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Ascolto autentico: basta con i fogli lavoro

Ormai si trovano su tutti i libri di testo per lo studio di tutte le lingue più insegnate. Sono quelli che noi abbiamo sempre chiamato fogli lavoro e che altri hanno chiamato schede, quiz, o addirittura test.

Mi riferisco alle attività didattiche che mirano allo sviluppo della comprensione auditiva ossia la comprensione d’ascolto. Prima di proseguire, vorrei subito premettere che, anche se noi abbiamo promosso l’uso di fogli lavoro, non abbiamo niente da dividere con chi li vede come test. “Test” è una parola inglese che comprende nel suo significato sia l’interrogazione che il compito in classe. È una prova che permette all’insegnante di controllare a che punto sta l’allievo in qualche aspetto della materia: il test produce un risultato che può essere valutato anche in termini di voto.

Anche se noi abbiamo promosso l’uso dei fogli lavoro per attività di Ascolto autentico, non abbiamo mai avuto questa concezione del loro uso. Abbiamo sempre detto che l’insegnante non deve assolutamente interessarsi a ciò che gli allievi hanno scritto sul foglio. Abbiamo sempre detto che l’insegnante deve tenersi rigorosamente lontano da questi fogli, durante e dopo l’attività. Perché? Perché è proprio la paura del giudizio dell’insegnante che spinge l’allievo ad osare di meno. Noi invece abbiamo bisogno di allievi che osano di più, e sempre di più.

Comunque sia, è vero che abbiamo promosso l’uso dei fogli lavoro per attività di Ascolto autentico. Ebbene, oggi penso che abbiamo sbagliato.

Mi spiego. Il foglio lavoro è un invito allo studente a cercare le risposte a determinati quesiti. “E allora?”, dirà il lettore avveduto. “Spero che non intendi rinnegare il principio dell’apprendimento basato su ricerche e scoperte”. E posso rassicurare il lettore che non ho nessuna intenzione di rinnegare un principio così importante. Anzi, la mia critica al foglio lavoro è motivata dalla realizzazione della povertà della ricerca e delle scoperte da esso proposte. Il foglio lavoro è sì un invito allo studente a cercare risposte, ma implicitamente è un invito a cercare solo quelle risposte. Trovate le risposte, la ricerca finisce, lo studente è soddisfatto; l’attività mentale si ferma; inutile chiedere allo studente di riascoltare.

Vediamo come viene creato un foglio lavoro. L’autore del foglio lavoro ascolta la registrazione più volte chiedendosi quali siano le informazioni salienti trasmesse da un parlante all’altro. Prendiamo per esempio una conversazione tra una persona che cerca una banca per cambiare la valuta ed un passante. L’autore del foglio lavoro focalizza la sua attenzione sulla dislocazione della banca; sul fatto che si trovi o meno di fronte alla posta, all’angolo della strada o accanto alla libreria; su quante volte il richiedente dovrà girare a destra, a sinistra o andare diritto, ecc. Il foglio lavoro verte su queste informazioni e cioè lo studente dovrà indicare se la banca si trova di fronte alla posta o accanto alla posta, per esempio. E così via.

Quello che ho descritto è ormai la norma. Questa norma è basata sulla caratterizzazione di una conversazione solo come scambio di un certo tipo di informazione. Questo tipo di informazione è stato chiamato factive (Oller, 1979) o “fattivo”. E cioè, la conversazione fra esseri umani è considerata essenzialmente la stessa cosa che la comunicazione fra computer, salvo forse che gli esseri umani sono più prolissi. Ma in realtà le cose non sono così. Gli esseri umani sono caratterizzati anche dall’affettività e cercano di proporre un tipo di rapporto o un altro, anche quando il contatto fra le due persone può sembrare estremamente effimero. Se, per esempio, all’inizio della sua risposta alla richiesta sulla dislocazione della banca il passante ha detto: “Ah, la banca; sì, ci sono appena stato”, questa frase è piena di implicazioni per quanto riguarda la qualità di rapporto che egli propone all’interlocutore. L’interlocutore potrebbe giustamente avvertire che l’altro si dimostra disponibile ben al di là del comportamento richiesto. E poi, fornire a uno sconosciuto una informazione di questo tipo potrebbe essere rischioso: se l’altro fosse un ladro? Insomma, il messaggio relazionale è “io ho fiducia in te”. Un messaggio profondamente importante, non trovate? Eppure trascurato dall’autore del foglio lavoro.

