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Come insegnare una lingua straniera a principianti che studiano un’ora e mezzo la settimana

Fra gli insegnanti che dimostrano interesse per il tipo di metodologia proposto da questi Bollettini ce ne sono molti che sostengono che non può funzionare con studenti che studiano solo un’ora e mezzo la settimana. Non è un caso che gli insegnanti che lo sostengono sono insegnanti i cui studenti studiano solo un’ora e mezzo la settimana! Un po’ come quegli insegnanti che sostengono che questo approccio non funziona con studentesse casalinghe o con studenti non-europei o con studenti di ceti sociali inferiori, ecc.

In realtà abbiamo a che fare non con la categoria di studente o l’organizzazione dello studio in termini di tempo, bensì con le convinzioni dell’insegnante. Voler provare una metodologia diversa implica un cambiamento di queste convinzioni. Cambiare le proprie convinzioni implica una disponibilità mentale, una capacità di autocritica, una consapevolezza che si può sempre fare meglio. A tutti quei lettori che non hanno ancora buttato nel cestino questo Bollettino e che concordano con gli insegnanti citati all’inizio di quest’articolo chiedo ora di rivedere le loro convinzioni con l’intento di provare a cambiarle.

Prendiamo, per esempio, il nostro ripetuto appello di privilegiare attività di Ascolto autentico rispetto a tutte le altre attività d’un corso. È una cosa, si dice, chiedere ad una classe di studenti di “subire” per 45 minuti una tale attività se studiano tre ore al giorno e quest’attività è solo una di una serie di 4-5 attività diverse, ed è un’altra farlo quando rappresenta circa il 50% di una lezione in una situazione in cui eventuali ansie da parte degli studenti non possono essere discusse per una settimana intera.

Ma è veramente così? Vediamo. Mettiamoci nei panni degli studenti. Tutti gli studenti, come tutti gli esseri umani, vivono nel presente. Il presente dura un attimo. Ogni attimo, ogni minuto, in cui lo studente è convinto che ciò che sta facendo è una perdita di tempo è un attimo, un minuto, doppiamente negativo. Negativo, primo perché senza la partecipazione affettiva ed intellettuale dello studente, quell’attimo diventa realmente una perdita di tempo, e nel caso specifico si tratta di ben 45 minuti. E doppiamente negativo perché ogni attimo passato in un tale stato d’animo è un attimo di disincanto riguardo all’efficacia della metodologia, di crescente sfiducia nell’insegnante e in tutto il suo operato. Questo moltiplicato per 45 minuti diventa veramente intollerabile.

Ma questo è vero sia nel caso che lo studente non veda più l’insegnante per una settimana, sia nel caso che l’insegnante passi ad un’attività di diversa natura subito dopo. Il danno è già fatto. L’insegnante può arrampicarsi sugli specchi per rendersi simpatico agli occhi dello studente, ma non riuscirà mai a ritranquillizzarlo e a fargli tornare quella fiducia che è il presupposto necessario per garantire un rapido progresso.

L’insegnante obiettore menzionato prima ha ragione quando prevede possibili ansie da parte degli studenti. Per forza. Lo studente si trova davanti a richieste dell’insegnante non previste. Nella sua esperienza passata gli insegnanti si sono comportati in un altro modo. Anche lo studente ha le sue convinzioni. È convinto che studiare vuol dire applicare le sue facoltà cognitive “logico-lineari” e che ad ogni quesito bisogna cercare l’unica risposta possibile e che l’insegnante darà poi la soluzione corretta che gli permetterà di valutarsi in termini di quante risposte erano giuste e quante sbagliate. Questa convinzione non proviene dalla “natura”, proviene dalla cultura. Cioè proviene dall’esperienza scolastica precedentemente avuta dallo studente. La nostra problematica è: ci sono i presupposti per cambiare le sue convinzioni? La risposta a mio avviso è sì. Tutti, chi più chi meno, sono, a un qualche livello di coscienza, consapevoli del fatto che la scuola tradizionale è stata poco efficace nel promuovere l’apprendimento. Questa consapevolezza predispone lo studente a modificare le sue convinzioni quando è di fronte a chi gli sembra competente, esperto, convinto e convincente.

