i miei stati d’animo e far trasparire quali sono state le mie reazioni risolutive sia pratiche che emotive. Ma cominciamo dall’inizio. Prima ancora di insegnare Lingua Italiana a studenti stranieri presso l’Università degli Studi dell’Aquila ho frequentato un corso di base di formazione insegnanti presso la scuola romana Dilit International House. Tra gli studi teorici e ore di pratica con gli studenti superati con successo, sono uscita dalla Dilit con grandi speranze ed aspettative per il mio futuro da insegnante. La prima occasione infatti si è presentata affrontando la selezione pubblica presso la mia Facoltà all’Aquila e solo dopo alcuni giorni dalla fine del corso di base, mi sono trovata di fronte alla realtà: venticinque studenti stranieri in un’aula con ben quaranta sedie! Abituata com’ero alla Dilit con appena una decina di studenti, già selezionati, posti in semicerchio rispetto all’insegnante, allo scopo di favorire sia il dialogo che le varie attività didattiche, ricordo solo che ho avuto paura e mi sono sentita persa. Gli studenti erano quasi tutti miei coetanei ed anche questo fatto non ha giovato di certo al mio stato d’animo. Tutti aspettavano che iniziassi a dire qualcosa. Per un attimo, avendo con la coda dell’occhio valutato che mi sarebbe stato impossibile fare dei cambiamenti sulla dislocazione degli studenti come ero solita avere, ho pensato addirittura di modificare completamente la lezione che avevo preparato e… ricorrere al metodo tradizionale. Ma c’era un problema: non avevo mai insegnato con quel metodo. Costretta a cominciare la lezione mi sono avventurata con la Produzione libera orale, inserendomi nella conversazione. Come prima volta in una classe così diversa, ho accettato di entrare anch’io in conversazione con loro. Ho riscontrato così che qualcuno era soddisfatto dei miei interventi, ma qualcun altro sicuramente no. A questo punto ho scelto di riprendere le redini della situazione, proponendo loro un interscambio a coppie di opinioni e pensieri, tornando così al metodo che avevo appreso e che solo per paura di non soddisfare le aspettative degli studenti, avevo per un attimo abbandonato. Osservandoli attentamente, mi sono accorta che questa volta ognuno di loro stava esponendo la sua ipotesi, senza timidezza o timore di essere corretto dall’insegnante. Ho tirato un sospiro di sollievo. Ho superato così il primo ostacolo, pensando: vedi? Funziona! Devo cercare di non aver paura, se non voglio che i miei studenti siano timorosi e si chiudano in loro stessi. Ho presentato successivamente anche le altre attività come ad esempio la Lettura autentica. Devo ammettere che in questo caso non ho incontrato particolari resistenze da parte degli studenti, anzi si sono sentiti incuriositi dai tanti argomenti di attualità ed anche la discussione tra di loro è stata fruttuosa. Quando poi nella Lettura analitica ho chiesto loro di sottolineare i verbi al congiuntivo e al condizionale, qualcuno mi ha domandato: “Ma qui insegnate tutti così?”. Dallo sguardo dello studente ho potuto interpretare testuali parole: “Spero che in questa Facoltà ogni insegnante abbia lo stesso metodo, così posso imparare, ma senza avere paura di essere interrogato…”. Devo dire che un’altra difficoltà mi si è presentata a causa del loro livello di conoscenza della lingua non del tutto omogeneo. Anche qui mi sono dovuta adattare organizzando diversi argomenti, anche se solo per alcune attività, da realizzare in gruppi diversi, come se contemporaneamente mi trovassi in più classi. Dopo appena due giorni avevo presentato un po’ tutte le attività esattamente nel modo in cui le avevo apprese, anche se non sono mancate le sorprese. Spesso mi è capitato di interrompere l’attività didattica in corso per via dell’ingresso di studenti durante le ore di lavoro. Infatti, come sappiamo, all’Università l’ingresso è libero e gli studenti possono gestire le proprie ore a loro piacimento. Dovevo escogitare assolutamente un sistema per evitare di dover interrompere l’attività a scapito di chi invece stava lavorando. Con le mie reminiscenze della Dilit mi sono ricordata dell’uso dei testi delle canzoni al posto dei dialoghi per l’attività di Puzzle linguistico. Per due giorni consecutivi ho portato due canzoni di Zucchero Fornaciari, proposte all’inizio della lezione. Il risultato? Il terzo giorno erano tutti presenti in orario. Man mano che trascorrevano i giorni, acquistavo sempre più fiducia in me stessa, anche di fronte alle diverse difficoltà chiaramente presenti in un contesto così diverso. Spesso succedeva che verso la fine della lezione arrivava il custode dell’edificio, entrava in classe per chiudere le persiane delle finestre, distraendomi e a volte interrompendo l’attività di Drammatizzazione libera. Un giorno ho pensato di ricorrere ad una soluzione che naturalmente non mi avrebbe compromesso il rapporto con i dipendenti. Mentre gli studenti stavano simulando la classica situazione che spesso si vive negli uffici postali, ecco che entra il custode. A questo punto mi sono inserita nella conversazione tra uno studente che simulava l’impiegato e l’altro, il cliente, dicendo: “Guardate, ragazzi! Sta arrivando un altro cliente!”. Così dicendo, il custode si è sentito invitato ad intervenire, inserendosi nel dialogo, anche perché tutti i nostri occhi erano puntati su di lui. A quel punto si è sentito importante, ma anche a disagio di fronte a tanti studenti che hanno avuto anche l’occasione di ascoltare un accento diverso dal mio insieme a qualche termine dialettale. Un altro episodio a me caro è stato il giorno in cui, armata di coraggio, ho deciso di presentare in classe la Ricostruzione di conversazione. Precedentemente infatti avevo scelto dei dialoghi parzialmente scritti da dover poi completare. In questo caso, consapevole che mi sarei esposta maggiormente, ho presentato l’esercizio con ironia, senza pormi minimamente il dubbio sulle loro aspettative. Devo dire che, nonostante le mie riserve nel presentare tale attività, non sono stata costretta a ricorrere a nessun particolare stratagemma. Ho presentato la situazione di due personaggi che avrebbero espresso opinioni sul dato argomento e gli studenti hanno esposto le loro ipotesi liberamente. L’unica cosa che ho eliminato rispetto alla procedura conforme alla Dilit è stata la ripetizione corale dell’ipotesi esatta. Questa è stata una scelta dovuta al fatto che un coro di venticinque persone avrebbe disturbato lo svolgimento del lavoro dei dipendenti della Facoltà. Sicuramente però non ha stravolto gli effetti e gli scopi che tale attività si prefigge. Gli studenti, da allora, mi hanno sempre chiesto di riproporre l’attività mentre io non mi accorgevo che stavano per terminare le 90 ore previste dal mio contratto a termine con l’Università.

Quali le mie conclusioni? Certo non è stato facile inserire il “Metodo Dilit” all’Università anche se non posso dire di aver incontrato impedimenti di sorta. Sta a Voi giudicare dalla mia esposizione se sono state più le conferme che non i cambiamenti. Una cosa è certa: forse non è tanto il metodo che deve cambiare se non il nostro punto di vista di fronte a diverse condizioni. Almeno nel mio caso e nelle situazioni che mi si sono presentate non sono state le condizioni a decidere il metodo; ma il metodo mi ha aiutato a creare le condizioni ottimali.