La soluzione allora, dirà forse il lettore, è di modificare i fogli lavoro in modo da comprendere stati affettivi e informazioni relazionali, di aggiungere quegli aspetti della interazione che sono stati finora trascurati. Ma in che misura? In che modo? A scelta multipla? Il passante è: a) disponibile; b) molto disponibile; c) poco disponibile? È un tipo di informazione difficilmente inquadrabile nella stessa maniera della dislocazione della banca rispetto alla posta. E poi supponiamo che il passante dica fra parentesi che la banca, fino all’anno scorso, era un ristorante “fast food”. È un’informazione fattiva nel senso che può aiutare la persona a riconoscere la banca dall’aspetto dell’edificio? O è un’informazione fattiva ma secondaria nel senso che è un’informazione su un cambiamento nella disposizione delle attività commerciali in quella strada? (Ma comunque rimarrebbe il problema del perché il passante decide di dare quest’informazione). O è un’informazione relazionale nel senso che il messaggio inteso è “io ti vedo una persona come me e cioè che per te come per me è un bello schiaffo morale alla schifosa cultura del fast food il fatto che una banca fa fuori un ristorante fast food”? Oppure “io ti vedo come una persona come me e cioè che tu sai quanto me che non basteranno mai i ristoranti fast food ed è quindi deprimente che uno di questi possa essere fatto fuori da una stupida banca”? È spesso, quindi, la scelta stessa di dare una certa informazione fattiva che comunica un’informazione relazionale.

Il fatto è che il foglio lavoro non è centrato sullo studente. È invece centrato su chi ha scritto il foglio lavoro. E cioè il foglio lavoro è un modo moderno di scrivere un riassunto. Un riassunto non è altro che l’espressione dell’interpretazione di un testo fatta da un lettore. Questo lettore sarà più o meno esperto nell’attribuire un senso al parlare altrui ma, comunque sia, è sempre un soggetto. Lo scrittore del foglio lavoro, quindi lettore di un testo altrui, quindi soggetto, non può non essere soggettivo nell’interpretazione del testo.

Lo studente, probabilmente già formato da tanti anni in una scuola che gli ha insegnato a diffidare della propria interpretazione dei testi e ad allinearsi ad una lettura “oggettiva” imposta d’autorità, trovandosi davanti al foglio lavoro abbandonerà immediatamente tutto ciò che aveva in mente che non sia perfettamente coerente con il foglio lavoro.

È vero che il foglio lavoro offre delle alternative (per es. due per ogni affermazione vero/falso, 3 o 4 per le affermazioni a scelta multipla, ecc.) ma il messaggio più diretto è che la risposta giusta è una di quelle suggerite. La presenza del foglio lavoro delimita di autorità l’unico quadro di interpretazione legittimo. Ogni altro pensiero è implicitamente dichiarato fuori campo. Più cose ha pensato fuori campo un determinato studente, più forte sarà la sua diffidenza per la propria interpretazione e meno fiducia avrà nella propria capacità di capire.

Invece il nostro obiettivo dovrebbe essere il contrario: e cioè sviluppare presso gli studenti una sempre più forte fiducia nella propria capacità di trasformare un testo quasi incomprensibile in qualcosa che ha una qualche sembianza di senso. Per fare questo non ci deve essere nessun tentativo di “inquadrare” la sua comprensione se non da ciò che proviene dalla fantasia dello studente stesso.