L’Ascolto autentico

Vediamo in concreto la prima attività di Ascolto autentico con una classe di principianti assoluti. Come procedere? Mettiamo che questo sia la prima attività della prima lezione e vogliamo farla durare una quarantina di minuti. La nostra prima preoccupazione è che lo studio di questa nuova lingua sia un piacere per gli studenti. Logicamente loro saranno apprensivi: è naturale. Si chiederanno, ognuno dentro di sé, “Ce la farò?”, “Sono tagliato per le lingue?”, “Sarà difficile la lezione?”, “Faccio ancora in tempo a cambiare idea e a dedicarmi ad un altro hobby”.

Il nostro compito è far scomparire tutte queste apprensioni e mandare via gli studenti alla fine della lezione con due certezze:

  1. quello che l’insegnante mi chiede di fare non è difficile, e
  2. tutto sommato studiare questa lingua è divertente.

Andiamo passo per passo.

  1. L’insegnante mette un registratore in mezzo agli studenti. In pratica questo significa mettere il registratore su uno sgabello o su una sedia in mezzo a quella parte dell’aula occupata dagli studenti. In tutte le aule c’è una “zona insegnante”, dove c’è la lavagna, forse c’è una cattedra (meglio di no!), dove l’insegnante abitualmente si mette. E c’è una “zona studenti” che si individua per opposizione alla zona insegnante. Il registratore va messo nella seconda di queste due zone. Se gli studenti non sono più numerosi di 15 possono sistemare le loro sedie in cerchio intorno al registratore. Se esistono banchi dovrebbero essere messi lungo le pareti. Nel caso che gli studenti siano più numerosi faranno due cerchi concentrici.
  2. L’insegnante spiega alla classe che cosa c’è inserito nel registratore, e cioè una lunga conversazione fra due italiani (se la lingua insegnata è l’italiano) i quali parlano in modo spontaneo, naturale, reale, autentico. Dura ben 4-5 minuti ed è assolutamente impossibile capire. (Queste informazioni vengono date nella L1 se la classe è monolingue, altrimenti con l’uso della gestualità, disegni alla lavagna, e qualche parola “internazionale”.) La cura della “messa in scena” e “l’assurdità” della situazione disorientano e insieme incuriosiscono gli studenti. “Se l’insegnante stesso dice che è impossibile capire come posso fare brutta figura?” è in sostanza ciò che pensa ognuno degli studenti. (Diciamo la verità: è la paura di fare brutta figura la causa dell’apprensione.) Qualcuno sorride e fa una battuta di spirito, la competitività comincia a diminuire.
  3. L’insegnante dà il “compito” alla classe: “Dovete rilassarvi, e sentire la musica di questa lingua, la sua intonazione, la sua cadenza, la sua melodia. Solo questo”. La competitività e l’apprensione diminuiscono ancora un altro po’. (Non completamente: l’esperienza passata dimostra che l’insegnante chiede sempre di “rendere conto” dopo un compito. Non c’è da supporre che quest’insegnante sarà diverso dagli altri.) “Siete seduti comodamente? Se volete, potete anche dormire” dice l’insegnante sorridendo.
  4. L’insegnante avvia il registratore, si siede e ascolta insieme agli studenti.
  5. Finita la conversazione l’insegnante spegne il registratore. (“Questo è il momento più pericoloso” pensa qualcuno degli studenti. “Chiederà che cosa abbiamo capito e io devo dire ‘niente'”.) L’insegnante non chiede assolutamente niente, tranne forse se hanno dormito bene. L’apprensione scende di nuovo.
  6. L’insegnante riavvolge il nastro e dicendo “riascoltate” avvia di nuovo la registrazione. Questa volta si nota che qualche studente, che prima si allontanava con il corpo dal registratore, ora piega il tronco in avanti, si mette i gomiti sulle ginocchia aperte e guarda intensamente il pavimento davanti a lui. Sta ascoltando. Ora ha fiducia: “Qui non ci sono trappole; l’insegnante mantiene la parola; veramente non intende mettere in difficoltà nessuno. Tanto vale ascoltare. Dopo tutto, questa, si sente, è vera lingua. Questa è la lingua che sentirò se mai andrò a fare un giro in Italia”.
  7. Alla fine l’insegnante riavvolge il nastro e invita la classe a prendere carta e penna. Quando tutti sono pronti dice: “Ascoltiamo di nuovo e scrivete una sola parola che pensate di individuare. Non preoccupatevi dell’ortografia”. E via con il nastro.
  8. Alla fine molti hanno scritto una parola, qualcuno ne ha scritte due o tre, e qualcuno non ha scritto niente. L’insegnante, riavvolgendo il nastro, dice “Riascoltate e se avete scritto una parola cercate di aggiungerne un’altra”. Gli studenti che non hanno scritto niente si accorgono che l’insegnante non vuole vedere che cosa è stato scritto sui fogli. “Scrivere significa espormi, significa poter essere controllato, – pensano – quindi meglio non scrivere se non sono sicuro dell’esistenza di una certa parola o se non sono sicuro dell’ortografia di una certa parola. Però l’insegnante sembra non interessarsi a quello che scrivo; quindi dov’è il rischio?”. Questa volta tutti gli studenti scrivono qualche cosa.
  9. Ormai hanno ascoltato 4 volte. L’insegnante forma coppie di studenti, gli dice di confrontare le parole scritte, di chiedere eventualmente il significato al compagno e di estendere il proprio elenco copiando da lui altre parole.
  10. Poi l’insegnante fa riascoltare la registrazione (5° volta). Gli studenti verificano spontaneamente l’esistenza o meno delle parole prese dal compagno.
  11. L’insegnante numera gli studenti, fa alzare in piedi i numeri dispari, li fa spostare di un posto a sinistra e li fa sedere. Così ognuno ha un compagno diverso dalla prima volta. Con questo compagno ripetono il confronto sulle parole.
  12. Poi l’insegnante fa riascoltare la registrazione (6° volta). I numeri dispari si alzano di nuovo e si spostano di nuovo a sinistra e si ripete il confronto.
  13. Si ripete ancora una volta l’ascolto, e il confronto.