Per chi non è convinto racconto una mia esperienza abbastanza recente. Era un giorno di “ponte” e cioè il lunedì quando il martedì è festa nazionale. Molti italiani, per tradizione o per amore di svago, trovano modo di rimanere in campagna o al mare invece di tornare a casa il lunedì per lavorare. In questo modo salta anche la loro lezione di inglese del lunedì. In breve, avevo una classe ridotta a tre studenti, i quali avevano poca voglia di studiare. Avevo preparato un’attività di Ascolto autentico e, per venirgli un po’ incontro, ho accettato di ascoltare “insieme a loro”. E cioè eravamo un gruppo intimo di 4 persone intorno al registratore. Rassicurati che io li avrei aiutati nella comprensione (cosa che in realtà non ho fatto), hanno ascoltato con attenzione. Finiti i 5 minuti di conversazione registrata, ho chiesto chi voleva parlare. Hanno parlato e io li ho ascoltati. Quando nessuno parlava più, ho detto: “Ascoltiamo un’altra volta”.

Abbiamo continuato così per 7 ascolti. Ora la cosa interessante da osservare era come la loro versione della “storia” cambiava a poco a poco ogni volta che parlavano. La sensazione che avevo era che all’inizio tessevano una rete sensata di concetti suggeriti dagli indizi minimi che avevano captato dalla registrazione. E poi con ogni discussione alcuni di questi concetti venivano sviluppati. Altri venivano tralasciati perché, con lo sviluppo di certi concetti, la rete globale cambiava forma e magari non li ammetteva più. Spesso alcuni concetti venivano sviluppati progressivamente ad ogni discussione, con grande soddisfazione degli studenti “investigatori”, contenti di trovare sempre più “prove” per ipotesi magari fatte con poca convinzione all’inizio.

A volte, però, c’erano delle sorprese: si presentavano delle “controprove”. I concetti assumevano ai miei occhi l’aspetto di palloncini che venivano gonfiati e gonfiati e gonfiati e poi, pum!, scoppiavano. Questi erano momenti di grande emozione e attività intellettuale in cui chi aveva capito per primo cercava di spiegarsi agli altri ed ognuno cercava disperatamente di ritessere una rete sensata nuova che salvasse il salvabile e che rigettasse ciò che non era più accettabile.

Un esempio di un concetto che veniva gonfiato e gonfiato fino allo scoppio è stato suggerito dalla parola inglese bonfire, che significa un fuoco preparato nel giardino, in questo caso in aggiunta ai fuochi d’artificio, come vuole una tradizione inglese ogni 5 novembre. In effetti la registrazione era di una conversazione fra due amiche, madri di famiglia, pochi giorni prima di questa data. I miei studenti, invece, hanno pensato alla parola italiana bonifica e sono riusciti a giustificare la compatibilità degli altri concetti che capivano, quali fuochi d’artificio, paura, alberi, giardini, festeggiamenti, ecc., in base al fatto che trasformare una palude in terra utilizzabile potrebbe suscitare la gioia del popolo. O meglio, questa versione era accettata da tutti fino alla metà del quinto ascolto. Poi, all’improvviso, una studentessa urla “NO!”, gli altri la guardano esterrefatti, e lei ascolta fino alla fine della registrazione con una concentrazione mai vista prima. Spento il registratore lei mi chiede se “bonfire” è un tipo di “fire” (fuoco), dico di sì, e lei si butta in una lunga spiegazione agli altri di come adesso “legge” la registrazione. Gli altri, felici quanto lei per questa scoperta, riprendono quei concetti tralasciati durante i primi ascolti a causa della incompatibilità con la “lettura” precedente.

Insomma, alla fine dell’attività ho visto tre facce esauste e trionfanti: facce di “investigatori”, i quali avevano gestito l’indagine dall’inizio alla fine esattamente come volevano loro e avevano “vinto” una piccola sfida dopo l’altra. Un foglio lavoro avrebbe avuto l’effetto di una camicia di forza.