L’attività di Ascolto autentico è finita. (Chiamiamo questo variante “Caccia al tesoro”.) È durata all’incirca 45 minuti e l’insegnante può adesso passare ad un’altra attività.

La frequenza ottimale, a mio parere, dell’attività di Ascolto autentico sarebbe di una volta ogni 3 ore di studio, o nel caso specifico dei corso di un’ora e mezzo a settimana, una volta ogni due settimane. Consiglierei di seguire il metodo descritto sopra le prime 4 o 5 volte (2 mesi). Dopodiché dovrebbe essere possibile andare oltre gli elenchi di singole parole e passare alla socializzazione vera e propria come tante volte è stata descritta in questi Bollettini.

La Lettura autentica

Vediamo ora un’altra attività didattica: la Lettura autentica. Per aver maggior chiarezza possibile seguirà ora la descrizione, passo per passo, di una lezione di turco che ho tenuto pochi mesi fa con i formatori di insegnanti li lingua delle Volkshochschulen di Linz in Austria durante un seminario di aggiornamento.

In realtà io non parlo una parola di turco ma questo non è stato un inconveniente, come si vedrà dal metodo che ho adoperato. C’era fra gli altri una sola persona che conosceva la lingua turca (un’insegnante di turco) e non l’ho fatta partecipare alla lezione. Gli altri non conoscevano per niente la lingua turca.

  1. Ho fatto disporre le sedie a semicerchio;
  2. Ho invitato gli studenti ad uscire dall’aula;
  3. Fuori dell’aula gli ho detto di scegliere un compagno;
  4. Li ho fatti rientrare e sedere con il proprio compagno;
  5. Ho messo per terra in mezzo al semicerchio due giornali turchi, appena comprati, in modo che le pagine si separassero facilmente;
  6. Ho detto “Una persona di ogni coppia deve prendere un foglio e tornare al posto”. Il tono della mia voce stimolava il ritmo vivace e la propensione al gioco. E hanno reagito di conseguenza;
  7. Ho detto “Avete 3 minuti per decidere con il compagno quale articolo vi interessa di più”;
  8. Dopo i tre minuti ho chiesto se avessero scelto un articolo. Se no si dovevano sbrigare;
  9. Una volta pronti tutti, ho detto “Avete 5 minuti di tempo per leggere l’articolo scelto. I cinque minuti cominciano ora!”. L’ultima parola è stata enunciata con “teatralità” ed è stata accompagnata dalla mossa, teatrale anch’essa, di far partire il cronometro;
  10. Dopo 5 minuti ho visto che erano tutti profondamente impegnati nel cercare di imporre un qualche senso al proprio articolo. Alternavano discussioni a bassa voce con momenti di “lettura” in silenzio. Li ho lasciati lavorare per altri 5 minuti e poi li ho fermati;
  11. Gli ho chiesto di girare sottosopra l’articolo in modo che non potessero più leggerlo. Ho numerato gli studenti da sinistra a destra e poi ho fatto alzare i numeri dispari. Li ho fatti spostare di un posto a destra e risedere in modo che ognuno si trovasse accanto ad un compagno nuovo;
  12. Gli ho detto di raccontare al nuovo compagno quello che credevano di aver capito. “Ciò che non sapete, inventate!” ho aggiunto;
  13. Che lo si creda o no, si sono messi a parlare!
  14. Dopo circa un minuto e mezzo una coppia non parlava più e ho quindi fermato tutti quanti. Li ho invitati a tornare dal compagno originale;
  15. Ho detto “Avete 5 minuti per rileggere!” e di nuovo è scattato il cronometro. Di nuovo si sono comportati come nei primi 5 minuti: “leggendo” e discutendo;
  16. Dopo 5 minuti ho fermato il lavoro e gli ho detto che potevano selezionare 3 e solo 3 parole di cui avrebbero voluto sapere il significato. Gli ho dato 2 minuti per farlo;
  17. Dopo i 2 minuti li ho interrotti e ho detto “Ora avete 3 minuti per consultare i vostri dizionari bilingui”. Mi hanno guardato rattristati: “Ma non ce l’abbiamo”. “Ah già”, ho detto. “Allora avete 3 minuti per consultare lei”, indicando l’insegnante di turco.
  18. Sono letteralmente corsi alla fonte di informazione, hanno fatto le loro domande e sono tornati al posto per informare il proprio compagno;
  19. Li ho lasciati leggere e discutere con il compagno per altri 10 minuti, poi ho dichiarato terminata la lezione.

Avevano lavorato per 40 minuti in tutto.

Conclusione

In qualsiasi momento storico della glottodidattica, e cioè qualunque siano gli obiettivi dichiarati dell’insegnante nell’impartire una lezione, ci sono lezioni giudicate “belle” dagli studenti ed altre giudicate “brutte”. Non credo sia tanto l’approccio teorico che determina il parere degli studenti quanto il modo in cui l’approccio viene applicato in pratica. Se per lo studente ogni passo della lezione è una sfida raggiungibile ed è anche un’occasione per fare amicizia con i compagni di classe, la lezione è percepita come bella. Con questo articolo ho voluto descrivere come si può essere sicuri, almeno per due attività spesso considerate “difficili”, che gli studenti se ne andranno, dopo la lezione, con la sensazione di aver avuto una lezione bella.