Chiariamo un punto. Qualche lettore starà pensando: “E se quella studentessa non fosse stata presente? È ben possibile che gli studenti non avrebbero scoperto l’errore e quindi avrebbero finito la lezione convinti di una cosa gravemente sbagliata. Gli studenti non devono mai finire una lezione con nozioni false”. Il paradosso è che questa preoccupazione di proteggere gli studenti da nozioni false è maggiore presso quegli insegnanti che occupano un ruolo centrale in classe e che adoperano maggiormente una modalità di “trasmissione”, quelli il cui stile d’insegnamento consiste nel controllare e filtrare il maggior numero possibile delle informazioni linguistiche, e non, che circolano in classe; il tipo di insegnante, per intenderci, che “spiega” e “corregge” in continuazione. Quanti di questi insegnanti hanno “spiegato” ai loro allievi, per esempio, che per descrivere un’azione in corso in inglese non si può usare il presente semplice, ma bisogna sempre usare il presente progressivo? Lo studente si renderà conto della falsità di questa nozione quando magari sentirà il commentatore radiofonico di una partita di calcio dire: “Baker comes up on the outside. He receives the ball from Smith. He dodges past Schneider: Schneider tries to tackle him from behind. Smith accelerates away. He’s on his own. He’s taking aim. He shoots! It’s in the net! What a goal!”. Su sette azioni, sei sono espresse con il presente semplice.

Non si può evitare che gli studenti finiscano alcune lezioni con qualche nozione falsa. Anzi, diciamoci la verità: succede piuttosto frequentemente. Affermare il contrario sarebbe sostenere che esistono condizioni perfette in tre campi: a) la capacità da parte dell’insegnante di stare sempre al passo dell’evoluzione delle conoscenze umane; b) la capacità da parte dell’insegnante di spiegare agli studenti esattamente ciò che sa; c) la concentrazione continua ed intensa da parte dello studente necessaria per la perfetta assimilazione, senza alterazioni, dei concetti trasmessi dall’insegnante. Insomma, dato che parliamo di esseri umani e non di macchine, possiamo affermare che non c’è niente di nuovo nel fatto che gli studenti possano finire le lezioni con nozioni false. Ciò che c’è di nuovo nella mia proposta è che sia lo studente il responsabile delle nozioni che egli porta via dal lezione: lo studente responsabile e consapevole della sua responsabilità, e quindi consapevole del grado di incertezza della nozione. Il risultato è uno studente disponibile a cambiare una nozione non appena incontri un controprova: uno studente più flessibile e quindi più rapido nell’apprendimento. Nel vecchio sistema c’è una tendenza a ripetersi “la regola è così: il mio insegnante me l’ha detto; lui sa”. E quindi una tendenza a respingere una controprova come uno sbaglio o un caso particolare, e di perdere quindi un’occasione per imparare.

Insomma, il discorso è ricerca sì, ma centrata sul discente. Per promuovere questo, bisogna eliminare del tutto l’uso del foglio lavoro. E non soltanto: bisogna eliminare tutte quelle “guide” alla comprensione che vanno dalle tradizionali “domande di comprensione” alle moderne domande “ad hoc” che l’insegnante introduce appositamente per intensificare la ricerca quando ritiene che la voglia di riascoltare si sia abbassata: domande tipo “quale dei due parlanti è più giovane dell’altro?”. Lasciamo la gestione dell’indagine agli studenti: devono decidere loro di volta in volta sia l’oggetto dell’indagine, sia i termini della ricerca. Solo in questo modo possiamo garantire la più rapida crescita della sicurezza dello studente in sé, e conseguentemente la più rapida crescita di competenza.

Bibliografia

Crystal, D., Davy, D. 1975 Advanced Conversational English, London, Longman.

Eco, U. 1991 I limiti dell’interpretazione, Bologna, Bompiani.

Oller, John W., Jr. 1979 Language Tests al School, London, Longman